IL CONTESTO granduchessa di tutte le Russie; il giovane appassionato di storia del Risorgimento; il buffone che fa casino sui banchi durante la ricreazione per difendere i diritti dei compagni e poi fa la spia al preside, ecc. ecc. Terribile sarebbe se nessuna di queste ipotesi fosse vera. Ce n'è infatti una peggiore. E se questi impagabili rappresentanti del nostro paese fossero gente sincera? Un po' ribalda ma non troppo? Gente che non sa niente di sé, che non ha nessuna idea di se stessa? Gente ottusa e stordita da una trentennale, manicomiale coabitazione col privilegio e con la politica? Che mestiere potrebbe fare tutta questa gente? Dove metterla? Come sostituirla? Non è un problema da poco essere rappresentati da chi non c'è. Senza idee, senza sinistra Alfonso Berardinelli Sull'ultimo numero di "Diario" ho cercato di esaminare criticamente, a volte in termini un po' "satirici", quattro "stili dell'estremismo" scegliendo, per esemplificare, altrettanti saggisti italiani di oggi: Franco Fortini, Roberto Calasso, Elémire Zolla e Mario Tronti. Sul "Corriere della sera" del primo agosto scorso, Giovanni Raboni si mostra assai poco informato e poco interessato sia ai fatti che alle idee quando sostiene che io, osando criticare lo stile di Fortini, avrei scritto una sorta di requiem per la Nuova Sinistra. In realtà, la Nuova Sinistra nata negli anni Sessanta è stata sconfitta e si è esaurita circa quindici anni fa, anche se Raboni non se ne è accorto. La critica alla cultura dell'estremismo e dell'avanguardia, sia in senso letterario-artistico che in senso politico, provai a formularla già alla fine degli anni Settanta, se devo proprio esibire il mio curriculum. Fra le diverse ragioni di quell'esaurimento e di quella sconfitta credo che ci fosse appunto una certa gestualità estremistica e ricattatoria: che portava al bisogno di "scavalcarsi a sinistra", mostrandosi sempre più duri e più conseguenziali di chiunque altro, fino alle più grottesche caricature. Le due più tipiche forme dell'estremismo ricattatorio si potrebbero riassumere in due frasi: 1)"se dici questo fai il gioco del nemico", e 2) "bisogna andare oltre, bisogna arrivare coerentemente fino in fondo". Purtroppo queste due formule non erano nate con la Nuova Sinistra, avevano una lunga storia ed erano ben radicate in tutta la tradizione rivoluzionaria precedente. Erano gli imperativi di una coerenza ideologica nello stesso tempo formalistica e settaria, che vedeva l'organizzazione politica come un nucleo di fedeli, che credono e non tradiscono. Se si trattasse solo di questo, comunque, non ci sarebbe da scoprire molto. Il fatto è che esiste in tutta la cultura del Novecento, anche al di fuori della tradizione comunista e di sinistra, un estremismo più generale e diffuso che ha toccato i più diversi ambiti culturali: dalle avanguardie artistiche alla filosofia. È un estremismo che potrebbe essere definito formalistico e gestuale, nel quale spesso il rigore teorico si trasforma in retorica, che mira anzitutto alla conseguenzialità, alla pura coerenza formale, alla terribilità delle formule e delle ipotesi estreme. È un estremismo sia estetico che politico, a volte attratto dai rigori della logica a formale e a volte affascinato dal misticismo, che lavora a volte con la categoria della "totalità" e a volta con quella di "limite". Guarda costantemente, ossessivamente, al Tutto e ali' Oltre, spesso trascurando i dettagli, le situazioni di fatto, le vicende biografiche, il rapporto fra ciò che si pensa e ciò che si fa. Al di là delle affermazioni e delle idee espresse, la caratteristica maggiore di questo estremismo sono proprio le sue strutture di linguaggio, le sue figure retoriche, il suo stile. Con la seconda metà del Novecento, queste tendenze estremistiche esplose nei primi decenni del secolo sono diventate una maniera, un'accademia, un gergo culturale tanto diffuso e doveroso quanto inoffensivo. L'estremismo si è trasformato in un apparato dj copertura,'nel gergo preferito dell'industria culturale, E ha permesso alla nuova, vasta, vorace Classe Media di non vedere e capire se stessa, di cancellare la propria identità sociale e morale sublimandola in gesti eroici e maschere mitologiche. In Italia, poi, paese in cui si fa sempre una gran fatica a riferire onestamente ciò che realmente si è fatto e ciò che veramente è avvenuto, l'estremismo stilistico si trasforma più facilmente in retorica. L'Italia è il paese degli esteti e dei politici, è il paese della più abile e inventiva manipolazione dei fatti. Non abbiamo avuto né una forte cultura narrativa né una tradizione teatrale: l'esercizio dell'autocoscienza e del confronto tra parole e azioni non ci interessa. In una cultura del genere, le neo-avanguardie informali e astratte, i marxismi duri e puri, le teorie formalistiche della letteratura, la moda di Nietzsche e di Heidegger hanno solo incrementato una specie di narcosi culturale collettiva, un clima beatamente carnevalesco, dove neppure le tragedie reali riescono a creare una coscienza adeguata. Come ha cercato di spiegare Cesare Garboli in un articolo su "la Repubblica" in cui analizzava lo stile dei suicidi di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, i nostri massimi imprenditori, manager e politici non riescono a capire chi sono realmente e che cosa hanno veramente fatto. In questo, forse, sono molto simili ai terroristi degli anni Settanta. Che oggi aspirano a condurre una vita del tutto "normale" (e ricevere qualche riconoscimento pubblico non gli sembrerebbe affatto assurdo). La Nuova Sinistra è finita con gli anni Settanta. Ma da allora si può dire che esista ancora una cultura di sinistra in Italia? E, se esiste, per quali caratteristiche si distingue? Domande elementari, quasi disarmanti, che ormai raramente vengono poste. Si sospetta Foto di Luigi Baldelli (Contrasto)
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