Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

IL RAGAZZO TRASFORMATO IN ORSO Incontro con Navarro Scoli Momaday a cura di Matteo Bellinelli In un saggio del 1975 lei si definì "Man made ofwords", un uomo fatto di parole, ma negli ultimi anni si è dedicato soprattutto al linguaggio figurativo ed espone con frequenza, artista ormai ricercato, in importanti gallerie del south-west americano. Spesso i suoi dipinti rappresentano maschere ... .Gli scrittori, i pittori, gli artisti, insomma i creatori, sono più incuriositi e stimolati dalle apparenze che dall'essenza della realtà. Le apparenze costituiscono la superficie del mondo, e il tessuto della nostra vita quotidiana di artisti. È per questo che io amo molto le maschere, e çhe mi piacciono le persone che si mascherano, o il cui volto è una maschera che reinterpreta la realtà che essa nasconde. La sua infanzia si è compiuta in uno dei paesaggi più straordinari e più intrinsecamente "mistici" dell'America indiana. Questo ha influito sulla sua opera? Sono una delle rare persone davvero fortunate che hanno avuto il privilegio di essere generate e accolte da un paesaggio meraviglioso, caratterizzato da aria pulita, spazi infiniti e bellezza allo stato naturale. E anche se, bambino, per me quel paesaggio era un fatto acquisito e scontato, ricordo di averlo conosciuto e vissuto con profondo piacere. Da adulto non ho potuto fare a meno di raccontarlo, e di apprezzarlo con intensità persino maggiore. I suoi genitori erano insegnanti presso la scuola gestita dal Bureau of lndian Affairs al Pueblo di Jemez. Suo padre Alfred aveva la passione della pittura, sua madre, Natachee Scott, della letteratura, o meglio, della storia e dei racconti della grande tradizione orale indiana. In The Names lei ha scritto che "Alcuni dei ricordi di mia madre, parte cioè della sua memoria, è diventata la mia memoria. È questo il vero onere del sangue, è questa l'immortalità ". Mia madre, quand'era giovane, decise di assumersi la responsabilità culturale della propria origine indiana (per metà, infatti, era Cherokee). La sua "indianità" divenne così il fulcro della sua esistenza, riconoscendosi solo un'identità indiana. Quella, secondo me, fu una straordinaria dichiarazione di immaginazione, una rivendicazione di identità culturale che mi ispira tuttora. Così ho deciso di dare anch'io libero sfogo a quell'ispirazione. Penso di avere ereditato da mia madre parte di quel suo stesso entusiasmo, .e della sua dedizione alla nostra origine e alla nostra eredità indiane. Lei sostiene che i nomi, i nostri nomi, svolgono un ruolo fondamentale nella determinazione della personalità. Vuol dire che la nostra identità, insomma, è in larga parte un problema di immaginazione? Voglio dire che siamo quello che noi stessi sogniamo di essere. È vero, io credo che l'immaginazione sia un fattore estremamente importante nella determinazione dell'identità. Della mia infanzia, trascorsa nei grandi spazi dell'Arizona e del New Mexico, ho soprattutto un ricordo forte: quello di un'esistenza piuttosto isolata. Condizione ideale, mi sembra, per sviluppare al meglio l'immaginazione. Ero solo, ma libero di immaginarmi. Penso che 54 Foto di Angelo Polma (Effige). proprio questo immaginarsi sia alla base della nostra identità: e questo vale per tutti. L'immaginazione è al centro della nostra vita, ne è la forza motrice. Nel determinare l'identità di un indiano, di un nativo americano, contano dunque più il sangue e la memoria, o la propria immaginazione? E più in generale: chi è, che cos'è un indiano? Un nativo americano è qualcuno che pensa a se stesso come a un indiano: naturalmente questa è una semplificazione eccessiva, perché non è detto che ognuno di noi possa pensare a se stesso come meglio preferisce. Un indiano americano, una persona che si considera nativa dell'America, guarda il creato con occhi del tutto particolari; ha una "visione del mondo" originale e complessa, ha risposte e comportamenti specifici nei confronti del mondo fisico, dell'arte e della società. Non penso che sia un problema di sangue, o di percentuale di sangue indiano: e nemmeno credo sia necessario vivere in un contesto indiano. È un problema di atteggiamento mentale; si tratta cioè di concepire e acquisire una determinata immagine di se stessi. Nei suoi scritti il paesaggio è sempre un personaggio, talora addirittura quello principale. Ho sempre pensato che il paesaggio in realtà sia un ricettacolo e un depositario dello spirito. Sicuramente, il paesaggio è animato e posseduto dallo spirito. Uno dei miei maggiori interessi è legato al fenomeno dei "territori sacri": e per territorio sacro intendo un pezzo di terra, grande o piccolo, conquistato con il sangue e al prezzo di una- o più -vite umane. Un pezzo di terra imbevuto del sangue e del sacrificio di esseri umani. C'è chi, in passato, e non solo nel mondo indiano, ha sostenuto che sia esistito un piano deliberato per annientare la grande nazione indiana in America. C'è addirittura chi crede che lo sterminio pianificato dei nativi continui.

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