Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

ALIMENTAZIONE, SOffOSVILUPPO E POLITICHE RIDISTRIBUTIVE Partha Dasgupta traduzione di D. D. Abeni Partha Dasgupta (Santiniketan, India, 1942), ha studiato in India, Gran Bretagna e Usa, ed è attualmente (dal 1989) professore di Economia alla Cambridge University. Si occupa prevalentemente di economia dei paesi sottosviluppati e, in particolare, della pianificazione del loro sviluppo e dei rapporti tra povertà e disoccupazione. Tra i suoi molti libri ricordiamo Guidelinesfor project evaluation ( 1972, scritto con S. Marglin e A.K. Sen), The contro/ of resources (1982) e Economie policy and technological performance ( 1987, scritto con P. Stoneham). Tra le varie motivazioni della ricerca economica, la predizione si è rivelata la più frustrante. E non tanto perché gli economisti non siano in grado di farla, ma piuttosto perché non vi sono idee codificate che permettano di valutare se una predizione è cattiva: non esiste consenso sul modo di aiutare la materia. Quindi, in questa nota eviterò assolutamente tentativi di predizione sulla direzione in cui si muoverà la ricerca economica. Descriverò invece il tipo di lavoro che mi piacerebbe venisse reso disponibile nel mio attuale campo d'interesse, e cioè l'economia dell'indigenza. C'è bisogno di reindirizzare il nostro modo di fare ricerca in quest'area. La mia motivazione nasce dall'insoddisfazione su alcuni punti metodologici degli attuali studi sulla povertà nei paesi poveri. In ciò che segue, dapprima presenterò in termini astratti quali secondo me sono gli errori che si stanno compiendo, poi fornirò un esempio paradigmatico. I. L'errore metodologico di base Vogliamo studiare la caratteristica Mdi un sistema sociale. Disponiamo di una teoria rudimentale su cosa costituisce Me su come ci attendiamo che sia in relazione con altre caratteristiche del sistema sociale. Abbiamo inoltre accumulato una gran quantità di dati sull'argomento. Conosciamo l'incidenza 1 di M nella popolazione, e abbiamo collegato statisticamente M ad altre caratteristiche del sistema. M è una caratteristica terrificante, e perciò vogliamo indirizzare le decisioni politiche in modo tale da ridurne l'impatto e, se possibile, da eliminarlo. Ma non possiamo riuscire in questo intento se non abbiamo un modello del sistema sociale nel quale vengono applicate le decisioni di intervento. Il nodo della questione è, come sempre, che se non si dispone di un buon modello, non sarà possibile sapere quali saranno i risultati di una qualsivoglia scelta politica; non sapremo come scegliere tra opzioni di intervento diverse. Ci troviamo dunque al punto in cui dovremmo avere interesse ad andare oltre la teoria rudimentale basata semplicemente sul mettere alla prova varie ipotetiche scelte politiche. In realtà questo interesse non è per nulla evidente. Si fa infatti un uso acritico di una sofisticata teoria dei sistemi sociali nella quale il fattore M non compare. Ciò che intendo dire è che questa raffinata teoria, così com'è ora, non dispone di un vocabolario per M, mentre dispone invece di un vocabolario per P, un fattore correlato a M. Ma P manca di una componente essenziale di M, per cui rende questa teoria inadatta perfino ad un'analisi indiretta di M; soprattutto se intendiamo acquisire conoscenze quantitati74 ve. Più in generale, non possiamo neppure m1Z1area porci domande relative a quella caratteristica di M che non è contenuta in P, una caratteristica di importanza fondamentale. È chiaro che questo non è il modo di fare. Eppure, non pare che ci si preoccupi più che tanto del fatto che P ignori una componente vitale di M. Si sostiene invece che M è causato da un difetto nella distribuzione delle risorse, difetto che gli interventi pubblici debbono cercare di eliminare. Quindi utilizziamo la raffinata teoria esistente, e identifichiamo gli interventi che riducono P. Fatto questo, sosteniamo di aver identificato gli ·interventi che si oppongono a M. Detta così apertamente, la debolezza metodologica di questo approccio risulta evidente a tutti. Ma nel contesto dell'esempio che ho in mente, non è altrettanto evidente alla maggior parte di noi. Quindi espongo l'esempio che riguarda la nostra riluttanza a far uso in modo non superficiale nel modellare le possibilità di consumo, e quindi nel modellare i meccanismi di distribuzione delle risorse, di ciò che ormai dovremmo avere ben imparato dalla scienza della nutrizione e dall'epidemiologia. II. La malnutrizione e le sue conseguenze sui modelli L'economia moderna ha fatto enormi progressi nell'incorporare la sempre mutevole tecnologia della produzione dei beni di consumo. Ne risulta che disponiamo di un apparato assai raffinato per analizzare la distribuzione delle risorse in un mondo in cui beni e servizi possono venire trasformati in ulteriori beni e servizi grazie a conoscenze tecnologiche. Lo stesso progresso però non è stato compiuto sul lato del "consumo". La moderna teoria della distribuzione delle risorse in genere non riconosce esplicitamente che l'alimentazione e i servizi sanitari sono, assieme ad altri fattori, un input essenziale per la produzione di forza lavoro (in termini più generali, della capacità delle persone di svolgere compiti), che a sua volta è un input essenziale di beni e servizi. In genere (cioè nell'analisi competitiva generale), si ritiene che queste capacità siano un dato di fatto. Credo si possa cedere alla tentazione di sostenere che non si tratta di una debolezza metodologica importante. Gli aspetti essenziali della moderna teoria della distribuzione delle risorse sarebbero infatti comunque validi anche nel caso si prendessero in considerazione come input della forza lavoro dei processi di produzione biomedica quali la trasformazione dei combustibili e del cibo e l'assistenza sanitaria. Più specificatamente si può sostenere che l'economia del capitale umano può essere reinterpretata in modo che la teoria della distribuzione delle risorse sia in grado di fare esattamente ciò che io sto cercando di faré. Ma una mossa del genere non sarebbe comunque sufficiente. Dal nostro punto di vista, la debolezza cruciale nella moderna teoria dei consumi è che ignora completamente anche le minime verità fisiologiche. Non considera, per esempio, che vi è un costo fisso, misurato dal cosiddetto metabolismo basale (o tasso metabolico a riposo), che ciascun individuo deve sostenere prima di poter fare qualsiasi altra cosa a medio o lungo termine2 • Ricerche recenti mostrano che questo costo fisso non è un parametro

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