Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

IL CONTESTO affanna a scoprire o dimenticare rapidamente i segni negativi più evidenti; si fa l'abitudine a predigerire ogni sorta di evento tragico o di avviso minaccioso; si colora di buono e di festivo tutto quello che si può. Da Clinton a Segni, da Dalla Chiesa a Rutelli, ogni faccia nuova attira facile, adesiva speranza'. Non si vuole far torto a nessuno di questi nuovi giocatori, ma è evidente che non sono del peso: servono a far proseguire la parte rosa del serial in cui siamo invischiati, ma non sembrano certo personaggi che aiutino a capire la vera trama della attuale e difficile realtà. Il fatto è che gli edonistici anni Ottanta sono per fortuna passati, ma intanto ci hanno resi più imbecilli: bisognerebbe ricordarselo spesso, come anche bisognerebbe non dimenticare che gli anni Novanta si sono aperti, come vuole la smorfia, sotto il segno della paura, delle guerre, della crisi economica (da noi) e della più nera miseria (per tutti gli altri). In una situazione che ci vuol poco a descrivere come per nulla eccellente, la confusione è grande, e ancora una volta la battuta di Mao non ci rassicura per nulla. Si hanno ben pochi dati da analizzare, ma oggi sarebbe necessario molto più di ieri capire, o appena credere di sapere, "dove stiamo andando"; sul piano meramente culturale si ha ancora meno su cui riflettere, ed è persino avvilente doversi fermare all'autoanalisi delle nostre sempre più magre sensazioni. Non si può, ad esempio, non essere contenti nel vedere che la gente ha cambiato i suoi eroi. Passare da Craxi a Di Pietro non vuol dire soltanto la scelta dell'onestà: apre il passaggio per una cultura del diritto (e, meglio, per una rivalutazione del "dovere"), al posto di quella che osannava il privilegio. Così è per la "crisi": ogni volta che arriva, qualcuno spera che magari ridimensioni, insieme ai consumi, anche le tante stupidaggini e cattiverie da neo-ricchi che stavano per diventare il nostro costume nazionale - o come si diceva allora, cioè appena ieri, il nostro "look". Ma sarà vero? Comunque si sentono sempre più spesso apprezzamenti circa il periodo che si sta attraversando, i fatti che lo stanno segnando, con riferimento ormai univoco ed ossessivo alla operazione "mani pulite". È vero, ci sono tanti problemi nuovi (sul fronte dell'occupazione, ad esempio) e tanti temi irrisolti (sui tanti fronti di guerra in atto e sempre piq vicini a noi), ma non è vero che parlare esclusivamente di tangenti è una scelta che fa comodo al potere e che dipende dai mass media. Pochi rinuncerebbero alla soddisfazione di vedere allungare la lista degli inquisiti e dei sospetti, ma non tanto per amore della verità, quanto perché la sensazione che "Giustizia è fatta!" continui ogni giorno a gratificare un po' tutti: sembra infatti che tutti sapessero già (e questo è vero) e che tutti chiedessero da tempo (ed è molto meno vero) quest'orgia di punizioni esemplari e miracolose. Perché di punizione si tratta, agli occhi della gente, quando un qualunque medio o grande imprenditore, di politica o di affari che sia, viene incarcerato, sia pure per pochi giorni.L'arresto cautelare non è soltanto un mezzo per favorire rapide e complete confessioni; non è nemmeno una "forma di tortura" come gridava Forlani, ma piuttosto si sta rivelando come un provvedimento che appaga rapidamente e completamente la enorme sete di giustizia che agita finalmente la Grande Maggioranza. Sì, è vero, quella stessa maggioranza che ieri, per gli stessi motivi e per le stesse cattive azioni che oggi sono capi di imputazione e moti vi di sconfitta, si mostrava disposta a celebrare la vittoria dei personaggi in questione. Non era proprio Craxi il favorito nei sondaggi su "chi vorreste presidente della nuova repubblica"? Non era dovuta, tanta