Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

INCONTRI/MONTAGUE Tutti ipoeti irlandesi riconoscono in J:atrick Kavanagh il loro autentico ispiratore, l 'anti-Yeats per eccellenza, maAustin Clarke sembra operare in modo molto più sovversivo nei confronti del cattolicesimo giansenista irlandese, non ignorando l'eredità del monachesimo medievale e dell'antico patrimonio culturale d'Irlanda. In me la loro influenza si bilancia. Kavanagh andava al nocciolo del problema come William Carlos Williams, ma era più lirico e il suo problema era il mio: la vita dei contadini d'Irlanda. Da lui abbiamo preso quello che i poeti inglesi hanno preso da Thomas Hardy. Ma Kavanagh non possedeva la tecnica, o meglio ne aveva quanto bastava per trasmettere l'urlo e il furore. Il . poemetto The Wild Dog Rose sullo stupro di una povera vecchia, un gesto gratuito e osceno di inutile vìolenza, ha le sue radici in The Great Hunger. Anche Clarke denuncia la frustrazione irlandese, ma è più coraggioso di Kavanagh perché, essendo un uomo di cultura, ne individua e ne denuncia la causa: l'oppressione clericale. Di lui amo la sensualità sfrenata, "liberata". Infonde gioia nella carne: nell'adattamento di una canzone per arpa di Carolan c'è una bellissima descrizione di due giovani donne. È una delle sue ultime poesie, scritta in età avanzata .. Parlando ancora del!' aspetto tecnico della poesia, mi chiedo che cosa volesse dire esattamente quando ha scritto che Thomas Kinsella in Nightwalker aveva trovato un nuovo argomento ma non una nuova forma metrica per animarlo. È quello che ho cercato di fare io in The Rough Field e anche in questo ultimo Time in Armagh. I giorni della scuola possono non essere un argomento nuovo, ma la ricerca formale è stata molto severa. Ci sono dei sonetti e anche una "canzone", ma forse questo è dipeso dal contesto cattolico del discorso. In ogni modo mi sono sforzato di sperimentare, anche se non credo che un poeta irlandese possa essere un vero sperimentatore. Certo Joyce lo fu, ma non nelle sue poesie. Sia io che Kinsella siamo stati soggiogati da Pound. I Cantos sono una specie di naufragio da cui si salvano frammenti preziosi e stupendi con metrica e ritmo bellissimi. Ma non era quello che volevamo noi. I Cantos sono un fallimento come la Fairy Queene. L'allegoria è troppo pesante. Se non si è studiosi di Spenser non si legge la Fairy Queene, mentre si torna sempre a Chaucer. Noi avevamo bisogno d1raggiungere, anzi di creare un pubblico di ascoltatori a noi affini, una comunità di cultura, di gusto e di intenti. In Pound come in Spenser non c'è solo il fallimento di ùn impianto ambizioso, c'è il sentimento della frustrazione sia artistica sia esistenziale. Per me i Cantos of Mutabilitie, scritti da Spenser assediato nel suo castello dai soldati di O'Neill, sono commoventi per il sentimento di isolamento e solitudine che trasmettono come i Pisan Cantos, scritti da un vecchio_inprigione costretto a mettere in discussione la vanità e l'intransigenza che hanno caratterizzato la sua vita. Come spiega quanto ha detto fin qui con la scelta della forma del poema, certamente "ambiziosa" per un artista contemporaneo? Credo che tutti i poeti vorrebbero lasciare un poema, è l'ambizione epica che ho scoperto quando da studente ho letto Spenser e Milton e Wordsworth. Ma lei ha ragione: il poeta moderno sembra non poterselo permettere, per questo i Cantos 68 sono un naufragio. lo ho provato con TheRough Fieldmaho dovuto usare una varietà di forme metriche. Credo che il maggior difetto, la causa di tutti i fallimenti, sia la scelta di un unico metro, la stanza spenseriana ad esempio è troppo lenta e uniforme. Quando scrivevo The Rough Field, stavo curando un'edizione discografica della musica di Turlough Carolan e rimasi affascinato dal fatto che nell'antica musica irlandese c'è sempre una nota o un motivo che scompare e riappare- "grace notes" le chiamiamocreando una forma intrecciata, tessuta e elaborata che rimanda alle complesse volute dei codici miniati come il Book of Kells. Non so come ma c'è una eco di tutto ciò nella mia poesia di allora. Ma poi è venuto The Dead Kingdom, del 1984, molto più discorsivo, diviso in cinque movimenti. Allora studiavo Bruckner e Mahler, ma il suggerimento tecnico mi venne dal racconto The Dead di Joyce: mi sarei ispirato alle romanze sentimentali cantate nei salotti di Dublino da voci tenorili come quella di mio padre. Queste arie sono il filo conduttore. Ma se il gruppo folklorico dei "Chieftains" ha rappresentato più volte The RoughFieldall' Abbey Theatre, sarà più difficile fare lo stesso con The Dead Kingdom. Occorre una voce di tenore qua e là, da una sequenza all'altra. Tornando all'esempio di Chaucer, Kinsella e lei stesso vi proponevate di elevare a opera d'arte il vissuto collettivo, nazionale, come dice un'antologia di Kinsella, "the poetry of the dispossessed". Jn un suo articolo lei si lamenta che, mentre Joyce in prosa, Synge e O'Casey nel teatro hanno imposto di nuovo l'Irlanda sulla scena internazionale, nessun poeta irlandese, se si esclude Yeats, che pure dell'Irlanda rappresenta un solo aspetto, è riuscito a fare lo stesso in poesia. Allora è inevitabile una domanda provocatoria: cosa pensa del successo internazionale di Seamus Heaney? Cercherò di rispondere per quanto mi è possibile. Non credo che nonostante il suo fascino Heaney sia un poeta grande come Kinsella o come Mahon nella sua generazione. lo credo che il pubblico e la critica internazionali abbiano preferito Heaney perché nel momento in cui io, ad esempio, venivo elaborando The Rough Field, è esplosa la questione politica dell'Irlanda del Nord e c'è stato l'avvento della televisione e si è sentita la necessità di un portavoce. Né Kinsella né Mahon avrebbero mai voluto e saputo apparire in televisione, mentre Heaney è un professionista nel gestire i media. L'uomo giusto al momento giusto, ed è anche un grande critico di stampo accademico. Ha in sé le doti del grande uomo di chiesa. Sì, una figura clericale. Parliamo ancora della sua esplorazìone delle radici più profonde della questione irlandese, perché ci consente di riflettere sui tanti opposti nazionalismi che travagliano oggi l'Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Quando cadde il muro io mi convinsi che stavamo scoperchiando il vaso di Pandora. Cominciai a pensare che la fine di questo secolo sarebbe stata violenta. Tutti i vecchi problemi - razzismo, intolleranza religiosa e etnica, nazionalismo - sarebbero tornati a ossessionarci con tutta la loro complessità e saremmo stati costretti a riconoscere che sono difetti di natura oppure il peccato originale dell'Europa. Quando sono stato in Jugoslavia - ho visitato la Croazia, la Macedonia e la Serbia - sono andato a riprendere i miei libri di storia e ho scoperto che non è trascorso poi tanto tempo dacché la Serbia e i Balcani erano il problema

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