Linea d'ombra - anno XI - n. 86 - ottobre 1993

IL CONTESTO Questioni di retorica La politica in Cina e in Italia Francesco Sisci Quanto contano le parole in politica? Facile rispondere: tanto, tantissimo. Sì ma una risposta così resta ancora vaga e non si sa veramente quanto. Forse in Italia però, nell'anno passato, è possibile fare qualche misurazione più concreta. I giornali sono stati una fucina di idee e iniziative per la politica, e spesso sono apparsi quasi suggeritori di un canovaccio che altri recitavano. In tutta la vicenda dell'inchiesta milanese sulla corruzione, condotta dal pool di magistrati di "Mani pulite", il ruolo dei giornali è stato infatti determinante. Un esempio per tutti è il decreto legge firmato dal ministro della giustizia Giovanni Conso per la cosiddetta "soluzione politica" per gli uomini implicati nelle tangenti. li giorno dopo l'annuncio del decreto legge i quotidiani riportavano commenti molto prudenti al riguardo senza troppo esporsi nel merito. Uniche eccezioni "La Stampa" con un fondo firmato da Sergio Romano, che con tatto ma anche con molta decisione respingeva l'idea di quella soluzione politica che di fatto assolveva i tangentomani, e "L'Indipendente" con un fondo del direttore Vittorio Feltri il quale invitava i cittadini a appellarsi al presidente perché non firmasse il decreto legge e si diceva sicuro che il presidente Oscar Luigi Scalfaro non avrebbe firmato il decreto visto che aveva promesso di opporsi a colpi di spugna sulla questione delle tangenti. Quel giorno il Quirinale fu inondato di proteste dei cittadini contro il decreto Conso ormai diventato per tutti il colpo di spugna; decine di migliaia di fax e telefonate raggiunsero i centralini del presidente il quale, come Feltri prevedeva, non firmò il decreto. Il giorno seguente tutti i quotidiani scesero in campo schierandosi nettamente contro il decreto Conso che venne seppellito insieme a ogni idea di trovare una soluzione politica entro l'attuale legislatura per Tangentopoli. Ma qui proprio si aprono delle fessure, la prima delle quali è quasi banale: coloro che hanno telefonato al presidente quanto erano mossi da uno "spontaneo" sentimento di protesta o erano invece "agitati" da quanto avevano scritto "L'Indipendente" e "La Stampa"? E anche coloro che non avevano letto "Stampa" e "Indipendente" quanto erano stati convinti alla loro azione in generale dalla campagna di stampa dei giornali contro Tangentopoli nei mesi precedenti? Cioè quanto i giornali avevano influito nel creare un'opinione pubblica contraria a Tangentopoli? Queste domande si avvicinano alle tesi degli inquisiti. Era quanto pensava l'allora segretario del partito socialista Bettino Craxi che parlava di complotto ordito dai poteri forti, cioè dalla grande industria proprietaria della maggior parte dei giornali italiani. Ma a queste domande se ne deve aggiungere un'altra se si ammette la potente influenza dei giornali nell'attuale process9 politico: perché i giornali sono riusciti nella loro opera di persuasione mentre non ci sono riuscite le televisioni, queste sì all'inizio di Tangentopoli schierate quasi tutte dalla parte del potere costituito? Forse perché i giornali dicevano la verità mentre le televisioni mentivano? Ma questa verità non era la stessa che si ripeteva da anni per le strade? Di bocca in bocca si sorrideva o ci si infuriava perché tutti sapevano del fiume di mazzette che correva per ottenere qualunque cosa: il permesso dai vigili urbani per un lavoro fatto dentro casa o la sicurezza di un grande appalto pubblico. Perchéalloraa un certo punto questa verità era diventata esplosiva? E perché non si dava credito a un'altra storia che solo un anno prima sarebbe stata accolta da tutti come una verità, cioè quanto diceva Craxi, che tutti erano nel mucchio, tutti i partiti e tutte le persone facevano parte, chi più chi meno, del sistema, tutti avevano abusato della legge e avevano attinto al pozzo della corruzione? Probabilmente in quei mesi aveva avuto luogo una articolata "rivoluzione scientifica" per cui un sistema retorico non funzionava più con quello che appariva essere la realtà dei fatti, realtà dei fatti intesa in modo molto concreto: come veniva colpito o stava per essere colpito (questo all'inizio di Tangentopoli) il portafoglio di molti cittadini. Forse per intendere con più chiarezza quello che è avvenuto bisogna però prima guardare a un esempio esterno ché, come capita tra gli uomini, il guardare a un altro fa riconoscere se stessi. Un duello politico a parole Il 4 maggio 1989 si tiene a Pechino una grande manifestazione popolare di opposizione al governo e inCina appare in modo chiaro e netto che gli equilibri politici sono mutati. Tutto era iniziato il 27 aprile quando gli studenti hanno marciato pacificamente per la capitale a dispetto di un bellicoso editoriale del "Quotidiano del popolo" ispirato da Deng che proibiva le manifestazioni. Forse tra gli stessi governanti cinesi in lotta per il potere, qualcuno non ha dato gli ordini che doveva dare e ha giocato contro il grande vecchio. Lo ha fatto esporre con l'editoriale e poi non ha fatto realizzare le minacce. Comunque, anche se tutto fosse andato liscio nella lotta nel partito il compito dei poliziotti il 27 non sarebbe stato facile. Infatti la battaglia tra autorità e studenti si svolge su due binari: quello della forza nuda, riuscire o meno a portare della gente in piazza, e quello della retorica. Che significa? Abbiate pazienza, ci vuole ancora un passo indietro. . A Pechino le manifestazioni sono proibite per ragioni di traffico, ma sono permesse dalla costituzione. Quindi per evitare la repressione bisogna manifestare a un lato della strada. Oppure di notte, quando non c'è traffico da disturbare. Quelle manifestazioni non si "presentano" di protesta. Commemorano la morte di un membro dell'ufficio politico, l'ex segretario del partito Hu Yaobang, sono quindi "a favore" del partito. Perciò si deve chiudere un occhio. Ma gli slogan gridati per la strada non sono altrettanto digeribili. Molti gridano contro Deng Xiaoping e Zhao Ziyang. Quegli slogan in Cina significano automaticamente essere controrivoluzionari. Ma negli ultimi due anni nelle università c'è stata più tolleranza verso teorie dichiaratamente antisocialiste, e questa tolleranza è di fatto il contesto degli slogan controrivoluzionari. Se certe teorie sono insegnate a scuola perché reprimerle adesso, quando i giovani si muovono a sostegno di un ex segretario del partito? Le due parti, dopo, passano notti effervescenti. Gli studenti insistono sui colloqui e la stampa rompe le fila, si sgancia dalla sudditanza prona verso il partito. Molti giornali pubblicano articoli 9

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