Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

Come finiremo quando i cinesi o i giapponesi o i "marsigliesi" avranno preso il posto dei siciliani nel controllo della droga e del "capitale illegale"? Sarà per questo malinteso ma realista senso di responsabilità che per anni la lotta alla criminalità organizzata non è stata troppo convinta o efficace? Non lo sappiamo, ma invece sappiamo che, a più basso livello, molta dell'indignazione istituzionale e popolare contro i disonesti non riesce a cancellare il sospetto che il vero peccato rinfacciato ai "la-dri !, la-dri!. .." sia quello della sorprendente caduta della loro impunità, e che la "vergogna!, vergogna! ..." è in fondo sempre quella di essersi fatti beccare. È certamente ingegnoso e perfino stupido parlare così davanti a concreti segnali di ripresa (di coscienza), ma festeggiare troppo e indiscriminatamente qualche neonata e incerta buona intenzione non ha mai incoraggiato una vera e radicale trasformazione. Non si tratta di rigorismo o pessimismo: il bicchiere non è né mezzo pieno né mezzo vuoto, anche perché tutti i liquidi vitali del volontariato e delle minoranze attive di cui troppo si parla stanno ancora fuori del vaso della politica. Per fortuna. Per contro, l'ottimismo di cui tanti fanno mostra è soltanto un banale rigeneratore delle tifoserie e, come durante la recente campagna referendaria, sta lanciando molti slogan sciocchi e pericolosi che confortano i comportamenti e i valori acquisiti nei reaganiani anni Ottanta, invece di diffondere fra la gente una cultura politica migliore: "Dobbiamo entrare nel novero delle grandi democrazie occidentali!", "La gente deve scégliere le persone e non i partiti!", "Democrazia è alternanza!", e via dicendo. Chi ha votato "no" ha forse avvertito la gratuità politica e la gravità culturale di questi messaggi, ma avrà anche calcolato che il "no" aveva forti possibilità di essere perdente e che, nel caso di un suo malaugurato successo, la situazione - anche dal punto di vista culturale - sarebbe addirittura peggiorata. Nel vicolo cieco di una domanda referendaria sovraccarica di responsabilità per quanto povera di senso, i voti non si sono divisi secondo la scelta affermativa o negativa: paradossalmente sia i "no" che i "sì" raccoglievano una identica opzione a favore del Cambiamento. Ma un Cambiamento che ha guadagnato una decisiva maiuscola proprio per compensare l'indeterminatezza dei suoi contenuti. Ed è così che fra il sì e il no, ha vinto, come al solito, il forse: u.n governo forse in mano ai tecnici farà forse una nuova legge elettorale e durerà forse una sola estate. E poi? Poi, i partiti ripartiranno, sia pure in formazioni più trasversali ovvero in grandi alleanze elettorali come vuole la nuova legge maggforitaria: un raggruppamento democratico dei progressisti di sinistra, un'area di progressisti democratici di centro e un blocco di destra democratica per il progresso. Il "progresso" è in fondo la risposta che si deve dare alla grande domanda di "cambiamento", alla quale si sta già rispondendo con un radicale "rinnovamento" degli uomini e delle idee: un Verde albero è già nello stemma dell'ex-Pci, la croce della Dc è passata nella bandiera del Carroccio, un garofano sfiorito lascerà posto alla Rosa Europea ... E se son rose, ... poveri noi! Ma intanto non si può nemmeno essere troppo scettici quando si vedono cadere segretari e simboli e nomi con una facilità che ci lascia interdetti (soprattutto se si ripensa al lungo e traumatico travaglio dei vecchi comunisti d'Italia ancora intenti a rifondare, rivendicare, ricostruire ...). Se questi "rinnovamenti", sia pure di facciata, sono drastici e innegabili, il vero problema non sono più né le parole né i fatti, ma le facce "nuove". E i "ricambi", s'è visto, si