condividiamo più la fiducia in una serie di verità universali e la fede in una manciata di formule politiche atte a cambiare la storia, siamo parte di un sistema economico e politico sempre più inamovibile e profondamente assimilato, il quale ci modella e accomuna più di quanto molti vogliano riconoscere. L'attenzione al proprio intimo acquisisce sempre maggiore rilevanza, ma i modi di occupare il proprio tempo privato sono fabbricati in serie nelle industrie del consumo. Tutti cerchiamo di distinguerci ed emergere dalla massa, senza renderci conto che le cause e i fini, le possibilità e i limiti del nostro modo di comportarci, anche se appaiono infinitamente diversificate da una moltitudine di rachitiche sfumature, sono sempre più prevedibili e stereotipate. Senza dubbio siamo diversi ed ogni individuo ha le sue prerogative; ma, da qui a credere che tutto quello che accade a ciascuno sia unico ed irripetibile, c'è un abisso, e tutto lascia supporre che la maggioranza dei nostri scrittori si sentano tali e respirino a pieni polmoni solo quando fingono la caduta libera in questa abissale imponderabilità. Piegati come siamo dal peso del quotidiano che il sistema impone nell'area sempre più estesa delle strutture fondamentali, non è strano che un'ansia patologica di diversità si impadronisca di tutto ciò che è accessorio: apparenze esteriori, attitudini, gesti, modus vivendi, riti secondari, comportamenti legati alle specializzazioni produttive ... Questo inarrestabile accumularsi di simulacri, tesi a legittimare l'apparente diversificazione della realtà, trova terreno favorevole nell'arte e nella letteratura.Quest'ultimo ambito;già per vocazione dedito a sperimentare forme immaginarie dell'anima umana, appare oggi infestato da un nugolo di minuscole varianti animiche con velleità di originalità assoluta e da esperienze tanto insignificanti da sfiorare l'intangibile. Ossessiva distinzione Malcapitati emuli del Canetti dei Cinquanta Caratteri, molti tra i nostri scrittori si consegnano ali' euforia non so se dell' invenzione nel vuoto o del vuoto nell'invenzione. Tendono a divenire schiavi di un deviato ed epilettico desiderio di unicità, si estasiano dinanzi allo schermo della loro impostata particolarità. Con la rinuncia a decifrare i fondamenti e gli scopi della scrittura, a scoprire i lacci che la uniscono alla società e le sue eventuali astuzie e miserie, creano un mondo sussidiario, un regno che non è quello dell'"arte per l'arte", bensì quello dell'anemica ossessione di distinguersi, per arrivare ad ogni costo alla qualifica di "originale". Il porre su un trono questo mondo di false differenze dà assuefazione, instupidisce, e funge da alibi ad un sistema che funziona dando l'impressione di incoraggiare l'espansione di individualità ricche e diverse, ma che, in realtà, foggia tutti sul modello universale della merce: ogni genere di vincolo, di contatto umano, tende a cedere davanti all'utilitarismo, al calcolo ed al basso interesse imposti dalla bramosia di alzare il proprio prezzo e dalla necessità di ognuno di trasformarsi nel proprio valore di scambio. Ciò che si rimprovera ai nostri romanzieri è che la loro soggettività ed attitudine all'introspezione siano epidermiche; SAGGI/UGALDE che essi non siano in grado di approfondire le loro ossessioni particolari abbastanza per rivelare a se stessi ed agli altri la matrice delle consuetudini nascosta dietro le più sottili vanità private; che, lungi dall'indagare, ricostruire ed evidenziare gli stereotipi del nostro tempo, le motivazioni clandestine ma comuni del comportamento, cagione, quando scoperte e descritte per la prima volta, della catarsi e del riconoscimento da parte del lettore, essi si stanchino troppo presto e si impigriscano in vaghe ed autocompiacenti stravaganze. In una parola, il peccato dei nostri romanzieri è la mancanza e non l'eccesso di soggettività, di autoanalisi, di idiosincrasia. Solo percorrendo questa strada e dopo aver svelato fino alle ultime conseguenze tutti i vincoli con l'ambito del quotidiano, l'autore può raggiungere e trasmettere la sua versione personale ed intrasferibile del mistero dell'esistenza, quella sorta di tremito metafisico che suole raccogliersi tutto in poche visioni e parole, ed al quale, in fondo, si riduce qualunque identità quando, spogliata del superfluo, si confronta con il mondo del non-io. LA VERITÀ SU DON CHISCIOTTE Rafael Sanchez Ferlosio traduzione di Danilo Manera Le due grandi categorie di personaggi della letteratura (e forse anche della vita) derivano dalla contrapposizione tradizionale tra carattere e destino. Personaggi di carattere sono gli archetipi, generalmente comici, puramente epifanici, che non nascono, né crescono né muoiono, ma si ripetono sempre in situazioni in cui confermano il proprio carattere, come Charlot, i protagonisti delle storielle settimanali dei fumetti o, nella vita, lo scemo di Coria, il nano di Vallecas e gli altri mostri o buffoni della corte di Filippo IV dipinti da Velazquez. Questi ultimi assolvevano senza dubbio per l'anima del malinconico re la funzione di alleviare, con il ripetersi di un eterno presente (quello del loro immutabile carattere), la percezione di un tenebroso, precipitante e travagliato destino che si abbatteva sul loro re prigioniero degli artigli di Richelieu. I personaggi di destino sono gli eroi, epici o tragici, pienamente attuati, che nascono o iniziano o partono e muoiono o finiscono o tornano nel corso di una peripezia in cui si compie il loro destino. I personaggi di carattere respirano nel disteso "adesso" del tempo consuntivo; i personaggi di destino corrono senza tregua attraverso il convulso tratto fugace tra il ieri e il domani del tempo acquisitivo. 45
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