Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

TRES SORORES Salvador Espriu a cura di Patrizio Rigobon Sono trascorsi quasi dieci anni dalla morte dello scrittore catalano Salvador Espriu, anni in cui la cronaca ha accelerato vertiginosamente i propri ritmi, condensando un secolo in una manciata di anni, demolendo la semantica della storia e disarticolando gli schemi mentali. E ciò è ancora più intensamente vero per le Comunità Autonome della Spagna post-transizione, dove l'assunto nazionale, il consolidamento di lingue e culture fino a non molto tempo prima conculcate, hanno interagito con una modificazione del concetto stesso di nazione, mutamento indotto dalla presenza di una Comunità Europea, prima, e dalle rivendicazioni nazionali nei paesi dell'ex orbita sovietica, poi. L'opera di Salvador Espriu si è mossa, per una parte, all'interno di un orizzonte i cui limiti sono attualmente alquanto modificati, sicché essa assume oggi un valore documentale di grande rilevanza, atto a rintuzzare certo revisionismo storiografico che vorrebbe accreditare un franchismo "light" non gravido di tristi evocazioni.L'oppressione della patria, l'esilio interno-tema che percorre maggiormente la poesia di Espriu - è strettamente connesso alla meditazione sulla morte. La breve narrazione che offriamo, come diremo fra poco, presenta in nuce buona parte della poetica dello scrittore catalano: l'abbrutimento sociale, la vanità del mondo, la morte sullo sfondo di una guerra fratricida. Espriu è poeta conosciuto in Italia: ricordiamo le generose raccolte curate per Guanda da Adele Faccio nel 1966 e per Japadre da Giulia Lanciani nel 1989, le varie composizioni presenti in diverse antologie: quella di L. Bacchi Wilcock (Bompiani, 1962), la selezione di G. Tavani (Laterza, 1968) e la silloge elaborata da G.E. Sansone (Newton Compton, 1979). Anche un'opera teatrale del nostro autore, sia pure nei limiti di diffusioni editoriali sempre assai misurate, è stata tradotta (Antigone, a cura di O. Musso, Palermo, 1988). E tuttavia in Italia Espriu è autore in gran parte ancora da svelare. Gli esordi letterari sono costituiti da narrazioni: pubblica il romanzo El Dr. Rip nel 1931, quando ha appena 18 anni. Seguono altri lavori narrativi tra cui ricordiamo: Aspectes (1934), Ariadna al laberint grotesc (1935), Letizia ( 1938). Tutte opere dalla tiepida accoglienza critica determinata probabilmente - come ha rilevato Joan Fuster, uno dei maggiori studiosi del poeta - dall'indipendenza dimostrata nei confronti dei modelli del classicismo ellenizzante proposti dal "Noucentisme", il movimento, nato dall'opera di Eugeni d'Ors, allora in voga. La produzione poetica segnerà il successo dello scrittore catalano (la prima raccolta Cementiri de Sinera esce nel 1946, Les cançons d'Ariadna nel 1949, mentre il grosso della fatica creativa si concentra negli anni cinquanta con Les hores, Mrs Death, El caminant i el mur, La peli de brau, tra le raccolte più significative), anche se, almeno inizialmente, è un'opera teatrale (Primera història d' Esther, 1948) a fargli guadagnare un certo rilievo nel piccolo mondo della letteratura catalana di quell'epoca. Una cultura fatta di voci ridotte ad un forzato, ma vitale silenzio, a seguito dell'infausto esito della Guerra Ci vile, che, com'è noto, vide la sconfitta della II Repubblica e la cancellazione delle istituzioni autonome catalane. Ed è questo un evento fondamentale per l'assunzione sociale di una dimensione anche politica del mestiere di scrittore. Come notava A. Tovar, un anno prima della morte di Franco, "dall'orrore della Guerra Civile è nato Espriu poeta della patria: i catalani hanno trovato in lui un vate nazionale che combatte per la lingua e l'individualità" ("Europaische Hefte", Oktober 1974, p. 21). Ma, come dicevamo all'inizio e al di