SAGGI/SIRINI Perché si scrivono poesie? Perché si stimano più importanti d'ogni altra cosa nella vita? accostarsi alle cose e nel momento in cui le accosta: salvo equivocare sull'"abito" dell'accostamento, cioè sull'esteriorità, che facilmente diventa abitudine. Lo è invece, volta per volta, successivamente all'incontro e nell'articolazione che questo assume in lui, nel suo lavoro, sempre che questo gli si sia imposto come oggetto, suscettibile di trasformazione in oggetto poetico. E allora si potrà anche supporre che la figura del poeta si sia annullata nelle poesie che ha scritto. Attenzione dunque ai versi: Udii la voce mentre guardavo il mare, per discernere un vascello affondato da anni: si chiamava il "Tordo": un naufragio da poco: le alberature rotte fluttuavano sbieche nel fondo, come tentacoli o memorie di sogno, indicando lo scafo, bocca opaca d'un gran cetaceo morto spenta nell'acqua. Attorno si dispiegava una bonaccia immensa. Altre voci, a vicenda, a poco a poco seguirono ... e a quest'altra confidenza nella parte della Lettera che li concerne: "Vedo le alberature come le frecce che si tracciano sui cartelli ad indicare la strada: la strada per 'il paese dei sogni'". Eravamo partiti dal semplice dato vissuto, il fumaiolo emergente, le alberature rotte, la fluttuazione, e ci siamo affacciati sul "paese dei sogni". L'indicazione che Seferis ne dà è necessariamente sommaria e addirittura riduttiva (le frecce dei cartelli stradali; il paese dei sogni) ma rende conto del tragitto, dello scatto, dello stacco, del salto. Soprattutto della concatenazione, come Seferis chiama la stabilità, contiguità, coincidenza, omogeneità di cose, dimensioni, enti in se stessi estranei, eterogenei, distanti. Lo sguardo sul relitto si è aggregato una voce, questa voce altre voci; e di pari passo un ordine etico ha trovato il tramite e lo sbocco in un altro ordine, addirittura nel suo opposto: " ... le sensazioni del corpo, il piacere, ci mandano all'altro mondo, dai morti, perché ci insegnino il ritorno. In effetti quel che chiamiamo erotismo ha un gran peso, come mostrano molti esempi, nella nostalgia e nello sforzo dell'uomo per un finale riscatto, che alcuni chiamano ritorno a un paradiso perduto e altri unione con Dio ... ho sentito una gioia segreta che già la mia stessa consequenzialità m'avesse guidato da Elpènore il sensuale al regno dei morti ..." La parte, il valore che il lettore assegna a quest'arte dei trapassì e delle concatenazioni è per me determinante nel qualificarlo come lettore di un testo poetico: dovesse puntare sulla trascrizione culturale dell'alternanza - e della conciliazione - dell'erotismo e del finale riscatto per cominciare a interessarsi al testo, Io direi un duro d'orecchi se tutto ciò non fosse stato preceduto dal sussulto, dal brivido, dalla meraviglia per la folgorante conversione della cosa osservata in totalità, della sensazione in visione. Se non compiesse, cioè, per conto proprio e sull'impulso rappresentato dal testo, lo stesso tragitto dell'autore: "quando scrivevo Il Tordo non avevo coscienza precisa dei particolari così come ora li annoterò." Poche poesie in Seferis, come questa del Tordo, sono il risultato di una vera e propria spinta costruttiva; ma questa spinta, se la scomponiamo nei suoi elementi, è l'opposto di qualunque programmazione: è la registrazione di una reazione a catena, spontanea ma controllata. Seferis è uno che parla ancora di catarsi (resta da vedere come e perché, a che punto ideale del suo orizzonte) e ciò non è senza rapporto con la sua convinzione che la dimensione estetica esiste ed è individuabile. Un altro rapporto, l'abbiamo visto, gli è ben presente: quello che intercorre tra il dato vissuto e la vita del testo. Diciamo pure, più in· generale e semplificando, tra l'esistenza e le opere, la realtà sensibile ed esistenziale · e la letteratura. A guardare taluni degli ultimi moti dell'operazione letteraria, si dicano di crisi oppure no, si desume che quest'ultimo rapporto è saltato, omeglio è ignorato inquanto irrilevante: giacché di propriamente saltato c'è il primo termine del rapporto, quello esistenziale, mentre il secondo, la letteratura-comunque si presenti, in veste poetica o narrativa o saggistica eccetera-, è assorbito nella più ampia nozione di scrittura. Quest'ultima ha come ritagliato un piano, o piuttosto una conca nel reale; quasi che, ignorato ogni altro piano al di qua della scrittura, questa si impegnasse a costruire di per sé e all'interno di se stessa, in piena autosufficienza critica - critica e scrittura accampandosi insieme sulle rovine dell'estetica - un proprio modello di realtà, che verrebbe poi a coincidere col kacciato che la scrittura compie nel percorrere la foresta dei segni. Detto altrimenti, la coscienza e la decisione dello scrivere si porrebbero oggi a un punto o a un livello, non importa se più avan ato, comunque diverso da quello al quale si pongono, ad esempio, per S~feris. Il quale a questa rinnovata coscienza, a questa operazione che si vedrà se sarà stata o no copernicana, risponderebbe molto probabilmente con gli ultimi due versi delle Note per una "settimana": A un bicchiere d'inchiostro preferisco una goccia di sangue. Questa digressione non l'ho fatta a caso. È stato per determinare l'opposto di quello che a me sembra il livello consapevolmente più basso da cui muove Seferis: quota Elpènore, vogliamo chiamarlo così? Elpènore, inutile soffermarsi a illustrare più di quanto già facciano i testi e le note del volume la figura di questo compagno di Odisseo addormentatosi quando meno avrebbe dovuto e caduto nel sonno. Ma Elpènore è anche il vaso prima di essere invasato dal nume, Elpènore è il lettore che non ha ancora aperto gli occhi sull'opera che sta leggendo, è il poeta stesso che osserva il fumaiolo oscillante sull'acqua increspata e non ne ha ancora individuato l'indicazione, il linguaggio allusivo, il parlare per cenni. Direi che Seferis ha cominciato a essere Seferis da quando ha individuato quota Elpènore; e sempre, da allora in poi, o quasi sempre, è di là che Seferis prende le mosse (voglio dire le mosse per costruire quella cosa concreta che è una poesia e senza la quale il poeta non esiste in quanto poeta). Ma che cosa è in realtà quota Elpènore? È l'esistenza, la piattaforma esistenziale dell'ancora indifferenziato, del non percepito appieno, o dell'appena percepito per via sensoria, non necessariamente del banale e del qualunque, ma anche di questo; è insieme il naturale terreno su cui si svolge la lotta dei contrari, che ancora una volta potrebbero identificarsi nei termini troppo logori della luce e della tenebra - troppo logori se il grande tema della luce, e dunque del suo contrario, non assumesse in Seferis, lungi dal costruire un presupposto stabile, il senso di un esito intermittente, di un intervento per nulla provvidenziale e garantito: "... dietro la trama dell'estate attica c'è il nero pauroso ... tutti siamo ludibrio di questo nero... questo mondo chiuso, sempre sul punto di sprofondare nell'abisso nero, sempre in lotta per vivere e respirare in questa esigua striscia d'oro, e intanto senza speranza di scampare al naufragio." 63
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