Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

DUE RACCONTI Rosa Montero Il dentista traduzione di Maria Cristina Condemi Come tutti gli uomini ricchi e poten"ti,don Joaqufn disponeva di un sarto, di un medico e di un confessore di fiducia che lo avevano in cura da anni e che lo servivano con particolare deferenza. Dai piccoli privilegi che tali professionisti gli concedevano don Joaqufn ricavava un piacere immenso, perché gli ricordavano il suo trionfo sociale. Don Joaqufn non era ricco di famiglia ma, partendo da una modesta classe media, si era fatto da sé grazie ai propri sforzi e alla propria abilità nell'approfittare delle circostanze. Oltre che del sarto, del medico e del confessore, don Joaqufn disponeva, naturalmente, di un dentista amfco, per cui, s_e quel!' estate non fosse dovuto restare a Madnd a pr~p~are ti congresso del partito e se il dannato molare non gli s1 fosse spezzato proprio a metà agosto, questa storia non sar~bbe ~c~adu~a. Majl fatto è che il dente gli si spezzò. Il suo dentista d1fiducia, figurarsi, aveva abbandonato la città; e altri due o tre professionisti che conosceva per sentito dire non rispondevano. Rincasava dalla sede del partito, fuori di sè dal dolore, quando, nell'attraversare 1e decrepite viuzze della vecchia Madrid, vide un cartello legato ad un balcone con del fil di ferro: "Studio dentistico. Urgenze. Aperto giorno e notte, tutto l'anno". Mosso da ~n improvviso impulso, fermò il tassì e si lanciò impaziente verso ti portone della salvezza. Pochi istanti dopo, mentre saliva col fiatone i quattro piani senza ascensore, don Joaqufn cominciò a pentirsi della sua decisione. Le scale erano bisunte; il palazzo miserabile. Più saliva, più don Joaqufn era assalito da uno strano senso di scoramento, come se il sordido ambiente lo trasportasse 111 un passato minaccioso e ormai dimenticato. Fu così che, qua~do finalmente si ritrovò di fronte alla porta scrostata della clm1ca, don Joaqufn si attaccò al corrimano, boccheggiand?, e cominci~ a prendere in considerazione la possibilità di fare dietrofront-e d1 andarsene non appena recuperato un po' di respiro. Ma in quel momento la porta si aprì e apparve un uomo sui cinquantacinque anni, alto e corpulento, avvolto in un liso camice bianco. "Lei stava venendo qui", disse il tizio; più che una domanda era un ordine. E don Joaqufn, colto alla sprovvista, farfugli_ò:'_'Sf'. . Seouì il dentista lungo uno scuro e stretto corndo10 111 cui b . . . tintinnavano, sconnesse, tutte le piastrelle. Lo studio s1trovava 111 fondo, nella stanza del balcone: una poltrona con le cromature ossidate, un tornio sgangherato e primitivo, il calore polveroso del pomeriggio. Don Joaqufn sospirò. Ora, curiosamente, il molare non gli faceva male per niente. Però ricordava bene la mat~ata d'inferno che aveva passato: visto che il destino lo aveva condotto fin là, tanto valeva farla finita una volta per tutte. Si sedette coraggiosamente e aprì la bocca. "Mi pare di conoscerla", disse il dentista, Roso Montero. , accendendo le luci. Don Joaqufn mosse la testa, lusingato: "E possibile ...Sono Joaqufn Retama ... Sa, il politico". "Sì, certo!", sorrise il dentista: "Deputato del Partito Radicale Conservatore. Ma certo, la conosco benissimo!". Don Joaqufn sorrise anche lui o fece il gesto di sorridere, perché l'uomo gli stava già tastando la bocca; sapendolo famoso e importante, si disse sollevato, ti dentista avrebbe cercato di trattarlo meglio. "E lei è stato ministro della giustizia ai tempi di Franco", proseguì il ~izio in,tono c~rdi_~le. Afferrò il trapano. Il mostruoso apparecch10 rugg1 e com10c10a tremare come un martello pneumatico. "Ebbene sì. Sarà sorpreso di sapere quante cose so di lei. Per esempio,_so che ali' ini~io ~e?li anni Quaranta lei era funzionario al mimstero della g1ust1Z1a. Scommetto di sì". Si tirò indietro, estraendo il tJ·apano, e guardo don Joaqufn con amabile piacere. Don Joaqufn annuì, un po' preoccupato. Il dentista prese un bicchiere d' acq~a da uno scaffal~ e lo vuotò d'un sorso. Riaffondò l'apparecchio nella bocca d1 Retama. "E le dirò di più", aggiunse l'uomo. "Le dirò che a quei tempi lei portava un paio di baffetti dritti. Molto per benino. E i capelli, petché li aveva ancora, appiccicati ali' indietro con la brillantina". Nella stanza mal ventilata, don Joaqufn si sentiva sciogliere sotto le luci; ma la schiena, zuppa di sudore, gli si era improvvisamente trasformata in una pozza di ghiaccio. Sempre più a disagio, piantò lo souardo sullo scaffale di fronte. E là, accanto al bicchiere che ave~a creduto contenesse acqua, scoprì una bottiglia quasi vuota di gin. Guardò allora con spavento il volto del dentista, ~ pochi centimetri dal suo: gli occhi congestionati, la bocca sorridente, l'espressione maligna. E l'alito incendiario, ora se ne accorgeva, dell'ubriaco. "Non si sforzi a guardarmi: non può riconoscermi", disse l'uomo soavemente. "Io, allora, avevo solo dieci anni ... e lei poco più di venti. Quella che semmai può aver riconosciuto è la casa ... è la stessa. Ma poi non credo, perché sicuramente ce ne saranno stati molti altri, oltre a noi. Il nostro era il caso di Tomas Attero. Se lo ricorda? No, lo vedo che non ricorda. Era mio padre. Un elettricista della CNT. Una brava persona. Quando finì la oue1rn fu accusato falsamente, come tanti altri, e condannato a b morte. E qui entra lei, amico Joaqufn", sorrise l'uomo, pungendo, perforando, conficcando la punta del trapa~o nella bocca ap~rta. Un dolore acutissimo, come un lampo d1 fuoco, attraverso la mandibola di Retama. Urlò. "Ma guarda! Mi dispiace. Ho toccato senza volerlo un nervo sensibile ... Il fatto è che mia madre venne a sapere che c'era un funzionario che accettava bustarelle ... e un bel giorno apparve lei, arrogante, con il capello lustro e la pistola alla cintola. E lei disse ... Le ho fatto male di nuovo? Quanto m1 dispiace! ... E lei disse: 'Sì, posso ripulire la pratica se lei mi paga 53

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