fuori di accenti retorici, la storia ha compiuto, in questo scorcio di millennio, molteplici balzi e tale dimensione può apparire oggi sfuocata rispetto al complesso dell'opera in cui si cercano, naturalmente, gli elementi universalizzanti, svincolati dalle categorie dello spazio e del tempo. li breve racconto che qui offriamo - inedito in Italia - rappresenta probabilmente quella sintesi necessaria. Vi si intrecciano 62 certo elementi autobiografici: il fronte dei combattimenti si sta avvicinando pericolosamente alla capitale catalana ed il 5 Gennaio 1938 muore Bartomeu Rossello, sodale di letteratura e amico. Ancora dunque la morte e la guerra: una Barcellona difficilmente riconoscibile, una guerra che potrebbe essere una guerra qualunque. La teoria politica di Espriu è di una schematica semplicità: ogni giustizia dovuta ad un conflitto è meno giusta di qualunque convivenza pacifica. Ma in Tres sorores s'intuisce la presenza di un mondo sommamente imperfetto che tuttavia la guerra non migliorerà e che anzi, alterando le consolidate relazioni sociali, guasterà, conducendo ad una consapevole quanto inevitabile fine. II conflitto inibisce così l'unica catarsi possibile: la normalità. J. Pia, il grande poligrafo catalano, non lesinò lodi a questa narrazione, definendola "straordinaria" e lo stesso Camilo José Cela, premio Nobel per la letteratura, la pubblicò in spagnolo, nella sua celebre rivista "Papeles de Son Armadans". È verosimile che ogni entusiasmo vada temperato, ma è sicuro che questo racconto, di uno "schematismo stringato e concettoso" (J. Fuster), ci mette di fronte a quella concezione del mondo che il biblico Qohelet illustra ed a cui noi oggi ben poco siamo in grado di aggiungere. La signora Maddalena Blasi era l'unica che andasse ancora a trovare le sorelle Ginebreda. Si recava quattro o cinque volte all'anno nel modestissimo appartamento di via della Lanterna, vicino alla Piazza del Sole, "per fare un po' di compagnia a quelle povere disgraziate". Morta da molto tempo Madrona, la più piccola, le Ginebreda erano rimaste in due, Amelia e la sempre ammalata Elpidia. Con la sua fragorosa risata, la signora Blasi soleva dire che era colpa della stranezza di quel nome. Le sorelle accoglievano l'arguzia, vecchia come l'autrice, con un sorriso equivoco da povere zitelle, reticente, ossequioso e gentile. Quando arrivava, la signora Maddalena portava in regalo scampoli di stoffa zeppa di rammendi, qualche dolce di farina, pezzi di vasellame sbeccato, essenze da quattro soldi in boccette campione, brandelli dirozzati di sapone. Le sorelle Ginebreda ricevevano tale misto di offerta ed offesa con benedizioni barocche, di svenevole riconoscenza nella speranza, magari un giorno, di ottenere un po' di carità più tangibile. "Se non lo volete riporto via tutto: siate franche", diceva la signora Blasi con una nota di asprezza nella voce che preannunziava il proprio disappunto nei confronti di una remota possibilità di rifiuto. Per tranquillizzarla, le sorelle s'affrettavano a prenderle la roba dalle mani e ad assicurarla che la volevano proprio, che loro non buttavano mai via niente. Avvezze a vivere praticamente di miracoli, dell' incerta compassione del cugino Ribalta o di Angelica Antommarchi, che loro s'erano ingraziati con modesti lavori d'ago, le Ginebreda esprimevano un'intelligenza matematica di prim'ordine, più stupefacente e meritoria delle conosciute moltiplicazioni dei Vangeli. Soprattutto la più vecchia, Amelia, perché l'altra era sempre ammalata. Elpidia costituiva solo un disturbo - è triste dirlo - aggravato dalle circostanze di un mondo devastato dalla rivoluzione e dalla guerra. Le circostanze opprimevano le Ginebreda ed il falegname senza lavoro del piano di sopra, ed anche il prete

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