INCONTRI/MOMADAY in ogni caso condizionati dalla nostra storia, ma almeno la sua comprensione ci offre un'opportunità di salvezza. Questo è il mio modo di intendere il linguaggio: armati della parola possiamo sfidare e confrontarci con l'ignoto, e avere una speranza di cavarcela. Senza la parola, credo che saremmo molto più vulnerabili, e forse senza speranze. Ecco: le parole sono strumenti e armi che ci permettono di combattere i pericoli del mondo. Lei si è laureato all'Università di Stanford, in California, con una tesi sul poeta americano del diciannovesimo secolo Frederick Goddard Tuckerman, considerato il primo poeta post-simbolista. Per molti anni ha scritto soltanto poesie e, pur essendo noto al grande pubblico e lodato dalla critica soprattutto per i suoi romanzi, lei si considera in primo luogo ancora un poeta. Perché? Secondo me la poesia è la forma di espressione più elevata e raffinata. Ecco perché preferisco considerarmi un poeta piuttosto che un romanziere o un giornalista. La poesia è la manifestazione più profonda e sofisticata della letteratura! Purtroppo - e la cosa mi addolora, e per certi versi mi sembra grave- agli americani la poesia non interessa affatto. Gli indiani in realtà non hanno una tradizione poetica specifica: noi ci riferiamo alle loro canzoni e al le loro preghiere come se fossero le loro "poesie", ma in realtà esse non sono poesie. Sono, appunto, canzoni e preghiere. Eppure per il nativo americano è più facile scrivere poesie, perché il poema si avvicina alla sua tradizione orale molto più del racconto o, peggio ancora, del romanzo. È per questo che esistono molti poeti indiani, inAmerica, e moltissimi giovani indiani che scrivono poesie: molti più di quanti scrivano romanzi, appunto. Ma in America ad attirare l'attenzione del pubblico è solo il romanziere; perché questo è il gusto americano. Anche lei, come molti altri scrittori statunitensi, insegna creative writing in una delle mille università americane: nel suo caso, la University of Arizana a Tucson. Tra i suoi studenti non c'è un solo nativo americano, così come, infondo, non è sorprendente che a influenzarlo, giovane poeta e romanziere, negli anni Sessanta, siano stati, oltre al bianchissimo Tuckerman, due scrittori tipicamente americani, di cultura fortemente eurocentrica: Melville e Faulkner. Il modello letterario per gli apprendisti scrittori, negli Stati Uniti, rimane rigorosamente "bianco"? È tutto quello che c'è, non c'è scelta. È vero che la tradizione orale dei nativi americani ha costituito la mia prima esperienza con il linguaggio e con la creazione legata al racconto, alla narrazione. Questo è un universo enorme, che continuo a esplorare. Ma se pensiamo alla scrittura, alla letteratura, è evidente che un'opera letteraria indiana coerentemente sviluppata e pubblicata non esiste: tranne quanto ritrascritto, appunto, dalla nostra tradizione orale. Così, forzatamente, i miei modelli letterari e di scrittura sono gli autori americani e inglesi "convenzionali". La sua opera, sia quella poetica che quella narrativa, è percorsa e imbevuta di miti. Cosa rappresentano, per lei? I miti sono storie che penetrano e attraversano la quasi impenetrabile distanza del tempo. Storie che sottolineano quanto è antico e sacro. 56 Apache Mescalera (fotodi Cavaretta/Sabe·Reo/Contrasto). Oltre che un grande interesse per il paesaggio, lei porta grande rispetto al regno animale. Di se stesso dice spesso di essere in realtà un orso; e il suo nome tribale si rifà proprio alla potenza e al potere dell'orso, cioè di un essere dotato di straordinaria energia. Nel mondo indiano esiste un rispetto intrinseco e un'ammirazione incondizionata per tutte le creature del l'uni verso, per questo gli animali, per noi, sono terribilmente importanti; anzi, sono indispensabili. Essi dispongono di poteri dei quali anche gli esseri umani si possono impossessare: penso alla libertà, alla velocità, al coraggio di un'aquila, o alla potenza fisica di un orso. Queste sono doti sono qualità che valgono e contano molto, nel mondo nativo americano. Così, quando ho scritto la storia di un ragazzo che sitrasforma in un orso, ho voluto sottolineare come sia necessario verificare la relazione tra l'uomo e l'ambiente nel quale vive, tra l'uomo e tutte le altre creature con le quali condivide la terra. Già in un saggio del 1976 (Native American Attitudes toward Environment) lei aveva scritto che il mondo è ormai da tempo sull'orlo del collasso ecologico: ma che il popolo indiano potreb-
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