CONFRONTI Il vecchioe la giungla. Unromanzo sull'Amazzonia Fabrizio Carbone fl caldo umido e il fiume vicino, la selva, la pioggia e il fango che è ovunque tra strade e sentieri che dalla foresta portano alle rive del rio Nangaritza. E poi i villaggi e le capanne, le case in lamiera e cartone e gli imbarcaderi improvvisati di luoghi che hanno nomi supremi come El ldilio oppure El Dorado ma che non sono altro che agglomerati di diseredati e disperati, vecchi malarici, sindaci grassi e meschini, jibaros, indios emarginati dagli stessi indios. Facce distrutte, viteschiantatenell'illusione di un colpo di fortuna che non è mai arrivato. In mezzo, proprio nel bel mezzo di questo paesaggio equadoregno, c'è lui, il protagonista: Antonio José Bolfvar Proaiio, gran conoscitore di Amazzonia e di shuar, un'etnia che non vuole contatti con "gringos" di nessuna risma. . Quest'uomo rinsecchito e sdentato (si porta la dentiera incartata a parte, da usare solo in caso di dover parlare) sa anche leggere e capisce molte delle parole che trova stampate nei libri d'amore, libri che cerca disperatamente. Ma quali libri d'amore? Proafio lo spiega più volte, a persone diverse. Per essere d'amore veramente devono essere "tristi", "da piangere a fiumi", con gente che si ama "come nessuno ha mai amato". No, spiega meglio più avanti, non è l'amore, quello con "belle femmine calde" ma si tratta dell'altro tipo, "quello che fa star male". È questo lo sfondo del romanzo di Luis Sepul veda, Il vecchio che leggeva romanzi d'amore, "Narratori della Fenice", traduzione di llide Cannignani, Guanda editore, pp. 132, Foto di Sebostioo Salgado !Magnum). L. 18.000. Uno sfondo che resta negli occhi, che si appiccica alla pelle, che non lascia chi legge fino alla fine. Ma non è il libro. II libro che Sepulveda ha scritto nel 1989 è un atto d'amore per l'Amazzonia da parte di un latino-americano, di un cileno che ha conosciuto il carcere golpista Pinochet, di un uomo di 44 anni, ambientalista, militantedi Greenpeace fino al punto di battersi in mare aperto contro le baleniere per salvare questi nostri pacifici e giganteschi fratelli marini. Il raconto di Sepulveda parte da una serie di premesse importanti per capire lo spirito che anima tutto. Dietro c'è la conoscenza, tramandata da un amico shuar o da un piccolo seringueiros (un raccoglitore di gomma) come Chico Mendes, proprio lui diventato, una volta assassinato, simbolo della difesa della foresta vergine. Conoscenza quindi di quello che circonda l'uomo, di quella natura così poco osservata, amata sarebbe troppo pretenderlo, dagli umani di questi ultimi secoli. Così il discorso va al di là del bel libro di Sepulveda e va a finire nel ginepraio, forse sarebbe meglio parlare di roveto, in quella realtà magmatica e poco riconoscibile che è il mondo verde tout-court. Qui una fetta di studiosi e di cultori dell'ambientalismo naturalistico, un mondo a parte, distaccato, molto consapevole e preparato, convive con quelle frange radicali che winno dal protezionismo ecopacifista agli estremismi dell"'animal first", passando per decine e decine di posizioni apparentemente simili ma in realtà distanti, un Rio delle Amazzoni in tutta la sua lunghezza. Sono troppi coloro che si sono ammantati di "verdismo" e che non conoscono l'ambiente che li circonda; che fanno dell'ecologia qualcosa che sta a metà tra la politica e la sociologia, che non hanno occhi per guardare le piccole e grandi cose animate e vive che esistono intorno, e sopravvivano nonostante gli umani. Sepulveda invece racconta cose che ormai conosce bene. Alla fine dei conti mette a fuoco il problema Amazzonia: non lo enfatizza, neppure ne fa un mito, lo dipana per quell'incasJro di cose che è. Un luogo di violenza estrema, di killer e di devastatori. Ma dove, dietro le quinte, ci sono loro, "i criminali ben peggiori, che hanno abiti ben tagliati, unghie curate e dicono di agire nel nome del progresso". E dove, visibili e riconoscibili, davanti agli occhi dello spettatore ci sono uomini e donne con le loro facce e il loro dolore, uomini che non abbassano la testa qualunque cosa abbiano fatto; che hanno lasciato alle spalle vie senza uscita dalle quali sono tornati indietro per sopravvivere. Antonio José Bolivar Proafio, l'uomo che leggeva romanzi d'amore, diventa allora, nella parte centrale del libro, colui che guida sindaco e uomini armati alla caccia delle femmine di un "tigrillo", un felino che ha ucciso esseri umani e che ucciderà ancora per vendicarsi del ferimento del suo compagno. È una compagnia di sbandati quella che Proaiio conduce all'interno della selva per la caccia alla bestia feroce. Sbaglia l'editore italiano nel paragonare, nel risvolto dicopertina, le pagine più appassionate del libro di Sepulveda, con quelle de Il vecchio e il mare di Hemingway. Non perché la scrittura dell'autore cileno non sia bella e trepidante ma perché ormai non ha alcun senso continuare a far vivere come "mitiche" le pagine dei romanzi di Hemingway, così truci e traboccanti di violenza nei confronti degli animali (quanti continui e squassanti colpi di fucile per ogni angolo d'Africa e quante fiocinate e arpionate nei mari caraibici!). Allora vale la pena un attimo di parlare di rapporto tra letteratura e natura, oggi. Oggi che lo studio del comportamento e dei rapporti di forza tra soggetti animali e specie umana hanno svelato cose inimmaginabili cent'anni fa. Oggi chi si inoltra nel paesaggio della scrittura naturalistica e che ha voglia di raccontare storie in cui la natura non è solo una quinta di fondo, non può non conoscere la vita degli animali, riconoscerne le specie, sentire al tatto quello che appare intorno. Oggi non si potrà mai più scrivere MobyDick perché nessuno potrà mai sognarsi di raccontare l'immane lotta di un capitano qualsiasi, magari di un baleniere norvegese, con un mostro che non è più tale, con una balena bianca che non esiste come specie (di bianco c'è il beluga ma è grande poco più di un delfino) e che non fa male a nessuno, a patto che non la si vada a riempire di arpioni e tentare di ucciderla con ogni mezzo e a tutti i costi. E questo Sepulveda lo sa bene perché di balene è un esperto, le ha viste cacciate dagli arpionatori di oggi che le riducono a olio senza neppure toccarle; e che ha lottato come militante di Greenpeace perché smetta del tutto un inutile gioco al massacro. Così Luis Sepulveda entra con questo romanzo nel mondo dei nuovi letterati "verdi"; tutto quello che sa di natura e di 21
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==