Penso che l'indiano, storicamente, sia stato a lungo considerato dall'uomo bianco un ostacolo che gli si frapponeva sulla strada del progresso. Anch'io credo che il tentativo di sterminare gli indiani sia esistito, e sia in parte stato messo in atto. Mi sembra però che queste scelte appartengano definitivamente al passato. Mi riferisco all'atteggiamento della maggioranza dei bianchi; certo, tra gli americani non mancano quelli che ci odiano, ma non credo che essi costituiscano una maggioranza, né che rappresentino una voce e una forza degne di essere prese in considerazione. Tra le popolazioni indiane del Nord America è da tempo in atto una discussione serrata sul ruolo svolto dalle "riserve" nelle quali sono stati confinati i nativi dalla fine del secolo scorso; e sul futuro delle "riserve" stesse. C'è chi sostiene che andrebbero abolite, perché segno evidente di una "diversità" e di una "schiavitù" intollerabili per il grande popolo indiano. E chi invece le ritiene utili per tenere in vita un senso d'identità e di relazione col passato che altrimenti potrebbe andare definitivamente perso. Qual è la sua opinione? Le "riserve" hanno costituito, per intere generazioni, il nostro terreno nativo; per molti indiani che vi sono cresciuti esse sono diventate casa e, addirittura, patria. La possibilità di identità che esse hanno rappresentato è cruciale nella storia indiana contemporanea: le "riserve" hanno offerto i I terreno per ospitare le nostre radici indiane. Esse costituiscono ancora un'entità utile: ma penso da tempo che, a poco a poco, un numero sempre maggiore di indiani sarà capace di crescere e vivere lontano da quelle "strutture" ormai superate. Sono certo che essi sapranno mantenere la propria identità nel mondo, anche lontano e al di là delle "riserve". Questa è la direzione che noi indiani stiamo prendendo, e che in ogni caso dobbiamo prendere. Unforte legame con il passato, con la storia, le tradizioni e la cultura del passato, continuerà però ad essere essenziale per la sopravvivenza delle popolazioni indiane d'America ... Sì, penso proprio di sì. In un certo senso, questo legame costituisce una delle possibili definizioni del!' indiano americano. Egli è il frutto stesso delle esperienze passate del suo popolo; e mi riferisco in generale alle esperienze accumulate nei secoli trascorsi immersi nel grande paesaggio indiano. Certo non è facile per i giovani nativi crescere con un orecchio rivolto al passato, e un occhio posato sul futuro. C'è il rischio di crescere con le idee confuse o, peggio ancora, di sviluppare dolorose relazioni schizofreniche con il mondo doppiamente americano che li circonda. È vero; so che esistono molti indiani che, per il fatto di vivere in due mondi molti dissimili, hanno problemi terribili: uno di essi è proprio Abel, il protagonista del mio primo romanzo Casafatta di Alba. È difficile vivere a cavallo di un confine così contraddittorio. Ma credo che per la maggioranza degli indiani, soprattutto a partire dagli anni Settanta, questo non sia più un problema irrisolvibile. È sicuramente stato un problema molto più delicato per mio padre di quanto lo sia stato, e sia tuttora, per me: è stato più delicato per medi quanto lo sarà per i miei figli. Penso davvero che le cose stiano cambiando. INCONTRI/MOMADAY Questo cosa significa: che il cosiddetto melting-pot - il collante che avrebbe dovuto saldare in un unico grande popolo le molte etnie che compongono gli Stati Uniti, esaltando soprattutto la cultura bianca e appiattendo, svilendo tutte le altre (indiane, nere, ispaniche, asiatiche) - ha funzionato? Che gli Stati Uniti sono davvero l'esempio di una riuscita sintesi culturale multietnica illuminata e tollerante ?O non è forse vero il contrario: e cioè che occorre, con molta urgenza, che gli Stati Uniti sviluppino un nuovo e più equo rapporto tra le molte razze ed etnie che li compongono, se non vogliono che i focolai di rivolta annunciati dai disordini della primavera del 1992 a Los Angeles si riproducano e si espandano a tutto il loro territorio? È vero, noi americani siamo il risultato di un grande meltingpot, la fusione di un'immensa somma di diversità. E questa è una cosa positiva; siamo un tutto composto da molti elementi diversi. Dall'altro lato, la filosofia del melting-pot è anche una grande delusione. La cultura americana è un soggetto affascinante: è così diversificata che uno dei problemi che gli americani in generale hanno è proprio quello di sapere chi essi siano. Essi non sono in grado di formulare una definizione di se stessi: in realtà non si capisce bene cosa l'affermazione "io sono americano" significhi. Per la maggioranza (ma ancora per poco ...) essere americano significa avere radici europee, con la susseguente traduzione di se stessi in un paesaggio diverso, e la definizione di sé in un contesto nuovo. Per i nativi americani, ovviamente, non è così: noi abbiamo radici secolari in questo paesaggio. Quando scrissi Il viaggio a Rainy Mountain un amico, dopo averlo letto, mi disse: "Tu sì che sei un uomo fortunato! Tu conosci i tuoi antenati, conosci le , ultime cinque generazioni della tua famiglia. lo non ho una simile fortuna, non so quasi nulla del mio passato". Questa sua affermazione mi colpì molto. lo penso che, in questo senso, gli americani sono culturalmente poveri, se paragonati agli indiani, che hanno una conoscenza della propria identità molto più sofisticata. Adesso che abbiamo inquadrato, per sommi capi, il mondo entro il quale cresce e vive l'indiano d'America, parliamo di Momaday scrittore indiano d'America. Come e quando scoprì la letteratura? Suppongo che accadde quand'ero molto, molto giovane: e questo avvenne attraverso mia madre, la quale, sin dalla mia prima infanzia, mi diede l'esempio di un interesse instancabile per la lettura e la scrittura. Il primo ricordo della mia infanzia è proprio legato alla mia decisione di diventare uno scrittore, da grande. E così il destino ha voluto che fosse ... Ho seguito l'esempio di mia madre piuttosto che quello di mio padre, almeno fino a non molti anni fa (ho cominciato a dipingere che ero ormai adulto da un pezzo ...). Non so proprio perché decisi di seguire l'esempio di mia madre sin dall'adolescenza, e quello di mio padre solo molti anni più tardi ... Lei parla spesso del ruolo sacro delle parole, e del loropotere specifico. "Una parola - ha scritto - ha un suo potere intrinseco. Solo attraverso le parole un uomo può sperare di ingaggiare una lotta equa con il mondo che lo circonda. " Se non siamo in grado di capire il senso della storia che ci ha generati saremo prigionieri e vittime del suo potere. Forse saremo 55
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