Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

STORIE/ZUNIGA della sala da pranzo: "Ho superato i sessant'anni e nulla per me ha valore a parte te: il posto, le onorificenze, i buoni rapporti con il ministro, i ricevimenti a palazzo non mi Juan Eduarda Zuiiiga. importano niente". Ignacio Bauer sembrò estraniarsi. "Mio nipote Franz insiste nel voler venire, gli piace viaggiare, vuol fare lo scrittore. Io qui sono uno straniero, come lei sa, vivo come un esiliato, ho rinunciato alle mie origini, ai miei avi. Mio nipote Franz lo verrebbe a sapere e allora lo saprebbe anche tutta la famiglia di Praga ..." "Ah, Praga, che bella città! Ci sono stato anni fa: la nebbia, i campanili, il fiume ..." Aveva guardato le fotografie di luoghi che conosceva dai suoi soggiorni a Praga, e gli diedero ancor più fastidio perché era lei a mostrargliele. La rivista finì col cadere sulle belle gambe nude e lui allora si alzò, fremendo ancora innervosito e al contempo vittima della malia, sempre rinnovata, sprigionata dal corpo che si profilava sotto la vestaglia leggera. "Sono già vecchio, ma devo confessarle che con me vive ... qualcuno che ... per me è tutto; altrimenti la mia vita sarebbe insopportabile." "Mio caro Loewy, come può dire questo? Lei è niente meno che il Direttore Generale delle Ferrovie Spagnole dell'Ovest, una compagnia in piena espansione che porterà i villeggianti a Estoril, con la sua spiaggia e il casinò, che sta già facendo concorrenza a Nizza e a Montecarlo ..." "Non devono sapere che ho rinnegato la Legge, ma era indispensabile tagliare i ponti con la sinagoga per essere accettato in Spagna." "Sì, a suo tempo me lo raccontò ed io compresi le sue ragioni. Qui non sarebbe possibile ... una sinagoga come quella di Vienna, o quella di Praga, così bella quando c'è la nebbia." La nebbia s'alza dal fiume, veste di una patina lieve i palazzi, le chiese, le statue, le strade deserte, gli alti tetti e gli alti comignoli, fa che ogni angolo sia mistero e, attraverso la sua bruma - così simile al fumo che cade sui binari e trasforma i viaggiatori in fantasmi -, Franz Kafka, il nipote, con la sua giacca attillata, il colletto duro, le guance scavate ed i I sorriso beffardo, avanza verso don Alfredo Loewy, che chiama "lo zio di Madrid". "La prego di capirmi, è il mio ultimo amore, il più necessario." "La capisco bene, mio caro amico, l'ultimo amore, comprendo ciò che mi dice." Bauer fece scorrere le dita sul fermacarte di bronzo, una stella a sei punte, e tenne qualche istante gli occhi chiusi. "Anni fa lessi una poesia che si intitolava così; non ricordo più, forse era di un poeta russo. Alla fine diceva: 'Oh, tu, ultimo amore, sei benedizione e disperazione'. Ma questo suo nipote vuole davvero venire? E fa lo scrittore?" Chi spunta dalla nebbia ha una lettera in mano perché lei esclama: "Non hai visto la lettera che ti è arrivata? Deve venire da Praga" e gli indica qualcosa sul tavolino, dove ci sono un orologio che fa girare le sue lancette inesorabili e un vassoio dai manici 48 argentati. Sulla grande scrivania, piena di incartamenti e libri, al centro della quale sta il lussuoso servizio da scrittoio in cristallo, le dita di Ignacio Bauer tamburellano sul legno lucido e anche la mano di don Alfredo preme con forza mentre ascolta due parole che non comprende, "benedizione, disperazione", ma che rischiarano di una luce di certezza l'abisso della sua inquietudine. Prese la busta, guardò i francobolli, la scrittura e la strappò bruscamente: dentro, un foglio con scritte alcune righe. Si gira verso la donna e lentamente dice: "È molto grave, ha la tubercolosi". Sul viso di lei l'allegria, la gioventù, l'espressione irriverente si mutano in turbamento. Don Alfredo si affaccia al balcone e guarda il cavallo affaticato che tira una carrozza, alcune persone che passano sotto i lampioni e la guardia notturna che batte il bastone al suolo; la notte afosa conserva la sua opacità, il suo vuoto, il suo silenzio, ma un senso di sollievo impercettibilmente cresce, sale e pervade il cuore del rinnegato. TRE RACCONTI E UN SAGGIO Luis Mateo Dfez traduzione di Angela Pisoni e Beatrice Villa Cine Arianna La prima notte che mi addormentai nella platea del Cine Arianna mi resi conto che per un uomo solo come me, dai mezzi così limitati, quel locale era una soluzione più attraente di quella delle sale d'aspetto delle stazioni. Mi son sempre piaciuti gli spazi grandi e l'oscurità vuota dell'ultima proiezione di quelle sale di quartiere come l'Arianna. Continuai a dormire nella platea altre notti, finché in una di queste mi svegliò un rumore e distinsi nell'oscurità lo scintillio di una torcia elettrica.Un uomo avanzava controllando una fila dopo l'altra e io mi sentii incapace di muovermi, come se il sonno interrotto mi avesse mummificato. Decisi semplicemente di rimanere così, rigido sulla poltrona, come un dormiente che potesse tra mettere una impressione di morte. L'uomo arrivò alla mia altezza e il fascio di luce della torcia mi illuminò il viso, percorse il mio corpo. Lo vidi brontolare infastidito. Con difficoltà, ma con indubbia abilità, si caricò il mio corpo sulle spalle mentre io attenuavo la mia rigidità senza azzardarmi neanche a respirare. Poi riuscii ad avvertire che mi stendeva su una superficie piana e, dopo avermi tolto la giacca, mi sollevava la manica della camicia.

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