Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

CONFRONTI Foto di Thomas lves (G. Neri). È una lezione semplice, ma tutt'altro che facile, che può essere raccolta anche da chi non è specialista, nel ribollente orizzonte sociale in cui ci muoviamo ogni giorno. Un atteggiamento conoscitivo simile ispira un altro libro interessante, pubblicato di recente per i tipi della Marietti. Mi riferisco alla raccolta di saggi L'altra metà della luna, curata da Laura Cabria Ajmar e Marina Calloni (Genova 1993, pp. 304, L. 42.000). Qui, l'attacco all'immagine monolitica che le scienze occidentali hanno prodotto dell'Islam non viene condotto con le armi leggere dell'attenzione empirica e della cautela costruttivista, ma piuttosto con un intenso fuoco incrociato interdisciplinare. Eventi recenti, sia interni (le "nuove" migrazioni tra le due rive del Mediterraneo) sia internazionali (le guerre di questi anni, in cui gli sconfitti alla fine sono sempre musulmani), hanno proiettato l'Islam all'attenzione occidentale; ma è un'attenzione superficiale e nevrotica, che produce quello che Calloni, in una prefazione che è anche vasto programma filosofico, definisce "riavvicinamento distanziante". A questo preoccupante fenomeno dissociativo, gli autori rispondono con un "esperimento del possibile e rinnovato dialogo fra i diversi discorsi di e su Occidente e Oriente" (p. 9). Divulgare analisi specialistiche, nella speranza che interagiscano, è la via seguita per far prevalere la valenza di "collante sociale" della cultura, su quella di "detonatore politico" (p. 9). L'ambiziosa operazione, di ispirazione habermasiana, si regge sulla convinzione che la libera dialettica delle ragioni permetta "non solo il [...] dialogo interculturale e la comprensione concettuale attraverso la traduzione della struttura dei processi cognitivi, [ma anche ...] la comune critica ali' oppressione e alla violenza etnocentrica, per la tutela dei diritti universali dell'uomo" (p. IO). In principio l'Islam è un libro. Anzi "il Libro" (al-kitaab), contenente la parola di Dio. Ma capita che da un libro, grazie alla sua ricchezza narrativa, alla sua potenza evocativa o agli accidenti della storia, nasca una tradizione interpretativa e materiale. In certi rari casi, poi, la tradizione si differenzia, socialmente e geograficamente, fino a dare origine a una "civiltà", ovvero all'entità più vasta nella scala delle rappresentazioni che forniamo della vita culturale della nostra specie. L'Islam, oggi, non è niente di meno che questo. Nei secoli, tuttavia, la civiltà musulmana ha subito innumerevoli tentativi di reductio ad unitatem per via ermeneutica. Voci titolate di intermediari con Dio e di successori del Profeta sono sorte un po' dovunque, pretendendo il monopolio della Parola. Nell'appassionante manifesto scientifico con cui apre il volume, Mohammed Arkoun insiste sul fatto che "il concetto teologico di Libro, o Sacre Scritture, [è...] inseparabile dal concetto culturale, storico o antropologico di libro, oggetto materiale di cui si impossessa il potere incarnato sia nello Stato che nel clero che lo serve" (p. 21). Dalla profezia, che non è parola normativa ma "proposta di un significato per l'esistenza", i dotti serventi il potere ricavano un corpus chiuso di codici. Parallelamente, chiudendo così un circolo possente, i teologi si adoperano per "sublimare il libro in Libro", in un'operazione di camuffamento della realtà sociale che mira ad "offrire ali' immaginario archetipi atemporali e trascendentali" (p. 22). Si è già capito come Arkoun accomuni, nella sua vigorosa esegesi delle civiltà del Libro, il ruolo svolto dagli amanuensi dei conventi medievali e dagli Ulama delle università coraniche. Attirandosi le critiche, talvolta intolleranti, di musulmani e cristiani (i quali ultimi si compiacciono di contrapporre le "religioni del Libro e della Legge" alla "religione dell'Amore"), Arkoun pone le basi per una convergenza tra culture sul piano impervio della critica alla ragione egemonica. Varcato questo monumentale portale di ingresso, gli itinerari possibili ne L'altra metà della luna sono tanti; ad ogni svolta si ode una voce diversa, dall'Islam o sull'Islam. Se ne esce con una mappa movimentata in mente, organizzata intorno ad alcuni assi portanti. Uno è quello, ben consolidato, che divide l'Islam colto da quello popolare. Sulla contrapposizione tra due "stili religiosi" si soffermò per primo Ernest Gellner; questi "tipi ideali", che orientano tuttora gran parte della ricerca islamologica, sono sintetizzati così da Vanessa Maher: "Da un lato c'è l'ideale puritano, unitario e individualista, di un Dio unico al quale si accede senza mediazioni né clero, facendo solo riferimento, con l'aiuto di una classe letterata, a una rivelazione scritta. Dall'altro lato un ideale "associativo" che propone una gerarchia religiosa, la mediazione, la propiziazione con eccessi rituali e devozionali" (p. 193). L'attenzione dell'antropologa anglo-italiana si sofferma su questa seconda tradizione, sul marabuttismo maghrebino in particolare, sottolineando l'importante ruolo simbolico che nei suoi sincretici riti svolgono le donne, le quali sono invece emarginate 27

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