CONFRONTI dall'Islam delle sc;uole coraniche, delle grandi moschee e dei tribunali religiosi. Di questo Islam minore, Maher evidenzia anche un'altra "qualità": nei luoghi dove il culto dei Santi (i Marabù, appunto) e l'attività delle confraternite tradizionali rimangono vitali, il movimento integralista non trova grande seguito. Il FIS in Algeria, così come i Fratelli Musulmani in Egitto, si sostituiscono alle forme tradizionali della religiosità popolare solo dove queste sono già state disgregate dalla modernizzazione illusoria delle grandi periferie urbane. Di una lotta tra Islam marabuttico e nuove dottrine radicali per la conquista delle classi popolari, parla anche l'antropologo tunisino Mondher IGlani. Gli islamisti scagliano ovunque la loro polemica contro una tradizione "fustigata per i suoi eccessi, la sua esuberanza, la sua immoralità, la sua ignoranza, la sua rozzezza, il suo paganesimo" (p. 89). In opposizione a questa decadenza, i nuovi chierici, provenienti in massima parte da una classe media "senza sbocco" fatta di piccoli commercianti e di tecnici disoccupati, predicano alle masse diseredate un Verbo astratto, normativo e totalizzante, che si impone come una regola individuale per la "~igenerazione delle abitudini della vita quotidiana" (p. 90). Un'altra faglia di rilievo, che permette di orientarci nel vasto continente dell'Islam, è quella provocata dall'emigrazione internazionale. Che mutazioni subisce l'inafferrabile "identità musulmana" quando v_engatrapiantata in un contesto culturale dov'essa è minoritaria? Una risposta parziale emerge dal contributo di Chantal Saint-Blancat, incentrato sull'analisi delle ideologie e delle prassi familiari presso famiglie musulmane emigrate. Il saggio, sintetico ma piuttosto stimolante e ricco di informazioni, dimostra l'inesistenza di una regola generale che governa i processi di adattamento culturale. In alcune situazioni si osserva uno strenuo attaccamento e addirittura un'enfatizzazione delle regole tradizionali di organizzazione famigliare, come modo per compensare la frustrazione derivante dall'anonima precarietà del ruolo pubblico e lavorativo del migrante. Sfatando uno stereotipo diffuso, Saint-Blancat ci insegna che questo atteggiamento non è proprio soltanto dei padri di famiglia minacciati nella loro tradizionale posizione di autorità. "L' 81% dei giovani pakistani [nati e residenti in Gran Bretagna], per esempio, è favorevole al principio dell'endogamia" (p. 216). Sovente, le stesse mogli "sentendosi responsabili del patrimonio culturale comunitario, [...] diventano [...] più praticanti e più rispettose delle proibizioni religiose, imponendole anche al le loro figlie" (p. 214). A questo atteggiamento conservatore, riscontrato soprattutto presso le comunità musulmane stabilite in Germania (turchi) e in Gran Bretagna (pakistani), si contrappongono le strategie di emancipazione messe in opera da tante donne, in particolare maghrebine abìtanti in Francia. Questi comportamenti innovativi non sono basati sul rifiuto netto dell'ordine tradizionale e sull' assimilazione dei modelli occidentali; prevalgono invece forme di mediazione, per cui, per esempio, si sceglie "di mantenere l'osservanza dei riti tradizionali anche nel caso di una violazione del la legge religiosa, come nel matrimonio esogamico" (p. 224). In questa sintesi creativa tra due culture normative non sempre astrattamente compatibili, le donne immigrate affermano la propria autonomia e individuano il lato concreto di quel fumoso concetto che è "integrazione". Ali' oggettiva ricchezza di un fenomeno sociale corrisponde solitamente la povertà delle rappresentazioni correnti che la stessa società ne fornisce. La critica di questa inadeguatezza è un 28 compito importante delle scienze sociali, che si affianca a quello di produrre rappresentazioni più ricche, profonde e precise. Questo "doppio movimento" della ricerca è particolarmente necessario in una società mediatica, dove il problema non è la carenza di rappresentazioni ma il loro eccesso. Circolano troppe teorie, spesso troppo comprensive e lineari, troppo "facili" insomma. Abbiamo tutti bisogno di conoscenza rassicurante, e allora il sistema dei media la distilla, la amplifica e la diffonde. Questo stato di cose è particolarmente evidente di fronte a fenomeni sociali nuovi, "nuovi" per il grande pubblico occidentale s'intende, come l'Islam. Alcuni contributi minori, nel libro curato da Cabria Ajmar e Calloni, riguardano proprio le rappresentazioni occidentali del1' Islam. È il caso, per esempio, dell'analisi un po' piatta compiuta da Giorgio Grossi dell'immagine vagamente minacciosa dell'Islam che emerge da alcuni quotidiani nazionali. Oppure del resoconto, fornito da Giuseppe La Torre, dei primi risultati di una ricerca internazionale, promossa dall'Accademia delle Scienze Islamiche di Colonia sul modo in cui l'Islam viene presèntato nei testi scolastici. I dati per ora disponibili, riguardanti i soli libri tedeschi, indicano un'attenzione al tema forse superficiale e imprecisa, ma certo preferibile al totale silenzio dei libri di testo italiani su cui ricordo di avere studiato io, non tanti anni fa. Di diverso spessore è un altro intervento che tratta di rappresentazioni occidentali, scientifiche questa volta, dell'Islam: si tratta di un saggio dedicato da Armando Salvatore a "Islam politico e questione della 'modernità"'. È uno scritto denso, che smuove molte delle nostre stantie convinzioni su ciò che distingue una supposta "cultura politica occidentale" dal suo omologo musulmano. Partendo dalla critica ad una tradizione di studi ricca e eterogenea, che però si appiattisce nel contrapporre le manifestazioni politiche dell'Islam a una nozione forte e culturalmente assai marcata di modernità, lo studioso campano schizza una teoria diversa. La sua definizione di modernità è "minimalista" e si sforza di evitare le trappole dell'eurocentrismo; essa "consente di classificare come moderne le espressioni di pensiero rispondenti a una modalità produttivo-comunicativa emancipatasi dal servizio a beneficio di un'autorità costituita, e proiettate alla riscossione di consenso verso l'insieme della comunità di riferimento - limitatamente alle sue componenti intellettualmente ricettive - al fine della trasformazione della comunità stessa" (p. 57). Isolando generalità e volontarismo della comunicazione intellettuale, come indicatori della sua "modernità", Salvatore rivendica questa formale qualità anche a diverse voci e movimenti di matrice islamica. In quest'ottica sono "moderni" "sia i liberali islamici, favorevoli a una dimensione dell'Islam dove questo si pone come forza regolatrice della vita sociale, ma che respingono vivacemente l'idea di uno stato islamico, sia la sinistra islamica, che costruisce interpretativamente l'Islam come forza storica di autoaffermazione della società civile, sia infine gli islamisti puri, che optano per una verticalizzazione dell'espressività islamica entro lo spettro società-stato, invocando, spesso senza l'ausilio di elaborate argomentazioni storiche, lo Stato islamico" (p. 58). Fermiamoci qui nella descrizione, forzatamente incompleta, dei tasselli di questo mosaico, complesso e un po' diseguale. Chi, per conto suo, lo completerà, ne ricaverà una trama su cui cominciare a costruire la conoscenza difficile di un mondo, vasto e complicato quanto il nostro e ad esso inestricabilmente connesso.
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