Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

Volevo aprire gli occhi e gridare però non ne fui capace. Un leggero tremi tosi impadronì di me quando sentii l'ago conficcarsi nella vena. Devono essere molti anni ormai che l'Arianna è un locale chiuso, polveroso e dimenticato, dove io dormo felice. La minestra Per sei anni mangiai sempre nello stesso ristorante. Uno di quei locali economici in cui la perseveranza è ricompensata solo dalla comodità di non dover decidere ogni giorno dove compiere quel la formalità irrinunciabile. Ci sono stomaci che non ricercano particolari gratificazioni ed il mio era uno di quelli. Durante quei sei anni mangiai tutti i giorni come primo piatto una minestra della casa, giallognola e non ben definita, nella quale galleggiavano sfiduciati alcuni tagliolini. Il giorno in cui chiuse quel locale, e io, con una mezza dozzina di avventori, festeggiai il malinconico commiato sorbendo l'ultima zuppa, mangiando l'ultima bistecca e ringraziando per il brindisi piagnucoloso del padrone, accompagnato da uno spumante di marca infima, una strana tristezza pervase il mio animo. Non avevo mai sentito, durante i miei pasti solitari, nessuna solidarietà con gli altri abitudinari del "Cifuentes", né col padrone, né con i camerieri, né con Rosina, la cuoca, che vidi per la prima volta il giorno della chiusura che reggeva tremante la sua coppa di bollicine. I due anni successivi furono devastanti per il mio stomaco e per il mio equilibrio emotivo, giacché sperimentai che tra l'uno e l'altro vi era una strana corrispondenza. Vagai per i più svariati ristoranti cercando un sollievo o una ricompensa che non riuscivo ad individuare. La mia vita andava alla deriva e il ricordo della minestra del "Cifuentes" era qualcosa che influiva come una frustrazione al punto di invadere i miei sogni. Finché un giorno, in una lontana bettola della periferia, quando ormai già mi avevano cacciato dalla ditta e conducevo un'esistenza impoverita e malata, ritrovai la vecchia minestra giallognola e non ben definita. Oggi Rosina è mia moglie e io ho recuperato l'equilibrio e la stima della mia modesta condizione. Realismo La mia dissertazione sul Realismo annoiò persino i sassi. Quegli studenti universitari non erano minimamente interessati ad a coltarmi e nemmeno il professore che mi aveva invitato in Facoltà stava molto attento. Quand'ebbi finito, solo come un cane, me ne andai al bar e tra il vociare degli studenti e l'odore penetrante da mensa a basso prezzo che ricordavo dai miei anni giovanili, buttai giù tre whisky uno dopo l'altro. Lo stomaco vuoto mi giocò uno dei soliti brutti tiri. Cercai il bagno e mi ci rinchiusi dentro per risolvere i miei guai. Mi ci volle una buona mezz'ora per riprendermi. Tra le oscene ed insidiose scritte incise sulla porta, una mi sorprese notevolmente: "Sii reali- LuisMaleo Diez. STORIE/DiEZ sta, chiamami", un numero-di l())efono e un nome femminile. Mi era passato il vomito, ma non il malessere e in tali occasioni ricorro ad un quarto whisky che in genere riesce a sedimentarsi. Dal malessere passai all'euforia ed al sesto whisky ero già al telefono a comporre quel felice numero e pronunciare il nome in questione. "Sono realista" dissi, quando la voce femminile confermò di essere lei. Mi diede subito l'indirizzo e disse che mi aspettava. Un livello medio di ebbrezza riesco a mascherarlo bene, e in più mi rende scherzoso e affettuoso. Le mie dissertazioni sul Realismo risultano sempre deludenti e in nessun posto mi hanno mai chiamato due volte a tenere una conferenza. Però sono molteplici le circostanze fortuite, mai accademiche, che mi aiutano a mantenere salde le mie idee. Sul romanzo traduzione di Silvia BottineUi e Stefania Tripepi Tenterò di dire qualcosa a proposito dell'esperienza del romanzo, del suo senso e della sua sorte in uno scrittore di oggi che, prossimo alla fine del millennio, è cosciente del fatto che con il suo lavoro contribuisce, con maggiore o minor fortuna, al perpetuarsi di un genere con caratteristiche molto peculiari e con uno sviluppo estremamente vario e problematico. È consapevole, e non può essere altrimenti, dell'eredità di quello che il romanzo è stato finora e disposto - a partire dall' ambito personale in cui la sua esperienza si consuma - a scommettere sull'immediato futuro di un genere i1Timediabilmente perfezionato e rinnovato. Vorrei parlare, in concreto, del futuro della finzione letteraria. Riconsiderando le mie scommesse e convinzioni, vorrei formulare alcuni suggerimenti rivolti oltre il crocevia di fine secolo, intorno a quello che il romanzo potrà diventare partendo da ciò che è attualmente, e intorno alla prospettiva che noi romanzieri europei contemporanei dobbiamo porci come specchio vicino, se vogliamo che il corso dei tempi non ci travolga, con la lucidità di un giusto equilibrio tra ciò che conviene continuare a tramandare e quello che non è ormai più necessario. Per questa stringata riflessione scelgo il terreno delle mie scommesse e convinzioni, che scorrerò velocemente, anche a 49

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