STORIE/ESPRIU Foto Bejor Salamanca (Navia/Cover/Contrasto). La morte di Madrona fu la prima delle sventure delle Ginebreda. Poi venne la paralisi progressiva della madre ed il graduale rimbambimento. Strillava dalla sedia a rotelle, sputava insulti, metteva sottosopra la casa come se alla fine volesse far pagare i precedenti rassegnati silenzi. Per i Ginebreda la vita di relazione si fece impossibile e la solitudine combaciò con l'evidente rovina della famiglia che, un po' alla volta, si trovò al verde senza sapere chj ringraziare. Il padre sosteneva che aveva speso tutto per la salute. Finché visse, comunque, i Ginebreda poterono ancora mantenere un tenore da rango antico: d'estate le due figlie e la madre paralitica andavano fuori città in una villetta che avevano preso in affitto quando queste erano ancora piccole. Le tre sorelle avevano giocato con i cugini in giardino, un giardino con una fontanella al centro e, tutt'intorno, una mezza dozzina di piante di rose e mimose. C'era una vecchia tartaruga che si mangiava sempre dei pezzetti di pomodoro e lattuga. In giardino, Elpidia ed Amelia ricordavano Madrona, trasformata in fata e santa dai loro rimorsi e dalla nostalgia, e così, sul far della sera, si facevano assai malinconiche. Passavano le nuvole, rintoccavano le ore, spiavano i pasti della tartaruga. Le figlie infermiere accomodavano quindi la mamma, bavosa ed immobile, sotto una pianta di mimose: e così fluivano i giorni, tutti uguali e grigi, fino al trapasso della signora Ginebreda. Adesso, quando Elpidia se la sentiva, le due sorelle andavano a passeggio fino alla villetta, s'avvicinavano alle barre di ferro del recinto, scrutavano per un bel po' il giardino e pensavano, senza distinguere troppo, a Madrona, ai genitori, alla tartaruga. La malinconja delle sorelle era qualcosa di così atavico, intimo e complesso che si confondeva con il loro stesso 64 sangue, tanto che ormai un semplice sorriso era sufficiente ad esprimerla. C'era ancora la fontanella al centro del giardino e, tutt'intorno, la mezza dozzina di piante di rose e mimose. E venne il momento in cui anche il padre morì. Negli ultimi tempi era un signore di venerabile aspetto che camminava malfermo su un bastone e giocava dalle tre alle cinque a tressette in un circolo cadente. Chiuse gli occhi con quell'indifferenza da uomo ben educato lasciando le proprie figlie in uno stato di totale. abbandono. Quando lo ricordavano, dicevano con ammirazione senza traccia di rimprovero: "Ah, se ci vedesse il povero papà!". Egli presiedeva la leggenda familiare dei morti e delle splendide feste del passato. Le Ginebreda avevano ricevuto una più che eccellente educazione esornativa con professori privati, tra i quali la più apprezzabile era Adele Montoliu. Figlia di una eminente famiglia poi decaduta, Adele era una zitella di circa trentacinque anni quando cominciò ad insegnare alle bambine dei Ginebreda: aspetto prussiano, miope, nessun gusto nel vestire, molto romantica, insomma proprio camme ilfaut. Abitava insieme alla madre, una gran signora molto bella negli anni andati, che aveva portato alla rovina il marito, esercitando con sportiva regolarità il peccato d'adulterio. La brutta Adele, invece, destinata senza possibilità di deroga ad una rigorosissima morale, insegnava alle Ginebreda francese e storia, utilizzando un compendjo dell'Anquetil. Sotto il suo controllo, le Ginebreda leggevano romanzi francesi. Dapprima quelli dj Mme Stolz: Magali, La maison bianche, Les mésanventures de Mlle Thérèse. Quindi le regole Cadette di Mlle Zanai'de de Fleuriot e poi Élianne ed Anne Séverin de Mme Augustus Craven. Ormai grandicelle, consentì loro di immergersi, attraverso le traduzioni francesi, nel mondo della signora Marlitt: La seconde femme, La mais on Schilling, La petite princesse des Bruyères. Di nascosto però le Ginebreda, che per tutta la vita
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