e le nevrosi non tanto latenti del funzionario della sorveglianza della Rinascente, si fa crescere i basettoni e indossa le camicie sgargianti di un mezzo zingaro (e la sua trasformazione. forse, è la meno convincente del film); lei, che portava il sottanone gitano e si faceva segni di guerra sulla faccia con un rossetto forse rubato. diventa il personaggio davvero problematico, quello che percepisce più tragicamente la difficoltà di non appartenere completamente a nessuno dei due mondi. Scommessa curiosa, quella di Silvio Soldini, il più bravo e il meno pacificato dei cineasti italiani emersi all'inizio del decennio scorso: al quarto lungometraggio (i primi due, Paesaggio con figure e Giulia in ottobre furono definiti medi, ma avevano già durata e struttura narrativa da lungo2, accetta la sfida, da un lato, di uscire dalla dimensione metropolitana che gli è propria e, dall'altro, di reinventare il film di viaggio all'italiana secondo cadenze più plausibili e meno comiche di quanto non faccia Gabriele Salvatores, che fa i film "per quelli che fuggono", ma poi ad andarli a vedere sono quelli che restano a casa, ancora con il cellulare e il doppio petto a spalle larghe un po' burino. Nella pubblicità Un'anima divisa in due viene definito un road movie, ma è più un road movie alla Mazzacurati che alla Salvatores; privilegia la scoperta di se stessi attraverso la provincia (e dove altro si potrebbe scappare in ltalia?) a quella rincorsa verso altri miti e altri lidi che ci racconta la psicologia dei quarantenni ma non ci spiega poi come facciano a sopravvivere i quarantenni che restano, e che (quel che è peggio) si è ormai trasformata in fiacca maniera. I paragoni sembrano inevitabili quando si. parla di giovane cinema italiano, soprattutto quando ci si trova davanti a un film che rientra bene o male in uno dei "generi" più battuti degli ultimi anni, commedia, film civile, o, appunto, film di viaggio. Tali e tante sono state le delusioni o le false promesse della generazione dei registi quarantenni che la loro difesa non può più essere d'ufficio, ma deve essere mirata ai singoli talenti. Tanto più in un caso come quello di Un'anima divisa in due, che può facilmente essere scambiato per un cedimento del suo autore alla suggestione facile del viaggio (o della cultura alternativa rom, che va di moda sui giornali) oa una sua battuta d'arresto. In realtà, mi sembra che si tratti più di un film di transizione, di un tentativo di Silvio Soldini di scoprire nuove tensioni e nuovi interessi narrativi. È vero che un regista può anche raccontare per sempre la stessa storia; ma è anche vero che l'involucro deve un po' variare e che Soldini prima o poi doveva uscire dai uoi ritratti impietosi e pudichi di solitudini metropolitane. Il suo percorso (all'incontrario) assomiglia a quello di Carlo Mazzacurati, che l'anno scorso con Un'altra vita ha abbandonato il viaggi odi provincia per confrontarsi con la solidarietà finta e becera della metropoli romana. E non è un caso che tutti e due, volendo mettere in scena un alieno che sconvolge il tran tran del protagonista, abbiano scelto una dise34 CONFRONTI redata slava, che sarà anche una figura ..facile" e un po' inflazionata dalla cronaca, ma è senz'altropiùonestadi un'afona ValeriaGolino tra Jackie Coogan e Emporio Armani che bamboleggia in Messico. Non ce l'ho in particolare con Gabriele Salvatores, più buon regista medio che autore; ma in questo momento rappresenta, per il successo che ha avuto, l'onda lunga e pigra della ripetizione cui mai e poi mai un cinema debole come il nostro dovrebbe abbandonarsi, pena l'inflazione e l'abbrutimento nella noia. Soldini invece, comeMazzacurati e pochissimi altri, sta ancora cercando, senza per questo smentire certe costanti dei film precedenti. In Un'anima divisa in due ci sono ancora l'eleganza un po' rarefatta dell'inquadratura, il gusto del personaggio stagliato contro uno sfondo industriale, la capacità di chiudere una scena prima che si sfrangi in troppe parole e quella di guidare gli attori sempre al sottotono, che caratterizzavano Tre foto di lavorazione del film di Soldini idi Philippe Antonella). gli altri film di Soldini. Certo, la parte milanese, tenuta sotto una cappa, è più compatta di quella on th.eroad, e certe soluzioni narrative sono un po' banali (l'incontro di Pabe "civilizzata" con l'altra zingara, un po' troppo Cat People, e il suo colloquio con l'impacciato capo del personale che la licenzia, un po' troppo tempista rispetto alla piega che ha ormai preso la storia). Ma una capacità affabulante non si inventa in un giorno; e il nostro cinema in questo senso è quasi a zero. Silvio Soldini, senza tradire la misura, la malinconia e l'incapacità di essere felici di L'aria serena dell'ovest, corre il rischio di raccontare storie. A finale aperto, come è giusto che sia, con i personaggi spersi, il paesaggio smembrato e le identità in bilico. Ma comunque storie e fughe che uno qualsiasi di noi potrebbe intraprendere anche domani.
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