la prima cosa che ci è sembrata strana, appena siamo entrati lì dove c'era il medico, è stata che ci ha chiesto chi era il malato. Sono io, che diamine, e loro mi hanno accompagnato, ha detto il Clemente. Allora voi potete aspettare fuori, ha detto il medico, ma la Mamerta lo ha avvisato: come vuole lei, però l'avverto che il Clemente da solo non parla. Cosicché ci siamo sedute, e il medico ha cominciato a fargli domande una dietro l'altra sulle malattie che aveva avuto e se i suoi genitori erano vivi e quanti fratelli erano o erano stati in famiglia, se era scapolo o ammogliato e se beveva o fumava. E che cosa si sente?, gli ha chiesto alla fine. Silenzio, un silenzio, qui dentro, ha risposto il Clemente molto lentamente. E com'è questo silenzio?, gli ha chiesto di nuovo il medico; e il Clemente è rimasto un attimo zitto, poi ha ripetuto: beh, un silenzio, silenzio e basta, da un giorno. E allora, la Mamerta attacca a spiegare al medico che i I Clemente voleva dire che era da un certo giorno che aveva il silenzio, ma il medico le ha ordinato di stare zitta e ha chiesto ancora al Clemente: e cosa è successo quel giorno? E non glielo avesse mai chiesto, ché il Clemente ha perso colore come quando gli viene l'attacco, che subito comincia a sudare freddo e sembra morto, e dice: il silenzio, il silenzio; ecco che è arrivato il silenzio. E infatti, così è successo. Ma il medico gli ha dato delle pastiglie e l'attacco è passato e il Clemente stava lì sorridente come un povero scimunito, e poi ci ha detto di tornare il mese dopo, quando il Clemente avesse preso quelle pastiglie, due volte al giorno. Però comunque, non siamo più tornati, perché, come dice la Mamerta: e se poi il Clemente non è più quello di prima, neanche per sogno, dove finisce la sua allegria e la compagnia che fa a tutti in paese? Ma al medico non saremmo andate a spiegare che il silenzio, il Clemente, lo aveva sentito quando aveva solo dieci anni e all'uscita della scuola, quel pomeriggio, era andato al fiume a giocare con gli altri bambini e aveva incontrato un cane che rosicchiava degli ossi, la testa di un ragazzo con tutti i suoi capelli biondi: il figlio della Mamerta, sangue del suo sangue, che glielo avevano ammazzato da trent'anni e nessuno sapeva dove era sepolto. Il povero Clemente è rimasto quasi paralizzato e senza parlare, e da allora ha preso a fare quelle mosse con gli occhi e quei gesti con le mani, però è ubbidiente e buono, e a noi due, povere donne sole, ci accompagna la sera a vedere la televisione o a giocare a briscola. E per la Mamerta, senza parlare degli altri, era come quel figlio già grandicello e quasi uomo ormai, che le hanno portato via una notte per cattiveria o per l'intervento di una mano furiosa. Insomma, che ce ne facevamo di un Clemente che se ne stava soltanto tranquillo e sorridente come un cretino? Cosicché abbiamo gettato le pastiglie nel lavandino, e io ho detto alla Mamerta: sta' a vedere che con la faccenda delle calorie e tutte quelle altre storie delle conferenze di quelli della capitale succede lo stesso: è che non vogliono che siamo come siamo, e che ci scordiamo pure dei nostri morti o magari del cane che ha scoperto la testa di tuo figlio con ancora i suoi capelli biondi, che era già un giovanotto quando se lo sono portato via proprio come un agnellino, come il Clemente che si lascia comandare come un agnellino finché non gli viene l'attacco del silenzio, lì dentro, che a furia di sentirglielo dire, ormai lo sentiamo pure noi: il silenzio. INCONTRI/LOZANO Poesia e povertà Incontro con José Jiménez Lozano a cura di Sebastiano Burgaretta In Italia finalmente un'editrice ha messo mano alla sua opera. A me pare che ciò avvenga con ritardo. Come lo spiega? Arrivano in ritardo le versioni italiane? Non lo so. Probabilmente prima i miei libri erano ignoti o non meritavano considerazione. Io sono contento anche così. È un dato di fatto: nella stessa Spagna continuo ad essere uno scrittore semiclandestino e invisibile, eppure ho già pubblicato una ventina di libri. È divertente, no? Perché ha cominciato tardi a scrivere? Ho sempre pensato che seri vere è qualcosa di molto serio, non una semplice questione di costruzione o di trattamento del linguaggio, ed ho anche avuto sempre timore di dire delle banalità. Ho tardato nel decidermi a pubblicare, ma è chiaro che, se mi confronto con Miguel de Cervantes, sono stato quasi un caso di precocità! Ho sempre letto molto, e la conversazione con i morti e la loro scrittura ti frena parecchio prima di dire, a tua volta, la tua parola. Ci dica qualcosa dei suoi diari, che personalmente trovo molto intensi. I tre quaderni rossi e Secondo abbecedario sono una specie di acta dell'esperienza del vivere: letture, incontri personali, avvenimenti, la natura con la sua compagnia o le sue domande. Il primo va dal '73 all'83, il secondo dall'84 a11'88. Quel che chiedo loro è di offrire al lettore un certo tipo di compagnia, di conversazione o di disponibilità. Si tratta di un'esperienza che cerco di oggettivare per farne dono, in qualche modo, col distacco. Nei confronti di tutti i miei libri sento qualcosa di simile a quanto provava l'antico scalpellino che consegnava la sua metopa o il suo capitello, e naturalmente non li firmava. È come dire: "questo è quanto mi è successo", e "questo e quel che penso". È così, ma io non sono importante, giacché, se l'io predomina, ogni spessore spirituale sparisce. Quasi in ogni sua pagina lei parla degli umili, di coloro che vivono sotto la superficie rumorosa della storia, in quella che Unamuno chiamava infrastoria. I suoi racconti evidenziano questo aspetto del suo pensiero e lei ripete che ipoveri sostengono il mondo. Vuole chiarire tale concetto? Non sono soltanto le voci degli "umiliati e offesi", ma anche e soprattutto le uniche storie che possono dirci qualcosa di nuovo. La Grande Storia, che ha schiacciato queste, è già stata raccontata mille volte e il mondo continua a uniformare ad essa la sua struttura, che è sempre la stessa: il sacrificio di vittime affinché tutto continui com'è. Questo è anche ciò che si canta e si magnifica nella "Grande Letteratura". Quando invece si narra 57
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