SAGGI/DiEZ rischio di semplificarle troppo. Lo faccio inoltre accettando la sensazione che, in questo preciso momento, il romanzo europeo, e per certi versi la cultura europea in generale, si trovino in un periodo di crisi che ha parecchio di indefinito e confuso. Un'impressione alla quale aggiungerei una certa percezione di mancanza di vitalità, di debito eccessivo (senza ovviamente pretendere di generalizzare) con alcune ossessioni formalistiche inclini alla leggerezza, a un improbabile cosmopolitismo ed a una volontà estetica che sembra adottare come moderno un ambito neutro. Voglio continuare a pensare che il romanzo sia un lavoro lungo e ossessivo che si regge, attraverso i rivoli dell'immaginazione, sulla costruzione di un mondo in cui accade una storia vissuta da alcuni personaggi. Un mondo che esiste così com'è solo grazie alla parola e che solo in essa, nella lingua scritta, trova la sua rivelazione. Per lo meno, è così che desidero far prendere corpo ai romanzi che cerco di scrivere, nei quali l'illuminazione di tale mondo è un po' il limite, la meta che mi impongo, dato che svelarlo e renderlo chiaro significa davvero crearlo: poterlo offrire con la fisionomia e il battito che le parole, solo le parole ben scelte, procurano. Dunque il mondo romanzesco, letterario, immaginario, è un mondo autonomo, che può alimentarsi della più caustica realtà o della più fervida fantasia, ma che, come tale, si giustifica in sé e solamente da sé trae il suo ultimo significato. Come sappiamo tutti, l'idea del romanzo come scuola di vita è un'idea antica, che viene dall'eredità di quell'apogeo ottocentesco dell'arte di comporre romanzi, quando il genere era animato dalle più alte ambizioni e da alcuni dei suoi più significativi artefici. Il romanzo aveva conquistato la maturità ed era lo specchio della società che lo sosteneva: lo specchio di un'epoca, 50 Madrid in una fata di Genin Andrada (Contrasto) di una realtà, di un mondo, quello specchio lungo una strada di cui parlava Stendhal. Spesso l'uomo ha amministrato l'arte come se fosse una rappresentazione della vita e a volte si è esagerato fino a rendere troppo mimetiche le regole di questa rappresentazione. Nel fulgore del romanzo del XIX secolo, il riflesso della vita si coglie intensamente attraverso la sua indagine narrativa che, molte volte, raggiunge un'estrema purezza letteraria e un potenza difficile da superare. Ma, in quel periodo di precari mezzi di comunicazione sociale, il romanzo assolveva anche un compito informativo: integrava ai suoi temi immaginari, in modo più o meno equilibrato, importanti ragguagli sul mondo e sulla società in cui nasceva e si diffondeva. Tutto ciò contribuiva a delineare meglio quel valore di scuola di vita così caratteristico di un genere narrativo molto adatto alla conoscenza della realtà, dei comportamenti sociali e psicologici, degli sconvolgimenti interiori dell'essere umano, delle sue ambizioni, gioie e sventure. L'immagine dello specchio descrive perfettamente ciò che è stato il romanzo, ed è ancora in parte valida. Ogni arte del narrare o del rappresentare ha per fonte la vita, sia che voglia emularla, sia che voglia soppiantarla. E probabilmente proprio in questo consiste l'orientamento di ciò che il romanzo moderno è o pretende di essere: nella profonda trasformazione che presuppone il non copiare la vita, bensì rimpiazzarla, non dipendere da essa come ineludibile punto di riferimento, ma sostituirla con quell'altra realtà immaginaria. A partire da quell'auge del secolo scorso che tanto l'ha fatto risplendere, l'evoluzione del romanzo si può osservare
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