IL CONTISTO schieramenti e nuove alleanze; si sarebbero dovute individuare linee di frattura veramente importanti su cui basare la divisione in due. Ma nessuno è stato in grado, non dico di trovare la soluzione, ma nemmeno di formulare ipotesi dotate di qualche fondamento. L'elaborazione politico-culturale è rimasta indietro rispetto a eventi troppo rapidi, non esplicitamente provocati né gestiti da alcuno. È stato così proposto un surrogato: "Visto che non siamo in grado né di unirci, né di dividerci (se ci uniamo ci confondiamo e se ci dividiamo rischiamo di riprodurre i soliti partiti), proviamo · a farci legare le mani da un meccanismo elettorale che ci costringa a fare quello che da soli non riusciamo". È stata un'idea molto debole (anche se non ce n'erano di migliori in circolazione): malgrado la sicurezza esibita da Segni e Pannella i sistemi elettorali non possono sostituirsi alla politica. Una volta messi alla prova produrranno risultati imprevisti, complicati, contraddittori. Ma comunque favoriranno qualche ripensamento. Il sistema proporzionale aveva finito da tempo di garantire un rispecchiamento della società e si era trasformato in un mezzo per la riproduzione di partiti che, grazie alle loro rendite di posizione, erano indotti a mantenersi comunque in vita, anche se le distinzioni tra di loro erano diventate sempre più incomprensibili, bizzarre o casuali. C'è chi teme che un sistema uninominale sostituisca la rappresentanza personale alla rappresentanza politica e il trionfo degli interessi locali su quelli generali. Il pericolo è reale. Ma non è una soluzione obbligata. In Inghilterra per esempio il sistema uninominale si è sempre accompagnato a forti partiti di massa. Dipende da quello che si saprà costruire. Quello che conta, mi sembra, è che la situazione si è finalmente aperta. Prima era chiusa. Le retoriche della reazione Ma alla fine prevarranno ancora i mascalzoni e gli imbecilli, come pensa Fofi? È possibile. Nessuna rivoluzione mantiene mai interamente le sue promesse. Ma bisogna anche aggiungere che nessuna rivoluzione produce esiti del tutto irriconoscibili rispetto al suo marchio originario. La Francia del primo impero conservava profondissimi segni dell'Ottantanove. Nell'URSS brezneviana non era difficile scorgere l'impronta dell'Ottobre. Nel suo piccolo anche la rivoluzione italiana del 1993 lascerà le sue tracce. Mi pare curioso che nella sinistra si faccia strada in questo periodo l'argomento degli "effetti perversi" che, come ha mostrato Hirschman, è tipico dei reazionari. Ossia l'idea che una rivoluzione condotta in nome dell'onestà e della trasparenza debba necessariamente spalancare le porte ai disonesti (o ai falsi moralisti) o ai poteri occulti (del capitale). Il riferimento ai reazionari non è casuale. C'è infatti un po' di spirito reazionario (o nostalgico) in molti esponenti della sinistra italiana. Essi sono restii a combattere a fondo il vecchio regime perché esso incorporava, sia pure in ~odo sempre più flebile e distorto, alcuni valori storici che essi considerano fondamentali: il primato dei partiti di massa, le identità forti, i ruoli fissi tra governo e opposizione, il pubblico contro il privato. Temono che il "nuovo" finisca per buttare via il bambino con l'acqua sporca, senza avvedersi quanto quel bambino sia nel frattempo invecchiato e diventato poco presentabile. Tendono perciò a tirarsi indietro. Ed è un peccato. Perché in una rivoluzione come questa, squisitamente politica, lo spazio per la politica è enorme. Non era mai stato così grande dall'altro 18 aprile, quello del 1948. 6 .J Provvisoriamente strabici Marino Sinibaldi C'è un buon motivo per chiamare rivoluzione quello che sta accadendo in questi mesi in Italia. Uno solo, forse, perché molti altri ingredienti fondamentali mancano del tutto. E però che parole importanti cambino improvvisamente di senso e spessore è proprio una delle caratteristiche che distinguono quei rivolgimenti che per convenzione possiamo chiamare anche rivoluzioni. Politica e Sinistra, con tutta la loro antica e più o meno nobile storia, sono oggi due di queste parole. Per quanto riguarda la . prima, il mutamento di rilevanza è segnalato, tra l'altro, da un elemento del tutto in consonanza con lo spirito e il linguaggio dei tempi. Mi riferisco al fatto che persino le noiosissime e banali trasmissioni politiche televisive raggiungono una audience imprevista, al momento in cui scrivo; e sottolineo questo ultimo aspetto perché dubito che il fenomeno duri a lungo. Ma per ora persino la ·stanca e screditata informazione politica delle tavole rotonde addomesticate e dei giornalisti lottizzati gode di una provvisoria popolarità. Mutando di senso e di importanza, di relazione con le trasformazioni reali o potenziali, una di quelle parole, Politica, sembra dunque riaccendersi. L'altra, Sinistra, rischia invece di offuscarsi, di oscurarsi e spegnersi. Buon motivo per occuparsene. Se lo spazio per la politica è oggi enorme (come a ragione sostiene, in questo stesso numero, Luigi Bobbio), qual è lo spazio per la sinistra? Vorrei tentare una risposta evitando(mi) una serie di questioni apparentemente pregiudiziali del tipo cos'è la sinistra, cosa la distingue dalla destra ( che non è difficile, nonostante tutto) o dal centro (meno facile, forse), c'è ancora bisogno di una sinistra eccetera. Domande non irrilevanti ma che proporrei per ora di accantonare. La situazione italiana, qualunque formula si adoperi per definirla, ha infatti i caratteri acuti di una terminale crisi di legittimità che prevede soluzioni e costringe a scelte rapide. Questa urgenza mette in luce il primo elemento di difficoltà dell'attuale cultura della sinistra, in parte rancorosamente arroccata nell'assegnamento sui tempi lunghi della storia, comunque abituata ai ritmi tardi e tormentati delle proprie maturazioni e dei propri conflitti interni, e forse più o meno consapevolmente assuefatta all'estenuante lentezza delle transazioni democristiane. Così si finisce per perdere di vista il fatto che l'attuale precipitazione delle culture e dei costumi politici è destinata a produrre rapidamente qualche forma di riaggregazione. Anche qui nessuno spazio può restare libero a lungo: il vuoto di valori, di idee, di proposte politiche sarà più o meno velocemente riempito. In realtà il motivo per cui il terreno della politica pare improvvisamente vivacizzarsi e riacquistare un qualche interesse è questa sensazione di una partita importante che in questi mesi si decide. Ma questo è anche il mcnivo più immediato delle difficoltà della sinistra, di cui l'irresolutezza del gruppo dirigente del Pds è solo l'elemento più evidente ma non il più importante. Il vero problema è l'inadeguatezza delle culture politiche dentro e fuori il Pds che rende vani sforzi anche generosi, specie in una situazione obiettivamente difficile. Al fondo di questa situa2ione c'è infatti un paradosso che
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