Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

I CONFRONTI I popolare, la stessa folla dai visi aperti. Gli uomini vanno con un portamento vivace e sciolto. Se i libertari sono in Francia una manciata, qui ogni operaio è libertario, di cuore e di aspetto. Peccato che non sappia meglio lo spagnolo, mi sento a tal punto tra i miei come se in Francia fossi un povero seme perduto e che qui fosse il mio suolo. La presa in possesso di certi alberghi e di certi immobili per alloggiare i miliziani e le organizzazioni non impedisce alla vita normale di seguire il suo corso. Ma il primo posto appartiene ai nostri; qualche chiesa bruciata non ha davvero nessuna importanza, si è presi interamente da un sentimento di forza e di avanzata rivoluzionaria. Le guardie d'assalto salutano con il pugno levato, si sorride ai miliziani.Gli altri portano la bandiera rossa e nera, automobili requisite, tutti noi proletari siamo fraternamente complici di un ordine nuovo che si edifica. Ho trovato due jugoslavi, seduti a un grande caffé, due compagni di strada, io ero con un altro compagno. Tutti e quattro mal rasati, dovevamo sembrare un gruppo patibolare tra i caballeros. Ma i caballeros non dicevano niente, la nostra vista gli ricordava delle cose imbarazzanti e spiacevoli. Detto altrimenti, il proletario si sente fiero di vivere a Barcellona. In qualsiasi periodo amerei questo popolo e tanto più nel momento presente. Niente mi obbliga ad andare a Saragozza, i miliziani sono volontari; le loro andate e venute sono libere e persino la loro partenza per il fronte, ma poiché partecipiamo alla libertà, la si va a difendere con coraggio. Non si va a difendere una parola ma uno stato di cose, i volontari non mancano. Sembra che qui le parole abbiano il loro valore, che il sangue sia sangue e che altrove i dadi siano truccati. Ci si chiede cosa aspetta in Francia il Fronte popolare per armare tutti gli operai della C.G.T., il fascismo sarebbe fottuto. Attende l'offensiva il Fronte popolare. Qui non ci si batte per il Fronte popolare, ci si vuole battere per il comunismo libertario. Per il potere dei delegati operai e contadini. La C.V .I. sembra essere all'altezza del suo compito: corrisponde alla C.G.T. di prima della guerra in Francia. Per chi mette piede a Barcellona è impossibile non sentirsi anarco-sindacalista. Con la speranza di rivederla a Parigi. Ottobre 1936 [...] Quanto al reportage dalla Spagna è troppo obiettivo per convenire a Jean Paulhan. Ma nel genere "reportage" non penso che sia così incolore. Ho soprattutto pensato al giornale svizzero. Mi è molto difficile astrarmi dal racconto. Non si può scrivere un racconto veridico attu~lmente. Là era impossibile partecipare da spettatore: tutta la ricchezza della vita non tarda a esser poco interessante se non si hanno le forze per vedere. Prima di Barbastro il treno si ferma in una piana. Non c'è stazione, ma a destra una fabbrica di fertilizzante, è vuota. Abbiamo lo stomaco vuoto dalla mattina. Dei tipi si allontanano dal treno correndo. Ho il vago istinto di tirargli addosso. La loro partenza fa scandalo. Ritorna110e ricevono una lavata di capo dal capocolonna che poco dopo, alle loro spalle, dice: "Brava gente, hanno energia, tanto meglio". Cosa c'era là sotto? Quattro carogne a metà carbonizzate. I contadini di qui hanno bruciato due fascisti e due curati. Di dove vengono i tipi? C'è senza dubbio una poltiglia orribile. Raymond brontola. Cosa succede, perché aspettiamo? Da ieri sera non abbiamo mangiato che del pane con le sardine. Sembra che la pianura bruciata puzzi di sardine e di grasso di treno, che i raggi del sole abbiano accarezzato delle carogne. Sembriamo tutti un po' scalcinati per la sete, il calore, la fame. Attesa cupa, qua e là si dorme, abbiamo una notte di treno nelle membra.C'è già odore di morte, la realtà odora di guerra. Com'è stupido. Perché non c'è altra strada, bisogna crepare per difendersi, gli uomini si battono 22 per regolare la questione sociale. Dov'è