Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

Villaggio Sioux nel Sud Dakota (foto di Schaden/Contrasto). Da qualche tempo Momaday, che pure continua a scrivere e a insegnare, preferisce dipingere. "Mi piaceesprimermj in modi diversimi ha detto nel suo atelier di Tucson -. Scrivere implica molta più concentrazione che dipingere. Entrambe queste attività esigono un'enorme energia creatrice, ma dipingere attiva muscoli djversi, e così dipingendo io riesco persino a rilassarmj_" Il Momaday pittore è autodidatta, e nelle tele lascia che a parlare siano le emozioni, il cuore, i fantasmi che popolano il suo mondo. Uno dei suoi terru preferiti sono infatti le danze magiche e rituali degli spiriti. "Ogni artista- so tiene Momaday-cerca di superarsi, di andare oltre la propria immaginazione; in fondo, si cerca empre di stupire Dio."" ... Alla fine riuscivo a vedere senza pensare", seri ve Momaday in Casafatta di Alba. È proprio quanto ora sta cercando di fare attraverso la pittura. Momaday nasce poeta; si laurea scrivendo una tesi sul poeta nordamericano del diciannovesimo secolo Frederick Goddard Tuckerman, il primo poeta post-simbolista. Momaday viene a sua volta definito postsimbolista per l'uso astratto che assumono tutte le sue immagini, e per le vivacissime descrizioni di dettagli sensoriali. Anche le sue esperienze infantili e adolescenziali assumono nei suoi versi significati astratti. Momaday nasce poeta, ma acquista :fama e prestigio quale romanziere. Uno dr:i suoi romanzi, The Names (I norru, del 1976; in realtà, un'autobiografia romanzata) suggerisce che i nomi cont.Jibuiscono in modo determjnante a definire la nostra identità: che è soprattutto un fatto di immaginazione. Scrive Momaday: "In generale la mja opera di SAGGI/BELLINELLI narrativa è un resoconto autobiografico. In modo particolare, è un atto di immaginazione. Noi siamo quello che immaginiamo di essere". Dunque, ognuno di noi si crea la propria ide.ntità. L'indiano, di conseguenza, è solo un essere che si pensa indiano: "un'idea che un dato uomo ha di sé". Soprattutto, l'indiano di Momaday, e Momaday come indiano, esistono nel paesaggio e nello spazio indiani; un luogo magico, fatto di speranza e di stupore. Per Momaday non si tratta di individuare il paesaggio dell'anima, ma di interpretare l'anima del paesaggio. Lo strumento dell'indiano, sostiene Momaday, deve essere la parola: "La parola ha un potere intrinseco e autonomo. Solo attraverso la parola l'uomo può competere con il mondo ad armj pari". Il capolavoro più autenticamente "indiano" di Momaday si intitola The Way to Rainy Mountain.; è un lungo poema in prosa, un emblematico viaggio alla ricerca di passato, radici, identità. Il libro si trasforma in un inno alla sacralità del rimpianto, con tre componenti sistematicamente riprodotte: un racconto mitico, un racconto storico e uno personale si alternano e si integrano, costituendo il complesso tessuto - non solo narrativo - del viaggio-romanzo. Scrive Momaday nel prologo: "In un certo senso Il viaggio a Rainy Mountainè in primo luogo la storia di un'idea, l'idea che l'uomo si è fatto di sé, qualcosa che vive essenzialmente e da tanto tempo nel linguaggio. La tradizione verbale grazie alla quale essa si è conservata ha sofferto un deterioramento nel corso del tempo. Ciò che resta è frammentario: mjti, leggende, tradizioni, cose sentite dire e, naturalmente, l'idea stessa, cruciale e integra come sempre. Questo è il miracolo." 53

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