Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

IL CONTESTO La lunga strada della pace L'accordo tra Israele e l'OLP Joaqufn Sokolowicz È molto improbabile che Hosni Mubarak, il presidente egiziano, sappia dell'esistenza di "Linea d'ombra". Il fatto è che il Mubarak raggiante che in mezzo a un folto gruppo di persone esclamava "diciamoci la verità, è perché alla guida di Israele è arrivato l'attuale governo che siamo riusciti a vedere una stretta di mano fra Rabin e Arafat" sembrava quasi - a un lettore di questo mensile-voler confermare alla prova dei fatti quanto qui pubblicato poco più di un anno fa. Della coalizione allora appena insediata al potere scrivevamo che quella era "una squadra caratterizzata da un animo pacifista" con la quale finalmente diventava "probabile un avvio di soluzione per la questione palestinese". E mettevamo in rilievo non tanto la combinazione dei partiti che l'aveva fatta nascere quanto la presenza al suo interno di certe persone. Sono stati proprio i ministri e funzionari citati in quell'articolo i più attivi promotori e artigiani della svolta. Il riconoscimento dell 'OLP ha poi dimostrato, oltre ali' approccio del tutto nuovo agli aspetti specifici del conflitto con i palestinesi, quella "visione realistica e costruttiva del contesto mediorientale" che attribuivamo al governo guidato dai laburisti. Si può essere ottimisti. Il piano "Gaza and J erieofirst", primo passo, non resterà l'unico, cioè l'ultimo, come in molti nei due campi del conflitto vogliono e come buona parte dell'opinione pubblica mondiale pessimisticamente prevede. Questa previsione è determinata sia dalla consapevolezza dell'esistenza di forti oppositori all'accordo, appunto, sia dall'esperienza di quasi un secolo di violenza sanguinosa che ha sempre soffocato i tentativi di compromesso tra i due popoli che si contendono la stessa terra. Invece questa volta - pensiamo - è davvero legittima la speranza di vedere un giorno la pace basata sulla realizzazione delle aspirazioni nazionali palestinesi. Un giorno non vicino, beninteso, al quale si arriverà dopo mille sabotaggi ancora con spargimento di sangue e sicuramente dovendo superare fasi di stasi e di marce indietro degli stessi protagonisti del cammino ora imboccato. Vediamo perché si può essere ottimisti: Foto di JeffreyMorkowitz (Syqmo/G. Neri)' 4 1) Il principale punto di appoggio dei gruppi palestinesi oltranzisti anti-Arafat, il regime siriano del presidente Hafez elAssad, non può restare a lungo dissociato dal processo di pace che si è aperto (la Giordania ha già aderito, mentre il restante negoziatore, il piccolo e debole Libano, è siro-dipendente e deve per forza attendere ordini da Assad). Questi, che da decenni si comporta in modo da condizionare ogni sviluppo politico mediorientale, scavalcato in questa circostanza dall'odiato Arafat, rischia un isolamento che non si può permettere. Ormai privo della protezione della scomparsa Unione Sovietica, ha bisogno di buoni rapporti con gli Stati Uniti, e gli serve sempre l'assistenza finanziaria delle potenze petrolifere arabe, le quali appoggiano l'accordo OLP-Israele. Conosciuta l'astuzia del capo siriano, si può facilmente immaginare che userà ancora in futuro mezzi duri e violenti a scopo ricattatorio per ottenere di più nei contenziosi e negoziati che di volta in volta avrà con i potenti. Ma avrà nel frattempo siglato anche lui un patto che, del resto, gli dovrebbe consentire di riavere le alture del Golan (occupate oggi da Israele), una restituzione che verosimilmente sogna più che mai ora che, anziano, sa che è prossima la sua uscita di scena. 2) Il crescente fondamentalismo islamico preoccupa i palestinesi dell'OLP quanto Israele. Il fenomeno allarma i regimi arabi, i quali - quasi tutti - appoggiano l'accordo israeliano-palestinese, e anche il regime siriano. Questo allarme diffuso di fronte alla sempre più diffusa violenza integralista è stato un fattore determinante a promuovere l'intesa e dovrebbe esserlo ancora in futuro per favorirne i risultati, in opposizione a una prevedibile crescita ulteriore dei movimenti fondamentalisti proprio come reazione a tale svolta. Potrebbero quindi nascere alleanze regionali inedite in Medio Oriente per combattere i fanatici (finanziati dall'Iran, musulmano non-arabo), le quali necessariamente proteggerebbero il nuovo legame OLP-Israele. 3) I sentimenti della base finiscono storicamente per essere decisi vi e i palestinesi dei territori occupati appoggiano da sempre le scelte pragmatiche, moderate. Quando hanno voltato le spalle ad Arafat, pur vedendolo come il simbolo della causa nazionale, lo si è dovuto alla mancanza di risultati pratici della sua politica, risultati che ora possono cominciare ad arrivare. E prevedibilmente aiuterà alla causa della pace il miglioramento delle proprie condizioni di vita: una casa, nuove possibilità di lavoro, strade. (Le potenze economiche del mondo si stanno adoperando per fare la loro parte in questo senso.) Anche tra i palestinesi in esilio, la possibilità del ritorno o di visitare liberamente i parenti nella terra abbandonata per forza, farà guadagnare consensi alla scelta di Arafat. Quanto agli israeliani, i benefici economici e strategici che dall'accordo ricaverà il loro paese non possono che produrre un sostegno sempre più largo e convinto alla decisione presa ora dal governo. 4) Se Arafat scomparisse improvvisamente dalla scena, se cioè venisse a mancare il leader che in campo arabo si è assunto la maggiore responsabilità, con tutti i rischi, il trauma sarebbe a questo punto transitorio. Ci sono tra i suoi collaboratori di questi ultimi anni e tra i dirigenti dei territori occupati diversi uomini

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