dunque l'idiozia, la stupidità canina, chi ha attaccato in questa guerra? I satolli, coloro che per paura di perdere una briciola preferiscono ingaggiare il combattimento. Com'è stupida la natura umana. Noi ci difendiamo, non abbiamo nulla. Qualsiasi altra strada, accettare il fascismo, è il suicidio. È la vita, la guerra, bisogna far parte della pianura che puzza. Barbastro. Sbarchiamo, si ritrova l'umanità di una cittadina. Non è ancora il fronte. Raymond, al mio fianco, fa delle smorfie, fa il mattacchione, leva il pugno, grida: "Viva il Fronte popolare". Si diverte, non ha più fame, è allegro, c'è gente, mette in mostra la sua noncuranza. Sa che il più vecchio lo giudica, che lo sgrido se esagera. Non mi piace la sua volgarità. "Dov'è Raymond?" domanda Christo, lo svizzero, quando Raymond non è più al nostro fianco. Lo trova strano e vivo, Raymond lo fa divertire. Siamo raccolti sulla piazza. Siate pazienti, il cibo c'è in abbondanza, ma non c'è posto per tutti, aspetterete in gruppi di trenta. Non si può fare altrimenti, compagni. Ma un delegato di Barbastro fa un segno. Quelli che vogliono mi seguano. Dopo un quarto d'ora, con Raymond, lo svizzero, i due serbi, ci troviamo a casa sua, una donna porta del vino, un'insalata di pomodori. Per strada il grosso serbo non è contento del pasto. "Bisogna farsi servire, vecchio mio". Ho difficoltà a fargli capire che siamo in casa di amici. È il tipico guerriero, il selvaggio perso, la bestia che ama il sangue. "Io al prossimo paese, nessuna pietà, né donne né bambini, non conosco nessuno." La fame l'ha eccitato. Avevamo appena mangiato del prosciutto lassù al Comitato. Dei tipi guardano attraverso una porta e scherzano. Metto anch'io l'occhio al buco della serratura. Sei preti disfatti camminano in una sorta di cripta. Due per due, le mani nelle maniche, le teste reclinate. Credo di vedere un'antica pittura, con il terrore come didascalia. Sento al ventre l'angoscia dei sei candidati alla morte, la loro falsa aria di rassegnazione. Ho appena mangiato del prosciutto accanto a loro, che sono là. Ed è ancora l'ordine implacabile della vita. Qualcosa ci rovescia, Raymond e me. Ci si ritrova tra compagni. Hai visto i curati? Tutti li hanno visti. Le carogne del pomeriggio, i sei tipi che diventeranno carogne e io che vado con il ventre pieno, ridendo con Raymond, e improvvisamente l'idea di carogna mi attraversa. Christo lo svizzero offre delle sigarette, il caffè, sembra di navigare nell'abbondanza, nella densità, siamo grosse nubi temporalesche ben gonfie, l'idea di sparire si mescola con la gioia di sbafare, di fumare, di scherzare senza vera ragione. Improvvisamente quello che mi fa più ridere e che fa ridere Raymond, è che François, il grosso serbo, l'addormentato, vuole farsi dare da Christo tre franchi. Ha già tre pesete, gliene mancano tre. Sa dove ci sono le donne. Ecco che il brav'uomo crede che Christo tirerà fuori tre franchi per i suoi piccoli bisogni. Ci prendiamo gioco tutti e tre del buon contadino che pensava di farci pietà con il suo bisogno di amore. Ho scritto tutto ciò sul momento per provare che la verità è per ora dislocata. Non penso di scrivere un racconto veridico. Il repoi;tageè veridico ma non contiene tutta la verità. Non c'è seguito al reportage. Avevo pensato di seri vere. Ospedali. Ho dato l'aspetto essenziale delle retrovie e l'aspetto frammentario del fronte. Non continuo. Poiché V[on] B[endemann] è in Italia non può ricevere nulla di questo genere. Deve avere avuto un allarme. Il reportage è uno sforzo senza interesse, non impegna l'esperienza reale. Insomma, non posso scrivere esattamente cosa attendevate da me, bisognerebbe essere capace di superare la nota negativa. È ancora troppo recente. Sarei stato incapace di scrivere di giorno in giorno in Spagna, di tenere un diario o di scrivere delle lettere. Sono stato a lungo male. Esaurimento nervoso, neurastenia, anemia cerebrale,

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