SAGGI/BELLINELLI mai realizzato. L'eco-omelia di Capo Seattle potrebbe quindi essere un clamoroso falso hollywoodiano; segno dei tempi, ora che anche al cinema (grazie a Balla coi lupi) gli indiani sono sempre più oggetto di rivalutazione e di celebrazione. Ma anche vittima di uno stereotipo inossidabile; gli indiani parlano ancora e sempre per bocca dei bianchi. L'episodio più noto - e clamoroso ... - di letteratura indiana espressa attraverso la mediazione dei bianchi è quello relativo alle cosiddette memorie di Alce Nero; Alce Nero parla, appunto, opera di John G. Neihardt. Alce Nero era una riverita personalità religiosa dei Lakota, uno sciamano Sioux; fu testimone del massacro di Wounded Knee del 29 dicembre 1890, quando il Settimo Cavalleggeri massacrò 120 guerrieri Sioux, guidati da Piede Grosso, oltre a 230 donne e bambini. Alce Nero visse da protagonista anche la vittoria indiana sul Generale Custer, a Little Big Horn, prima di essere rinchiuso con la sua gente in fetidi capannoni disseminati nella desolata riserva di Pine Ridge (nel Sud Dakota). John G. Neihardt "intervistò" Alce Nero nel 1931, e ripubblicò il resoconto di quell'incontro nel 1961 (la prima edizione passò quasi inosservata ...). Black Elk raccontò la storia della propria vita in lakota, suo figlio Benjamin Black Elk la tradusse in inglese, il figlio di John Neihardt funse da stenografo, e infine lo stesso John Neihardt curò la versione definitiva del "manoscritto". Quando Colombo sbarcò sulle co te del Nord America, vi vivevano più di 2000 tribù indipendenti, che parlavano 500 idiomi diversi, appartenenti a 50 distinti gruppi linguistici. Ma il romanzo nativoamericano si è espresso e si esprime tuttora attraverso una sola lingua, l'inglese. Il primo libro di un autore indiano pubblicato negli Stati Uniti fu la memoria biografica di un insegnante, tale Samson Occom, datato 1772, di insignificante valore letterario. Un Cherokee, Yellow Bird (Uccello Giallo, noto anche col nome di John Rollio Ridge) fu invece il primo romanziere indiano; scrisse la biografia romanzata di un eroe popolare spagnolo, Joaquim Murieta, che Yellow Bird celebrò come il Robin Hood della California. Il primo romanzo indiano con protagonisti indiani si intitola Queen of the Woods (La Regina delle foreste): lo scrisse Simon Pokagon nel 1899. Il già citato Charles Eastman, un Sioux cresciuto negli anni dei grandi massacri indiani e laureatosi poi in medicinaall'Universitàdi Boston, nei primi decenni del secolo scrisse I I libri, tra romanzi, saggi e memorie. Infine, poco prima e qualche anno dopo la seconda guerra mondiale, si segnalò un solo romanziere degno di nota: D' Arcy Mc ickle, autore di The Surrounded (1936) e Runner in the Sun (1954). Questo desolante paesaggio letterario fu stravolto solo a partire dal 1968, quando il romanziere e poeta Navarro Scott Momaday pubblicò il romanzo House madeof Dawn (Casa/atta di Alba). L'anno seguente, nel 1969, a N.S. Momaday fu attribuito il prestigioso premio Pulitzer, il massimo riconoscimento letterario degli Stati Uniti. Uno choc letterario che diede inizio a quello che fu ben presto definito il "Rinascimento della letteratura indiana d'America". Dopo Momaday, la critica- biancae i lettori - essenzialmente bianchi - d'America "scoprirono" James Welch, un poeta-romanziere "piede nero" e "gros ventre", sbrigativamente definito il Faulkner indiano del Montana. Fu poi la volta di Leslie Marmon Silko, di Gerald Vizenor, di Louise Erdrich e di suo marito, Michael Dorris; tutti insegnano, o hanno insegnato, in prestigiose università bianche... . Paradossalmente-ma non troppo- l'autore genericamente definito "indiano" più letto e venduto, non solo in America, Toni Hillerman, non 52 è indiano. Hillerman è un bianco che vive nella riserva