Quindi, con un abile gioco di mano, possibile solo a chi ha il monopolio dell'informazione, tali divisioni diventano: in seno al popolo, poco grave, o tra il popolo e i suoi nemici, grave. È la terminologia maoista, ma non è nuova. Nella vecchia Cina gli imperatori governavano allo stesso modo, e mai nessun imperatore avrebbe ammesso che c'era una divisione tra sé e il popolo, cioè di non fare gli interessi della gente: sarebbe stato ammettere che non aveva più alcun diritto a governare. Ma ritorniamo un attimo dentro il palazzo mentre i vari giudici discutono. Naturalmente non parlano solo: quando le parole sono così importanti non ci si può aspettare che qualcuno, impressionato dall'intelligenza dell'avversario, rinunci alle proprie idee, e interessi. Il punto vero in questi momenti è il controllo del potere: la crisi porterà via qualcuno, ma chi? Il filosofo Hanfeizi ci viene in soccorso: vince chi riesce a fare il complotto più perfetto. La politica cinese dietro i veli così è, da secoli, un'elaborata arte di complotti. Sono meno misteriosi dei nostri: in una società con alti livelli di trasparenza i complotti non mancano di certo, ma sono più profondi, e inaccettabili per l'opinione pubblica, perché se puoi riunirti liberamente senza le interferenze di nessuno perché vuoi ancora riunirti in segreto? Che mistero c'è sotto? È normale e accettato invece in Cina che ad ogni livello il potere si amministri con complotti, non c'è nulla di misterioso e straordinario. D'altro canto in Cina riempie di veli la vita. Infatti il buon complottatore è chi tira i fili, e non si vede. L'arte è come il teatro dell'opera cinese: voci tempestose, personaggi coloratissimi che si scontrano in azioni tumultuose. Quello che accade in scena è importante, sicuro; non in sé, ma solo perché, con elaborate interpretazioni delle mosse degli attori, riusciamo a capire cosa succede tra i vari registi dello spettacolo. In cinese moderno i potenti che agiscono sugli eventi si chiamano proprio con un termine teatrale: houtai, quelli che stanno dietro il palcoscenico. Ma la metafora del teatro non deve farci perdere la bussola, il fine degli imbrogli teatrali è infatti proprio questo, far perdere l'orientamento a qualcuno e magari farlo agire per il potente contro i suoi privati interessi. I potenti cinesi non dominano tutto, anzi, spesso si trovano come in una tempesta e sono loro a perdere la bussola, non capiscono cosa succede. È quello che è capitato ai vecchi dal primo giorno che gli studenti sono in piazza. La faccenda si è andata via via complicando come un intricatissimo nodo in cui non si trovano più il capo e la coda. E questo è un peccato gravissimo per chi, come gli studenti, fa della trasparenza e democrazia la propria bandiera: hanno cominciato ad annodare il cappio per l'impiccagione del vecchio potere segreto e complottistico, ma a un certo punto il nodo non si stringe più, il nemico non soffoca, sta male, ma non muore. Il garbuglio a un certo punto è così intricato, pieno di brandelli di notizie complotti e controcomplotti e tanta confusione e segreti anche tra gli studenti che bisogna tagliare il nodo, fare chiarezza e magari anche tagliare qualche testa. E cosa succede se la spada l'hanno solo i leader del Pc? Se uno di essi allora non ci capisce niente ma ha la forza delle armi, e vuole il potere, deve giocare al rialzo sulla confusione, perché tanto ha comunque l'ultima via d'uscita. Il gioco a Pechino nella primavera dell' 89 è andato così. Quella delle piazze era una parte dell'azione, l'altra si svolgeva al segreto, una lotta politica senza esclusione di colpi. I vinti tra i veterani di Zhongnanhai sarebbero stati degradati e puniti, ma avrebbero avuto salva la vita. I giovani invece a Tiananmen si giocavano la pelle sul serio, e non avevano grandi speranze di uscirne vivi. Gli studenti dopo lo sciopero della fame sono caduti come topi in questa trappola, convinti di essere gli autori di un dramma di cui erano solo i protagonisti. Non bisogna impressionarsi per i nomi diversi; chiamate Deng e Chen Yun imperatori o houtai e tutto filerà IL CONTESTO liscio. La grande sensibilità dei giovani per i guasti del paese Ii ha portati a far venire a galla tutti i mali. Ma non erano però capaci, almeno non quelli che stavano in piazza, di capire cosa stava succedendo in tutto il paese. Nessuno sapeva quante città si erano incendiate insieme a Pechino. I consigli dei politologi e degli studenti più anziani alla calma, alla riflessione e all'attesa aumentavano solo l'eccitazione, l' orgoglio e la rabbia di quelli che sentivano di dover scommettere sulla loro vita la storia della Cina. Ma bisogna fare attenzione alle ultime scene: come nei romanzi d'avventura sono le più belle, le più romantiche, quelle che commuovono fino alle lacrime, ci lasciano esausti e non ci fanno pensare, proprio quando era più necessario essere freddi e riflettere. L'Italia come la Cina di Tiananmen Il paragone può sembrare audace.C'è una diversa articolazione dello stato e della società, certamente c'è una minore concentrazione del potere e una sua gestione per molti versi meno misteriosa. Ma forse non appare più tanto audace se si astraggono alcuni elementi. La questione in Cina che costituiva il nodo del dibattito politico-retorico tra studenti e governo era basata su un doppio impianto di regole: da una parte quelle scritte nella costituzione, in teoria autentiche e vere, e dall'altra parte la realtà della gestione del potere in cui un pugno di gerontocrati senza più alcun potere formale 13
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