CONFRONTI Ceti ed emozioni. Ungrande film di MartinScorsese Paolo Mereghetti Con il proseguire della sua carriera, Martin Scorsese si rivela sempre più quell'antropologo cinematografico che i primi film facevano sperare ma non supporre. E invece la tendenza alla ricapitolaziane (e al gigantismo) che sembra contagiare i migliori autori formatisi a cavallo dei Sessanta (il pompierismo di Bertolucci ma anche la magniloquenza coppoliana) trova nel regista italo-americano la lucidità dell'analisi sociale unita alla padronanza dell'espressione. Le stesse qualità che per altro si trovano nel romanzo di Edith Wharton L'età dell'innocenza, così lontano dal folclore esagitato dei piccoli boss di Little Italy, ma così vicino alle tragedie implosive che la legge del clan impone ai suoi membri. Storia di una coppia potenziale di amanti (I' avvocato Newland Archere la baronessa El len Olneska) la cui possibile relazione è sconfitta dalle ostruzioni sociali nella New York a cavallo tra Ottocento e Novecento, il dramma femminista della passione punita in nome delle regole dell'etichetta era stato raccontato da Edith Wharton "senza rancore e con un velo poetico di lontananza" (per usare le parole illuminanti di Edmund Wilson) ma non senza quella sotterranea precisione descrittiva capace di far risaltare l'istinto di protesta della scrittrice contro le convenzioni borghesi. Scorsese mantiene quel velo (anche fuor di metafora, come nei bellissimi titoli di testa di Eia ine e Saul Bass) e con rara sintonia rilegge nel romanzo i motivi della lotta tra il singolo e la comunità che lo circonda, tra l'impulso libertario dell'individuo e le regole 32 Sopro: Doniel Doy·Lewis e Michelle Pfeiffer; sotto o sinistro ancoro Michelle Pfeiffer, o destro Winono Ryder nell'Età de/l'innocenza di Scorsese. soffocanti del gruppo che da sempre sono suoi temi prediletti. Non c'è l'esplosione della violenza metropolitana, ma c'è - più sottile e perfida - l'esplosione del l'eleganza vittoriana, che trasforma gli oggetti di scena in agenti stessi della tragedia e sostituisce al rosso del sangue il rosso (non meno cupo e fagocitante) dei velluti e degli arredi. La New York dei ricchi wasp è l'antenata perfetta - meno apparentemente violenta ma non meno cinica e crudele - di quella dei "bravi ragazzi": è quella di una classe sociale (di un suo esponente, almeno) che non riesce più a controllare i propri rituali e si fa imprigionare proprio da quel le regole che avrebbero dovuto sottolinearne la differenza e la supremazia. Ci sono pochi specchi nelle case dei Welland, dei Beaufort, dei Van Der Luyden, ma ci sono moltissimi quadri, "riflesso" imbalsamato e come raggelato di qualcosa che non si può più cambiare. Perché il galateo delle buone creanze, ci dice Scorsese, non è meno rigido e rigorso dell'affiliazione al clan o alla gang, entrambi tenuti in vita dal bisogno di perpetuare il proprio potere e con esso giustificare la propria esistenza. Questa capacità di analisi, poi, trova nello stile narrativo di Scorsese una "messa in scena" sorprendente anche in chi riconosceva al regista grandi doti evocative. La lontananza se non tematica almeno cronologica e sociologica dal la maggior parte dei suoi film sembra aver dato a Scorsese quella libertà che la durezza dei temi contemporanei tendeva a limitare. "Kamikaze del cinema", come lui stesso si è definito, Scorsese ricapitola nel!' Età dell'innocenza tutte le capacità espressìvedel cinema, dalla mobilità futuribile che louma e steadycam offrono alla macchina da presa ai procedimenti "primitivi" del!' iride e del mascherino, mescolando dissolvenze e fondu, teleobiettivi e panfocus, alfa e omega di una forza comunicativa che lo sciatto stile imperante sembra aver dimenticato. In questo modo L'età deU'innocenza diventa una specie di risposta in positivo a chi non crede più alle capacità emozionali del cinema e si rifugia solo nel ritmo del montaggio o nello strapotere degli effetti speciali per conquistare l'attenzione dello spettatore, orgogliosa e magistrale dimostrazione di quello clie il cinema può ancora sperare di essere: il grande romanzo della nostra società, quello che gli anni post moderni non sembrano più capaci di scrivere.
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