Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

I CONFRONTI I Dinosauri e titani Marisa Caramella Questioni di correttezza politica e questioni di correttezza scientifica agitano la scena hollywoodiana di questi primi anni Novanta quasi quanto i processi del senatore Joseph MacCarthy quella degli anni Cinquanta. Resta solo da sperare che l'accelerazione imposta dalla dittatura dei mezzi di comunicazione di massa a ogni fenomeno culturale ci risparmi un paio di decenni di produzioni mediate ed edulcorate su questioni di genere e di etnia. Finché il pericolo era rosso, Hollywood poteva contare su massicci afflussi al botteghino ogni volta che un regista decideva di sventolare un drappo con falce e martello sotto il naso degli americani. Ora che il pericolo è multicolore e sessuato, non ci sono più certezze per chi decide di investire decine di milioni di dollari in una produzione cinematografica: bisogna fare i conti, letteralmente, con reazioni di ogni genere e colore. Mai stagione cinematografica estiva ha visto in America la programmazione di tanti blockbuster l'un contro l'altro armati. Da Jurassic Park a Rising Sun, da In the Line of Fire (Nel centro del mirino)a The Firma The Fugitive (Il Fuggitivo), la parola d'ordine di produttori, sceneggiatori e registi è: come far scorrere adrenalina senza suscitare reazioni viscerali e ormonali; come sollevare questioni etnico-politiche per poi lasciarle cadere con grazia nel calderone della correttezza politica; come salvare capra e cavoli. La notizia che Michael Crichton, autore di due libri da cui sono tratte le produzioni meglio finanziate della stagione, è al lavoro su un romanzo del quale ha già venduto i diritti cinematografici per alcuni milioni di dollari, sembra indicare che ne avremo ancora per un po': tanto più che questa volta, invece di cimentarsi con il thriller scientifico del quale è indiscusso maestro (oltre a Jurassic Park, Congo, Sfera, Andromeda), il titano delle classifiche librarie (tutti i romanzi sopra citati occupano da mesi i primi posti di quella dell'inserto domenicale del "New York Times"), questa volta ha scelto come tema della nuova impresa letteraria la molestia sessuale: come dire la questione di correttezza politica per eccellenza. Già Sol levante-libro ha suscitato un dibattito serrato: dalle pagine della "New York Review of Books", che di solito non si occupa di bestseller, Ian Buruma, esperto di cose giapponesi, ha paragonato il romanzo alla letteratura tedesca di propaganda antisemita degli anni Trenta e Quaranta, denunciando l'uso, da parte di Crichton, di espedienti e cliché narrativi intesi a imprimere nella mente del lettore l'immagine dei giapponesi come popolo "autoeletto", deciso a conquistare l'America nel corso di una guerra economica senza esclusione di colpi, di cui la nazione e la classe politica USA, addormentate e ignave, nemmeno si rendono conto. Inutile dire che Crichton tratta la materia del suo romanzo con mano pesante ma senza la rozzezza faziosa di cui viene accusato: l'impressione lasciata sul ~ran pubblico dal dibattito rispecchia l'indignazione dei critici. E certamente per questa ragione che Philip Kaufman, chiamato a dirigere il film tratto dal romanzo, ha deciso di rigirare la frittata, di mostrarne cioè il lato "giallo" nel senso di thriller invece che di colore della pelle. Per prima cosa, ha scelto per la parte del tutto americano e onesto tenente Smith, Wesley Snipes, afroamericano vessato, oltre che dalla Storia, da una ex moglie "giapponesizzata". Una polizia americana tutta bianca avrebbe semplicemente fatto da contrappunto all'uniformità giapponese di aspetto e di intenti; mentre è chiaro che la forza, seppur sopita, dell'America sta nella diversità culturale dei suoi abitanti. E non a caso Wesley, inseguito dai killer giapponesi, farà un'opportuna deviazione nel quartiere nero di Los Angeles, dove una banda di giovani afroamericani scherzosi e bonaccioni, come se ne vedono di rado al cinema, traggono l'America d'impaccio. Non basta: le repellenti quanto misteriose abitudini sessuali dei gialli, che Crichton faceva balenare senza mostrarle del tutto nel libro, sono nel film innocue e anche divertenti: un playboy giapponese occidentalizzato, accusato ingiustamente dell'omicidio di una ragazza bianca (questa sì, dai gusti sessuali un po' strani), viene ripreso nel corso di una piccola orgia in cui si destreggia tra bastoncini, sushi, sashimi, sake, capezzoli e pancine nude con l'abilità di un giocoliere, più che di un erotomane. L'eroe erotico e non del film, comunque, è l'esperto di cose giapponesi O'Connor-Sean Connery (si sussurra che Crichton l'abbia battezzato nel romanzo con già in mente l'anziano sex symbol, per la parte). Connery, nonostante i capelli bianchi come la vetta del FujiamaParamount, intrattiene una focosa relazione con una stupenda mezzosangue (giallo-nera), mentre il giovane Snipes barcolla in preda ai postumi del matrimonio con la sua americana dura e profitoriented. Per fortuna il regista decide, di testa sua, di lasciar letteralmente aperto uno spiraglio, se non proprio di far largo, anche ai giovani: nella scena finale del film, la bella e ambigua ragazza, vittima del razzismo dei giapponesi nei confronti dei mezzosangue, genio dell'informatica costretta a lavorare nel laboratorio sotterraneo di un'università americana sull'orlo del collasso per mancanza di fondi, dimentica (?) di chiudersi la porta alle spalle, quando un eccitatissimo Snipes, riaccompagnandola a casa, le chiede di entrare. Forse è azzardato ipotizzare una nuova forma di correttezza politica, nel lodevole tentativo hollywoodiano di non discriminare gli ultrasessantenni. D'altra parte, a sostegno di questa ipotesi si può portare unaltro blockbusterdellastagione. Nel centro del mirino, di Wolfgang Petersen, contrariamente a Rising Sun, che può contare su una regia che, almeno nella prima parte, non perde un colpo, si regge quasi interamente sull'interpretazione di un old-timer come Clint Eastwood. La storia è quella di un maniaco (John Malcovich, bravo da gelare il sangue) allevato in vitro dalla CIA come i velociraptor di Jurassic Park, che si mette in mente di ammazzare il presidente degli Stati Uniti, lanciando una sfida esplicita a Eastwood, attempato agente FBI che si è lasciato assassinare un altro presidente sotto il naso, a Dallas, una trentina d'anni prima. Alla richiesta dello stagionato agente di essere assegnato al servizio di protezione del primo cittadino della nazione per potersi riscattare, il "capo" risponde con un "Ma tu sei un dinosauro!" e un'espressione perplessa e stupita quanto quella dei · paleontologhi di Jurassic Park davanti ai rettili preistorici redivivi. Forse la battuta era già nel copione prima che scoppiasse la "dinomania" spielberghiana, ma potrebbe invece darsi che lo sceneggiatore e il regista l'abbiano concepita dopo essersi fatti contagiare dal morbo, seppure in forma lieve. Dato che nel film Eastwood, rugoso come un brontosauro, ansimante in corsa, facile ai raffreddori, demodé nelle tecniche di corteggiamento, finisce col far fuori John Malcovich-velociraptor, e col far breccia nel cuore di una bella collega grazie alla distrazione sessuale e sentimentale delle giovani leve FBI occupate a far carriera, si ha il sospetto che il regista abbia voluto divertirsi rivalutando la categoria degli anziani e proteggendo dall'estinzione, sia pure sul piano metaforico, la specie dei dinosauri hollywoodiani. 35

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