Navajo, tra Arizona e New Mexico, e che ha sposato la causa della tribù politicamente ed economicamente più intraprendente. Hillerman racconta storied' amore e di morte, gialli dall'intreccio complesso e sofisticato, non privi di talento e di interesse, e che hanno per protagonisti, appunto, personaggi del mondo indiano, Navajo in particolare. Ma Hillerman, secondo la Silko, è solo un "sedicente sciamano bianco". Momaday, Silko, Welch, Vizenor hanno in comune la volontà di presentare la propria storia, e non la versione bianca della storia indiana. Parlano in prima persona, per definire se stessi e la propria cultura; e parlano con autorevolezza e con chiarezza. Hanno vissuto sulla propria pelle le principali tragedie della "nazione indiana" - alcolismo, frammentazione, perdita, ricollocazione forzata, solitudine, disperazione -, e ne parlano con coraggio e lucidità. Come ha scritto felicemente Franco Meli, le loro opere "coniugano l'amarezza del passato con il tradimento del presente; l'orecchio è rivolto alla tradizione, l'occhio è diretto al presente" (Parole nel sangue, Oscar Mondadori 1991, p. XII). Momaday, Silko, Welch, Vizenor sono cresciuti e vissuti in un contesto tribale; ma hanno anche studiato e poi insegnato in prestigiose università wasp, e ora sono pubblicati da editori bianchi. Non solo sono ha/f-breed, cioè di sangue misto; sono manifestamente "contaminati", cioè pienamente biculturali. Essi danno così vita in pari tempo a un tipo di letteratura tribale e cosmopolita. Dove sono le radici delle loro pagine? Nella tradizione orale, ovviamente; nel ruolo originale, liberatorio, indistruttibile della parola. Nella memoria collettiva come obbligo morale vincolante, argine vincente contro la parola menzognera dell'invasore bianco. Sono guidati da una particolare percezione dello spazio, quasi mistica; meglio, morale, che genera un legame etico con l'ambiente. Lo spazio, insomma, conta molto più del tempo ... I loro veri punti di riferimento sono la terra, considerata un essere consapevole, alla stregua di qualsiasi altra creatura vivente; e la morte, che è semplicemente un ritorno alla terra. Dunque alle origini; e così il cerchio sacro si chiude. Cosa serve, a un indiano, per sopravvivere, o meglio, per ritrovarsi? Serve soprattutto un forte sense of piace, un senso del luogo; un luogo nel quale potersi identificare e che favorisca il "ritorno a casa" (tenendo in considerazione che l'indiano è più legato al concetto di tribalismo che a quello di individualismo). Solo "tornando a casa" saprà recuperare rispetto per se stesso, e si ricongiungerà alla memoria collettiva della tribù. Senza sense of piace non c'è identità. Il mondo che questi autori descrivono è sempre crudele e violento; la loro prosa è spesso di denuncia e di protesta, e i loro intenti politici talora traspaiono in modo evidente. Ma, in fondo ai lunghi cunicoli bui di un'esistenza il più delle volte tragica, si intravede sempre un po' di luce. Home, casa, non è più troppo lontana. avarro Scott Momaday è nato ad Anadarko, in Oklahoma, nel 1934; di ascendenza Kiowa, è cresciuto nel sud-ovest degli Stati Uniti, subendo I' influssodellecultureNavajoe Pueblo. Hastudiatoall 'Università del New Mexico e a Stanford, in California: ora insegna all'Università dell'Arizona, a Tucson, dove vive. Romanziere, poeta, critico letterario, giornalista e pittore, Momaday ha raggiunto notorietà e prestigio con la pubblicazione di House made of Dawn ( Casafatta di Alba, Guanda, Milano 1979, 1988), che ha ricevuto il premio Pulitzer. Ha inoltre pubblicato The Way to Rainy Mountain (Il viaggio a Rainy Mountain, La Salamandra, Milano 1988), The Names, The Ancient Child e The Gourd Dancer, una raccolta di poesie.
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