Linea d'ombra - anno XI - n. 85 - settembre 1993

Oxford, "incappò" nel libro di Goitein e nel giro di pochi mesi si ritrovò prima in Tunisia e poi in Egitto a studiare l'arabo. Probabilmente fu la menzione del servitore indiano a far scoccare la scintilla. Ma la curiosità del filologo-detective era poi sostenuta dall'interesse per la lingua dell'islam, la religione che aveva portato alla spartizione del I947 tra India e Pakistan; e soprattutto dal!' idea che, è il perno centrale del romanzo,queUadell' individuazione di un mondo in cui la tolleranza era stata possibile. La ricostruzione della storia di Ben Yiju e del suo servitore, aiutata da favorevoli coincidenze e affrontata con l'entusiasmo del filologo, compare nel romanzo a intervalli, con parziali anticipazioni e voluti silenzi che solo verso la fine troveranno risposta. Ma la maggior parte del libro è dedicata al racconto dei soggiorni egiziani di Ghosh, al suo confronto (scontro, talvolta) con gli abitanti dei due villaggi in cui trascorre i suoi lunghi mesi di immersione totale. Il titolo originale del libro è In anAntique Land, In una terra antica, e l'aggettivo "antique" dà sì l'idea di un paese antico (e ricco di antichità), ma anche di un paese che appartiene a un lontano passato. Idue villaggi, non lontano da Damanhiir, sulla strada che va da Alessandria al Cairo, appartengono al mondo contemporaneo (con le sue televisioni e le sue macchine, ancora guardate con stupore nel primo soggiorno, nel 1980, ma già familiari otto anni dopo, grazie ai consumi consentiti dalle rimesse dei parenti emigrati in Iraq); ma appartengono ancora al mondo medievale per ladistanza psicologica dagli altri villaggi e dalle città, le forme e le strutture dei rapporti sociali, il permanere di antiche credenze che la voglia di modernità lascia immutate; per lo stesso dialetto, che in certe espressioni assomiglia in modo sconcertante all'arabo nordafricano di Ben Yiju e che diventa per Ghosh il CONFRONTI principale strumento di comprensione del manoscritto. L'indiano Ghosh è visto con il sospetto (e a volte l'ostilità) di un mondo contadino ostico alla diversità. E la diversità è accentuata dal pregiudizio religioso; le frasi beffarde sugli indiani adoratori di vacche e crematori di cadaveri, oltre che impuri perché non circoncisi, si accompagnano agli inviti pressanti adire ai suoi compatrioti miscredenti di convertirsi all'islam, di abbracciare la vera fede. Il lettore sente arrivare, a piccole ondate, la marea dell'intolleranza; ma Ghosh lo mette in guardia da conclusioni affrettate raccontando un episodio della sua infanzia (che già gli aveva ispirato le pagine della morte di Tridib), quando la sua famiglia era scampata all'assedio dei musulmani a Dacca, nei disordini del 1964. Negli stessi giorni anche a Calcutta c'era stata una sommossa, "solo che là erano i musulmani che venivano aggrediti dagli indù". La ragione, tuttavia, finisce col cedere al1'emozione; e il mite dottore indiano, di fronte all'Imam che contrappone all'India arretrata che brucia icadaveri l'Europacivileeavanzata ("Sono progrediti, istruiti, hanno scienza, cannoni e carri armati e bombe"), urla che anche loro, in India, hanno quelle armi, molto migliori di quelle degli egiziani. A quel punto si rende conto, sgomento, di aver parlato con le parole dell'Occidente, di aver fatto ricorso, come criterio dirimente, a quello della superiorità tecnologico-militare. Più avanti, parlando del destino del porto di Mangalore, Ghosh ricorda la decisiva battaglia navale in cui, nel 1509, la flotta portoghese distrusse la flotta messa insieme dal sovrano indù di Calicut e dai musulmani dell'India e del sultanato d'Egitto. I portoghesi, incapaci di competere con i soli strumenti del commercio, "assunsero il controllo dell'Oceano Indiano con un'aggressività pura e distillata, e con un livello di violenza sconosciuta su quelle sponde". L'equilibrio mercanti le che aveva consentito di convivere a genti diverse per fede, costumi, tradizioni e etnie, veniva cancellato ad opera dell'Europa. È qui la spiegazione dello sgomento dopo lo scontro con l'Imam; ed è qui anche la spiegazione del fascino che subito ebbero per Ghosh le lettere di quei mercanti del dodicesimo secolo. Esso nasceva dal rimpianto di un mondo che aveva un comune linguaggio per discutere delle proprie differenze, un linguaggio che consentiva di parlare "come facevano Ben Yiju e il suo schiavo, e le migliaia di viaggiatori che attraversarono l'Oceano Indiano nel Medioevo: di cose giuste, o buone, o volute da Dio". Ghosh sa bene che negli anni di Ben Yiju i crociati cristiani imperversavano nel vicino Oriente, mentre in Marocco i musulmani della dinastia Almohad massacravano centomila ebrei e cristiani a Fez e centoventimila a Marrakesh. In quegli stessi anni, però, c'era stato un mondo civile, tollerante, che in nome dei commerci e degli scambi aveva saputo far coesistere sulle rive dell'Oceano Indiano civiltà secolari diversissime tra loro, che aveva consentito a uomini animati da fedi diverse, indù, musulmani, ebrei, di trovare una comune intesa, un linguaggio comune che parlava di commerci, ma anche di affetti, di amore e di poesia. Non è un caso che di quel mondo non facessero parte i cristiani, gli europei, che quando comparvero "divorarono i resti della civiltà che avev.aportato Ben Yiju a Mangalore" con la loro "sete insaziabile, demoniaca, che da allora e per quasi cinque secoli ha infuriato sull'Oceano Indiano, il Mare Arabico e il Golfo Persico". Forse ci può sconcertare questa visione, che guarda alla storia con gli occhi del Terzo Mondo e che eleva un inno al libero mercato. Ma in comune con Ghosh abbiamo il linguaggio della letteratura per discutere delle nostre differenze. Sotto la stella dei refrattari Georges Navel operaio e scrittore a cura di Patrick Mayoux traduzione di Cesare Pianciola Patrick Mayoux ( 1945) insegna filosofia in un liceo della Bretagna. Ha pubblicato un saggio su Nave[ nella "Nouvelle Revue Française", n. 458, marzo 1991. Georges Navel in Italia non è conosciuto e in Francia è spesso misconosciuto sotto l'etichetta di "scrittore operaio". È nato nel 1904 da una famiglia operaia. Ha conosciuto le due guerre mondiali. Dopo la prima, nel 1919, già operaio e già libertario, ha creduto la rivoluzione sociale possibile e vicina. Senza dubbio in seguito non l'ha mai più creduto, pur senza rassegnarsi alla permanenza dell'oppressione. Adesso, alta figura un po' curva, con una testa sottile da grande uccello, cammina appena può sulla strada del suo paese dei monti del Vercors. La sua memoria lavora incessantemente. È delle più vaste e delle più precise, come risulta da tutti i suoi libri, ma senza vagheggiamento del passato. Nel suo ultimo libro, 18 Novel e un ritratto di Groethuysen. Foto di Gérord Rondeau.

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