Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

SALVARE IL SELVATICO Wendell Berry traduzione di Rosaria Coriça L'attività principale di Wendell Berry è l'agricoltura, che pratica nella sua fattoria nel Kentucky, ma Berry è anche poeta, pubblicato sulle due sponde dell'Atlantico da Harcourt Brace Jovanovich, da Jonathan Cape, da Harvest Books, da North Point Press (Openings, 1968; Farming: a Handbook, 1970; The Country of Marriage, 1973; Collected Poems 1975-1982, 1985), narratore (Nathan Coulter, 1960; A Piace on Earth; 1967; The Wild Birds, 1986) e saggista, con forte attenzione alle questioni di fondo dell'ecologia, della natura, della città, dell'uomo (The Unforeseen Wildemess, 1971; A Continuous Harmony, 1972; The Unsettling of America, 1977; The Gift of Good Land, 1981; Home Economics, 1987, eccetera). Il saggio che pubblichiamo è tratto da The Landscape of Harmony, Five Seasons Press, London 1987. La discussione sulla giusta relazione tra umanità e natura si sta, come si soleva dire negli anni Sessanta, polarizzando. Come in passato, il risultato non è altro che una serie di discorsi sterili da entrambi le parti. Da un lato ci sono coloro che sembrano essere completamente a favore della natura; essi ritengono che non ci sia alcuna incongruenza o differenza tra lo stato umano e lo stato naturale, che il bene dell'uomo corrisponda semplicemente al bene della natura. Essi credono, almeno in teoria, che la biosfera sia un sistema egalitario in cui tutte le creature, compreso l'uomo, hanno pari valore e pari diritto di vivere e prosperare. Questa gente cerca di evitare di affrontare la questione della corretta utilizzazione umana della natura. Adire il vero, hanno cominciato a utilizzare il termine "gestione" (intendendo con ciò l'uso responsabile della natura) in senso denigratorio. Dall'altro lato ci sono i conquistatori della natura, che non sopportano la. vita che si conduce in una fattoria vecchio stile, figuriamoci quella nelle distese naturali incontaminate. Questa gente divide la realtà in due: da una parte il benessere umano, definito come profitto, comodità e sicurezza; dall'altra tutto il resto, che essi vedono come riserva di "materie prime" o "risorse naturali", che prima o poi sarà trasformata in benessere umano. Gli scopi di questi trafficoni militanti riescono invariabilmente a essere ineccepibili e sospetti allo stesso tempo. Essi desiderano ardentemente, per esempio, risolvere quello che chiamano "il problema della fame" ... a patto che la soluzione sia seducente, agevole e vantaggiosa. Credono che l'abilità di fare qualcosa sia ragione sufficiente per farla. Secondo un recente comunicato stampa della Facoltà di Agraria dell'Università dell'Illinois, i suoi ricercatori non vedono l'ora di "produrre cibo senza agricoltori né aziende agricole". (Questo è forse il primo riconoscimento esplicito del progetto implicito nel programma di assegnazione di terre alle università da quaranta o cinquant'anni a questa parte.) Se dovessi scegliere, mi unirei agli estremisti della natura contro gli estremisti della tecnologia, ma questa scelta sembra inadeguata, anche supponendo che sia possibile. Preferirei stare al centro, non per evitare di prendere posizione, ma perché credo che il centro sia già una posizione, oltre che la vera collocazione del problema. Naturalmente, il centro è sempre un territorio piuttosto esteso che disorienta, per cui devo esporre in modo chiaro le convinzioni che definiscono il campo su cui intendo soffermarmi: 1. Viviamo immersi nella natura, in cui noi e le nostre opere occupiamo un piccolissimo spazio e abbiamo una parte insignificante. Viviamo secondo un suo ordinamento e grazie alla sua1a è tolleranza. 2. Questa natura, l'universo, è alquanto ospitale, ma è anche assolutamente pericolosa per noi (presto o tardi ci ucciderà), e siamo completamente dipendenti da essa. 3. Dipendere da ciò che ci minaccia è un problema nonrisolvibile con il solito metodo usato per risolvere appunto ii problemi. Non offre quella che chi ha una visione romantica della, natura o il tecnocrate considererebbero una soluzione. Non tome=1 remo al Giardino dell'Eden, né edificheremo un Paradiso· Industriale. 4. Esiste veramente una possibilità di vivere più o meno in armonia con la natura che ci circonda; personalmente ho scommesso la mia vita sul fatto che questa armonia è possibile. Ma non credo che possa essere raggiunta in modo semplice o comodo, oppure che possa essere sempre perfetta, e sono certo che non potrà mai essere realizzata una volta per tutte, ma sarà l'opera per sempre incompiuta della n9stra specie. 5. Non è possibile per gli esseri umani (almeno non per molto) vedere il proprio bene inmodo specifico o esclusivo. Indefiniti va, non possiamo prefiggerci il nostro bene senza pensare al bene di ciò che ci circonda, che vuol dire, in ultima analisi, il bene del mondo. 6. Utilizzare o non utilizzare la natura non è una nostra libera scelta; possiamo vivere soltanto a spese di altre vite. Possiamo scegliere piuttosto il come e il quanto utilizzare. Questa non è una decisione che possa essere presa in modo soddisfacente in linea di massima o in teoria; è una scelta necessariamente pratica. Ossia, deve essere risolta nella pratica a livello locale perché, per forza di cose, gli usi variano da una località all'altra. Non c'è, quindi, alcun modo pratico di prefiggerci il bene del mondo. La pratica può esistere solo a livello locale. 7. Se non c'è modo di sfuggire all'utilizzo umano della natura, allora il bene dell'uomo non può coincidere perfettamente con il bene.della natura. Ciò che queste considerazioni descrivono è, naturalmente, la difficile situazione umana. È una condizione spirituale, poiché ci richiede d'essere giustamente umili e riconoscenti; il più delle volte ci chiede di restare immobili e aspettare. Ma è anche un problema pratico, poiché esige che facciamo delle cose. Nell'affrontare questo problema è un errore procedere sulla base di una presunta separazione o separabilità tra natura e umanità, o tra vita selvatica e vita domestica, ma lo è anche presupporre che non vi sia alcuna differenza. Se queste cose potessero essere separate, la nostra vita sarebbe molto più semplice e comoda di quella che è in realtà, proprio come lo sarebbe se non fossero diverse. Il nostro problema deriva proprio dal fatto che l'umano e il naturale sono indivisibili, e tuttavia distinti. L'indivisibilità tra la vita selvatica e quella domestica, persino nell'ambito della stessa vita umana, è abbastanza facile da dimostrare. La nostra vita corporea, per cominciare da qualcosa a noi più vicino, è per metà selvatica. Forse lo è anche più di metà, 73

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