ammirazione, alla sua imma8 gine potente e al suo operato prepòtente, cioè agli attributi che oggi tutti gli rinfacciano come "colpe"? Ma, insieme a Craxi, non erano diventati l'Orgoglio Nazionale i nostri capitani di industria e i loro brigantini carichi di abili faccendieri e di geniali improvvisatori? Non era la loro spregiudicatezza in affari e il loro oscuro legame con la politica a renderli attraenti, quando campeggiavano sulle copertine di "Capitai" o di "Money"? Adesso, messi agli arresti, magari domiciliari, oppure appena sfiorati da avvisi di garanzia, abbandonano via via quelle sedi a colori e patinate e cadono sotto il piombo dei quotidiani. Sui giornali, o in televisione, Tangentopoli nei primi tempi suonava un po' come Paperopoli, quando si scopriva come, nel grande deposito dei partiti, fossero per davvero finiti i fatidici tre ettari cubici di denaro. Da un po' invece fa sempre più rima con Monopoli: quel vecchio gioco di soldi e di contratti in cui capita regolarmente a tutti i giocatori l'Imprevisto che li manda in prigione a star fermi a turno per qualche giro, mentre a tutti gli altri - agli spettatori o elettori che dir si voglia - non capita mai una vera Probabilità; nemmeno quando, come è successo il 18 aprile, sembra che ti mettano in mano i dadi. Non che qualcuno degli inquisiti o degli "avvisati" sia già stato rimesso in gara, ma la cosa non ci sorprenderebbe poi tanto. Il fatto grave è un altro: è che l'immagine di un vizioso ma infine armonico gioco circolare si sta facendo strada nella pubblica immaginazione. La politica e gli affari sono e saranno sempre legati in un circolo un po' sporco ed imperfetto che, a momenti, ha da divenire "trasparente" per poter eliminare le più vistose incrostazioni che ne minacciano il funzionamento. L'incessante lavoro della Magistratura può certamente essere applaudito come una rivoluzione, ma lo si può anche comparare ad una semplice innovazione tecnologica che sta perfezionando il nostro sistema politico, perché arrivi all'automatismo di quel forno autopulente o del frigo autosbrinante, che lascia alla massaia, intesa come massa, sempre meno da fare. E, in prospettiva, sempre meno da dire. Non si vuole con ciò rimproverare nulla a nessuno e tantomeno a chi, dopo anni di insabbiature, si è ricordato di far funzionare anche i bagni penali, ma è ormai chiaro che il gioco può durare una vita e che un giorno comparirà una nuova lista di captivi (nel senso letterale e traslato del termine) e una nuova dichiarazione di fiducia e di buona volontà. Anzi, se il rapporto "irregolare o illegale" tra politica e affari era - come Craxi ci spiega e come tutti sapevamo - una norma del nostro vivere civile, si può ragionevolmente calcolare che in ogni pur piccola città di provincia i coinvolti o almeno i sospetti siano almeno un migliaio; dunque le quote altisonanti di avvisati e arrestati raggiunte fin qui sono soltanto un assaggio e appena l'inizio di un lungo lavoro. Se poi si considera che una regolamentazione legale di questo o degli altri aspetti oscuri del mercato non è probabilmente possibile, né economicamente auspicabile, ci si accorgerà che il servizio del magistrato - in questo settore - si dovrà stabilizzare e assumere le dimensioni e i ritmi di quello del medico (ed anzi speriamo che, quanto ad efficienza e pulizia, le carceri non facciano la stessa fine degli ospedali). Se l'utopia del comunismo, ancorché tradita, riconosciamo tutti che era un po' azzardata, quella di un capitalismo "pulito" suona ancora più assurda. Anzi, quanti sono preoccupati della debolezza della borsa e della lira dovrebbero cominciare a riflettere sull'insistente e sconsiderato attacco alla Mafia, che era pur sempre la nostra multinazionale più aggressiva ed efficiente!

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