SAGGI/FERLOSIO Rafael Sanchez Ferlasio foto di Giovanni Giovannetti. Fin dalla sua prima uscita, Don Chisciotte legge con l'immaginazione e "come in profezia" ciò che di quello stesso mom\!nto dirà la narrazione delle sue imprese: "Strada facendo, quindi, il nostro cavaliere nuovo fiammante, camminando parlava tra sé e diceva: -Chissà che nei tempi futuri, quando venga alla luce la veridica storia del le mie celebri gesta, l'erudito che la comporrà non scriva, allorché giungerà a narrare questa mia prima uscita di mattina presto, così: 'Aveva appena il rubicondo Apollo disteso per la faccia dell'ampia e vasta terra le fila dorate dei suoi bei capelli, e da pochissimo i piccoli e variopinti uccelletti avevano salutato con la dolce e melliflua armonia delle loro melodiose voci l'apparire della rosata aurora, la quale, lasciando il morbido letto del geloso marito, si mostrava ai mortali dalle porte e dai balconi del mancego orizzonte, quando il famoso cavaliere Don Chisciotte del la Mancia, lasciate le oziose piurne, salì sul suo famoso destriero Ronzinante, e prese a cavalcare per l'antica e celebrata campagna di Montiel"' (Cap. Il). Ci troviamo qui di fronte a una situazione metalinguistica in cui Don Chisciotte racconta a se stesso esattamente quel che sta accadendo, come se lo leggesse molto tempo dopo in un testo immaginario. La pagina, soprascritta come in un palinsesto, vive in un doppio "adesso": mentre nel racconto immaginario Don Chisciotte si vede rappresentato come un personaggio di destino, nel racconto che ci presenta Don Chisciotte che immagina se stesso, anticipatamente, come personaggio della sua vera toria, Don Chisciotte appare come personaggio di carattere. Nonostante quest'ambivalenza, e addirittura sulla spinta e a motivo di essa, se c'è mai stato al mondo un personaggio di carattere nel senso più pieno ed esclusivo che si possa immaginare, è senz'altro Don Chisciotte. La geniale trovata di Cervantes sta precisamente in questo: nell'aver concepito un personaggio di carattere il cui carattere però consisteva proprio nel credersi, nel voler essere o nel comportarsi come un personaggio di destino, la cui epopea avrebbe potuto un giorno essere narrata. E ancor di più, mi azzarderò a dire che quel personaggio di carattere, facendosi personaggio di destino e affrontandone e patendone tutte le dolorose conseguenze, fu come il Cristo dei cavalieri erranti che, scendendo nell'inferno della cavalleria, riscattò quei condannati dalla maledizione eterna del destino. 46 IL NIPOTE DI PRAGA NON ARRIVERA JuanEduardoZuiiiga traduzione di Sara Scrinzi Verrà senza avvertire e suonerà alla porta. Gli dovrò aprire. Vorrà stare in questa casa. Me lo troverò davanti con il cappello calato fino agli occhi, con la valigia in mano. "Non è possibile che venga, Io sai bene." Attraverso la porta aperta del balcone la voce della donna si perse nella notte e don Alfredo credette che gli avesse parlato a voce molto alta. Lei stava seduta in poltrona, sfogliando riviste sotto la lampada che attirò una libellula. La cacciò via, ma, così facendo, la vestaglia le si aprì un poco scivolando sulle gambe, che rimasero scoperte, bianche, ben tornite, solo attraversate a metà della coscia da una linea rosa, che era il segno lasciato dalle giarrettiere. "Sì, potrebbe arrivare, inaspettatamente. Forse con l'espresso da Irun delle 8.40 ..." mormorava lui e, come andandogli incontro su un binario, si affacciò al balcone, ma, nella strada, il caldo di fine giugno, una carrozza che avanzava, lo sferragliare dei tram alla Puerta del Sol non gli diedero risposta; lontano una voce gridò qualcosa di incomprensibile, ma sui marciapiedi non passava nessuno e non vide arrivare un uomo alto, longilineo, con una valigia o una borsa da viaggio e, magari, l'ombrello ben avvolto appeso al braccio. Mentre stava dando queste indicazioni al controllore che gli stava ritto innanzi e lo ascoltava rispettosamente, pensò che il nipote sarebbe arrivato all'altra stazione, proveniente da Barcellona, che, come città mediterranea, avrebbe dovuto attrarlo di più. "Un giovane abbastanza alto, con il viso magro, occhi molto scuri, perfettamente rasato, che non parla lo spagnolo" ma il controllore fece un cenno di diniego col capo e guardò di sottecchi il caposervizio al suo fianco, anch'egli attento all'ometto minuto, vestito di nero, colletto a farfallina, completamente calvo, come notarono quando si tolse la bombetta e la posò sul tavolo. "Può arrivare in qualsiasi momento, vorrà stare in questa casa" esclamò forte, per controbattere ciò che lei aveva detto e perché lo sentisse bene, ma la donna era ancora presa dalla lettura della rivista. Don Alfredo rientrò dal balcone, ristette pochi secondi a contemplare il candore delle gambe illuminate dalla lampada, che lasciava in ombra il resto della stanza, e dal suo petto uscì un respiro intenso e caldo che lo tranquillizzò. Si chinò verso la donna e le mise le mani sulle ginocchia, morbide, fresche. Ella alzò lo sguardo sui baffi che fremevano, osservò la lucentezza della pelata e la fissità dei suoi occhi, e la pressione delle dita che tradiva uno stato d'animo angosciato. "GI ielo posso assicurare, signor Direttore: con l'espresso delle 8.40 non è arrivato nessuno che risponda a questa descrizione. Oggi ha fatto un po' di ritardo ..." e accennò un inchino a don Alfredo, desiderando in cuor suo che se ne andasse e non facesse altre domande. Ma lui fissava dal finestrone i binari ben illuminati, con la gente che andava e veniva portando bauli e ceste e i facchini
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