Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

STORIE/HARRISON altri bambini sembrano possedere: i pali e gli alberi si deformano e trasformano in punti interrogativi, e si ha l'impressione di sprofondare sottoterra dove la crosta è sottile. Molto più tardi, certe fotografie di giornale avrebbero avuto per me una risonanza naturale: la bocca della ragazza di Kent State, contorta in un urlo scimmiesco, e il monello orientale che correva nudo lungo la strada dopo un bagno di napalm. Immagini più allegre sono allineate sulla mia scrivania: un'ala di corvo e un'ala di airone, un distintivo contro il suicidio, uno stronzo secco d'orso, un maialino giocattolo, una scarpina di bambino haitiano trovata su una spiaggia della Florida dopo che un'intera nave di neri era stata portata in galera, avendo mancato di mille miglia la Statua della Libertà. La notte del Midwest settentrionale in cui sono cresciuto era l'unico mistero immediatamente disponibile, oltre alle matinée del sabato con personaggi tipo Roy Rogers e i Sons of the Pioneers. Un intero teatro pieno di bambini del villaggio e della campagna cercava di capire cosa fossero quei cespugli che rotolavano nel vento, per poi uscire nella realtà del cielo nero e degli enormi cumuli di neve. Anni dopo, mentre andavo in California in autostop, ebbi un incidente di macchina: finalmente vidi uno di quei cespugli a tre centimetri dal naso, e mi sembrò di risentire i Pioneers. Ma le notti d'estate, le notti d'inverno e le passeggiate. Mio padre, che portava l'improbabile nome di Winfield Sprague Harrison, costruì un capanno su un lago con l'aiuto dei suoi fratelli spendendo la grandiosa cifra di mille dollari, nel 1946. I miei zii erano appena tornati dalla seconda guerra mondiale, ed erano particolarmente gentili con me perché mi consideravano un compagno ferito. Andavo a camminare con loro e mi avevano soprannominato Little Beaver, dal fumetto di Red Ryder. Fu allora, mentre gli zii si davano da fare a pescare o a ubriacarsi, che presi l'abitudine di passare la giornata e la sera a camminare tutto solo. Scoprii che il crepuscolo era un buon momento per queste passeggiate, e che di notte era addirittura mer~viglioso. Camminavo lungo i ruscelli, il fiume e il lago, con le voci dei pescatori di pesce persico che arrivavano fino a riva. Una volta dalla finestra di un capanno vidi una ragazza ballare nuda insieme a un dalmata, alla luce di una lampada a petrolio; un'altra volta vidi una coppia di vecchi bacucchi ascoltare in convulsioni Fibber McGee and Molly, a una radio a pile. Il vecchio era caduto dalla sedia, e agitava i piedi per aria dal gran ridere. La vecchia lo aiutò a tirarsi su fino al divano, poi cominciarono a giocare con il popcorn, tirandoselo addosso. Non c'era energia elettrica, nella zona, quindi la notte era davvero buia. Invidiavo la capacità di Gesù di camminare sull'acqua, e immaginavo cos'avrei provato a guardar giù, sotto la superficie del lago, come attraverso una lastra di vetro, e osservare la vita segreta dei pesci, delle tartarughe e del leggendario ed elusivo uccello acquatico, la strolaga, che nuotava sott'acqua, dicevano, più veloce del pinguino o del delfino, dei siluri giapponesi o dei sottomarini tedeschi. Uno dei posti che preferivo con la luna piena e gonfia era un boschetto di betulle bianche dove vagavano i cervi e dove, se si era tanto stupidi da non godersi lo spettacolo, si poteva leggere il giornale alla luce scintillante. Vicino al boschetto vivevano gli 32 aironi, che spesso, nelle notti luminose, uscivano a pescare nell'acqua bassa. C'era un cimitero Chippewa, poco distante, e una ragazza che conoscevo diceva che se si appoggiava l'orecchio per terra si sentivano i guerrieri morti parlare con le mogli e i figli. Sinceramente, io non ho mai osato appoggiare l'orecchio per terra. Il terrore notturno, comunque, era uno splendido antidoto ali' apatia dei caldi pomeriggi d'agosto, per un ragazzo che faceva lo zappatore libero professionista a dieci cents l'ora. Spesso passavo settimane intere alla fattoria dei miei nonni, immigrati svedesi, specialmente quando mia madre stava per avere l'ennesimo bambino. Camminavo lungo gli interminabili filari di granturco alto il doppio di me, attraverso i campi di grano, e spesso finivo vicino a uno stagno dove venivano scaricate le ossa bianche dei manzi e dei maiali macellati, ed enormi serpenti d'acqua scivolavano via veloci nello splendore delle alghe sull'acqua. Se c'era la pioggia, o il temporale, restavo seduto nella Model A o sotto un pentolone sostenuto da cavalletti, ad ascoltare quella che mio fratello chiamava musica cinese. Nella stalla, sedevo sullo sgabello della mungitura e ascoltavo i manzi e i cavalli da tiro mangiare al buio, oppure, su nel fienile, mi sdraiavo nel!' erba secca con tutti i gatti, inafferrabili alla luce del Foto di Vincenzo Cottinelli.

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