Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

STORIE/MUKHERJEE l'origine delle mie storie è anche nei racconti di mia madre e mia nonna, il mondo delle epiche indù. Nonostante tutte le speranze e le energie che ho investito nel processo di immigrazione e di adattamento - quando sono arrivata non ero nemmeno capace di salire su un autobus, e ora guardo le gare di trattori su reti televisive secondarie - ci sono parti di me che restano indiane, parti che urtano contro le mie nuove maschere. La forma che assumono i miei racconti e romanzi riflette inevitabilmente le risorse della mitologia indiana - metamorfosi, miracoli, prospettive divine. I miei personaggi sono in grado, spero, di trascendere le strettoie di un facile psicologismo. Le persone di cui scrivo hanno, culturalmente e politicamente, parecchie centinaia di anni; considerate la storia di cui sono state testimoni: colonialismo, tecnologia, istruzione, liberazione, guerra civile, sradicamento. Si sono spogliate di vecchie identità assumendone di nuove e hanno imparato a nascondere le ferite. Sono quelli che vi vendono i giornali o che di notte puliscono i vostri uffici. Gli scrittori (in particolare gli scrittori americani allevati negli agi del benessere e della libertà) spesso rinnegano la nozione di "dovere letterario" o di "consapevolezza politica", citando i casi fin troppo frequenti di scrittori rovinati dalle proprie petulanti dichiarazioni di impegno. Le chiacchiere abbondano da tutte e due le parti, ma alla fine devo mettermi dalla parte dei miei compatrioti del Terzo Mondo: io ho un dovere, oltre quello di raccontare una buona storia o di tratteggiare un personaggio convincente. Il mio dovere è dar voce ai continenti, ma anche ridefinire il concetto di americano e di ciò che rende americani. Nel frattempo, opere come la mia e dozzine di altre simili apriranno i confini della letteratura americana. Non è stata una transizione facile, da studente a cittadino, da espatriato naturalizzato allo scompiglio dell'immigrazione. Io e mio marito, Clark Blaise, abbiamo passato quindici anni nel suo desh in Canada, e il Canada era un paese che scoraggiava persino il processo di assimilazione. Alla fine scoraggiava persino la presenza dei "Paki" in mezzo a loro e nel 1980, un momento non troppo felice della nostra vita, siamo partiti abbandonando i nostri posti di professori universitari per una vita da liberi professionisti negli Stati Uniti. Vivevamo a Iowa City quando, nel 1983, fui chiamata alla Emory University per il semestre invernale come scrittore residente. Il mio nome era stato suggerito forse da un vecchio amico. Erano sei anni che non pubblicavo libri (due romanzi precedenti, The Tiger's Daughtere Wife e il libro che avevamo scritto insieme, Days and Nights in Calcutta, erano esauriti) ma questo non mi fu fatto pesare. Atlanta si rivelò il periodo di scrittura più fortunato della mia vita. Per una ragione misteriosa, racconti che si erano andati accumulando dentro di me all'improvviso esplosero. In quei tre mesi ho scritto quasi tutti i racconti di Darkness [Episodi isolati, Feltrinelli ndt]. Alla fine ho capito quale era veramente il mio tema, e cioè l'immigrazione. In altri termini, la trasformazione, non la conservazione. Ho visto me stessa e la mia esperienza rifratta in decine di altre vite. Clark, che era rimasto a Iowa City finché il nostro figlio più piccolo non finiva le superiori, mi 50 mandava articoli di giornale che io trasformavo in racconti. Amici indiani di Atlanta mi invitavano a pranzo e le chiacchiere fatte diventavano racconti. All'improvviso avevo cominciato ad appropriarmi della lingua americana. I miei racconti parlavano del caos magmatico tra due mondi. Alla fine - fu inevitabile - ci trasferimmo a New York. Nella mia raccolta successiva di racconti (The Middleman and Other Stories, Grave 1988) riesco ad appropriarmi della lingua americana in modi che trovo personalmente soddisfacenti (un recensore di Chicago l'ha paragonata a Lolita di Nabokov), e i miei personaggi ora possono essere americani o immigrati, cinesi, filippini, del medio oriente oltre che indiani. Quel libro ha incontrato un enorme favore sia di critica che di pubblico, mi ha messo in grado di scrivere un altro romanzo, Jasmine, e di avere un contratto per un'altra opera di natura storica, che incorpora tuttavia una versione precedente del mio tema di fondo, e che dovrò terminare nei prossimi tre anni. Days and Nights in Calcutta diventerà un film. Il mio tema è la formazione dei nuovi americani. Dovunque vado nel vecchio (vecchissimo) mondo, trovo "americani" in formazione - che ce la facciano o no a raggiungere queste spiagge. Sono sognatori e conquistatori, gente che non ha paura di trasformarsi né di abbandonare alcuni dei propri principi lungo il cammino. La protagonista "americana" di Jasmine nasce in un villaggio del Punjab, si sposa a quattordici anni e resta vedova a sedici. E tuttavia è americana ed entrerà nel libro come la moglie di un banchiere dello Iowa. Le abitudini ancestrali della mente possono essere costrittive ma servono anche a conferire l'individualità. So che posso impadronirmi della lingua americana, ma non potrò mai essere una minimalista. Ho troppe storie da raccontare. L'immagine che ho di me è quella di una donna di quattrocento anni, nata nella cattività di una cultura orale, coloniale e pre-industriale e che vive ora come una cittadina di New York dei nostri giorni. L'immagine che ho della struttura e della perfezione artistica corrisponde alla miniatura moghul con la sua folle prospettiva, l'idea che tutto accade simultaneamente tenuto insieme solo dalla forma e dal colore. Nelle miniature indiane, ci sono una dozzina di punti centrali di interesse, le storie più complesse possono essere narrate su un granello di riso, i margini sono elaborati quanto i punti centrali. Tutto si compenetra. Nella miniatura moghul della mia vita, ci sarebbero donne che si scrutano il corpo servendosi di uno specchio, su balconi lontani sotto ventagli agitati da serve annoiate, ci sarebbe una ragazzina che ascolta una vecchia ricurva, ci sarebbe un bianco che mangia popcorn mentre guarda una partita di baseball, ci sarebbero. co.:ktail-parties e campi di grano e un villaggio in mezzo alle risaie e i grattacieli. In un certo senso ho già scritto quel racconto: è Visione di corte l'ultimo della raccolta Episodi isolati. Lo sto scrivendo oggi in molti altri modi e continuerò a scriverlo, nello stile moghul, finché non sarà perfetto. Copyright Bharati Mukherjee (daTh.e Writer On Her Work, Virago Press, Londra 1992)

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==