sono già magicamente IL CONTESTO affollati sui teleschermi: chi si lamentava della eccessiva televisibilità di Craxi e Andreotti ha avuto la sua vendetta. Pur senza dati alla mano, è facile affermare che ormai Pannella e Bossi hanno surclassato ogni precedente record, tirandosi dietro spesso i leader dei partitini minori, e ancora qualche peones di media e di nulla portata: faranno davvero "audience" come Costanzo o Santoro? Sarà stata la legge del libero mercato a premiare i loro volti e i loro pensieri? No, più probabilmente la televisione sta opportunamente collaborando al bisogno democratico di lanciare facce nuove. Oppure, più malignamente, cambiare gli ospiti fa bene al programma e rafforza l'immagine dei conduttori, i veri nostri beniamini. I giornalisti, specie se televisivi, sono diventati loro i garanti dell'onestà; contano meno dei giudici, è vero, ma anche perché, per la verità, non hanno fatto nulla. Sono finiti i tempi delle inchieste coraggiose che chiedevano di far luce su uno scandalo, prima che i magistrati - di allora - facessero il buio. Adesso i giornalisti si fanno belli appena della lettura dei comunicati delle varie Procure, anche se talvolta scrivono garbate cartoline o aggiungono un tono di finta sorpresa e di impercettibile disapprovazione. E però in fondo sono loro quelli che ci raccontano ogni sera la Verità, che fanno i nomi senza peli sulla lingua, che invitano i politici all'esame finestra o al confronto cop la Piazza. Mai un ceto professionale ha guadagnato di più in immagine e potere rischiando di meno! Saranno loro i "ricambi" che ci toccherà di sorbire? Non è una minaccia, ma una speranza. In fondo, ad eleggerli, avremmo tutto da risparmiare. Una televisione finalmente "a circuito chiuso" potrebbe darci insieme, in un sol uomo, "i fatti e le opinioni", facendo per di più corrispondere ciascun programma ad un collegio uninominale. Un po' come già anticipa il futurista Sgarbi, ogni giorno, dopo il tiggì 5. Oltre al risparmio, ci sarebbe anche il guadagno, giacché nessuno può negare che i conduttori televisivi siano persone per davvero conosciute e stimate; altro che il chiarissimo professore massone o l'oscuro geometra del condominio! Perché infine Tangentopoli non è solo Napoli, Roma o "Milano, Italia", ma ha una vastissima periferia dove vive la grande maggioranza degli elettori (e dei telespettatori). E chi vive e conosce la provincia sa com'è diverso l'atteggiamento verso la corruzione, quando capita di vedere inquisito un conoscente stretto o un parente alla lontana. E sa anche quali ragionevoli "ricambi" si stanno preparando per quello che sarà il Rinnovamento della politica. Lì, la reazione è meglio misurabile e più misurata. Dalle grandi sensazioni si passa ai piccoli sentimenti e al posto delle grandi mutazioni ci si accontenta dei piccoli travestimenti. Per esempio, Enrico Manca ha già dichiarato di essere lui il rinnovamento dell'Umbria; possiamo immaginarci quantQ sarà diverso da Forlani il rinnovatore delle Marche o quanto sarà indipendente da Gaspari quello dell'Abruzzo. Ma al di là degli impenitenti e degli impuniti, origliando i tg locali (che per dovere o solo per pura emulazione diligentemente riferiscono . ormai tutti i delitti politico-affaristici delle cento piccole tangentopòlli d'Italia) si scopre facilmente che gli avvisati e gli arrestati non sono poi né localmente famosi né tantomeno anziani; anzi che molti dei sindaci e segretari e imprenditori sotto inchiesta erano da poco in pista. Erano loro "i ricambi del futuro!". Dalla periferia di Tangentopoli arriva allora un prim~ segnale positivo: se per davvero stanno arrestando i giovani yuppies del Cambiamento, allora è possibile sperare nel rinnovamento. 9

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