INCONTRI/GiiRSEL stesso. Seppure poi mi venga spesso in mente quella frase molto bella di Sartre che diceva: "Ci si libera di una nevrosi, ma non si guarisce mai da se stessi". Insomma, credo che sempre in un modo o nell'altro ci si proietti su questo o quel personaggio, dato che in fondo si scrive per ritrovare se stessi: certo, la scrittura è un'avventura rivolta verso gli altri, ma attraverso gli altri si cerca di ritrovare se stessi. Per quanto riguarda l'autobiografismo, devo dire inoltre che finora utilizzavo il mio vissuto come materiale di base da trasfigurare attraverso la fantasia, ora invece sto evolvendo verso una scrittura più neutra e impersonale: non si può continuare ad attingere alla propria vita e alla propria sensibilità, ciò può essere il punto di partenza, ma poi bisogna evolvere, altrimenti ci si arena. Nessuna vita infatti è sufficientemente ricca per alimentare di continuo la scrittura. Nei suoi racconti ritorna spesso la violenza della storia, attraverso le immagini dei colpi di stato in Turchia e della repressione militare, cui risponde un certo impegno politico. Eppure in unò dei suoi racconti prende le distanze dal!' immagine tradizionale dello scrittore impegnato politicamente ... Quando c'è stato il colpo di stato del 1971 avevo appena vent'anni e tutto il periodo di repressione che ha fatto seguito mi ha segnato profondamente. Nel mio primo libro, Una lunga estate a Istanbul, ho cercato di parlarne, perché mi sentivo un poco in colpa per quello che stava accadendo: io ero in Francia, mentre i miei amici erano in prigione e subivano la tortura. Ma già allora la letteratura impegnata non mi interessava. Certo, volevo difendere determinate idee politiche, volevo difendere una causa e denunciare la repressione, ma volevo farlo a modo mio, cercando modi diversi da quelli tradizionali. Infatti, Una lunga estate a Istanbul, che resta il mio libro più politico, non può essere considerato un classico esempio di letteratura militante, dato che propone un mondo frammentario, dove ciò che conta è innanzitutto il lavoro sulla scrittura che permette di far emergere la dimensione profonda dei personaggi. Insomma niente a che vedere con la dimensione semplicemente realistica tipica di molta letteratura dell'impegno. Oggi la sua posizione è cambiata? Sì, a poco a poco le mie posizioni si sono evolute, anche perché alcuni degli ideali del passato sono crollati. A lungo infatti sono stato vicino ali' estrema sinistra, e ancora oggi mi considero un uomo di sinistra. Oggi però, dopo il crollo del comunismo - che certo aveva lacune e torti, ma incarnava al contempo un ideale positivo - e dopo la mondializzazione del liberalismo capitalistico, credo che per lo scrittore il solo impegno possibile sia all'interno della sua opera, nella letteratura invece che nella difesa di una causa o nel desiderio di salvare l'umanità. Certo, nella nostra società c'è bisogno di maggior giustizia, ma questo compito spetta oggi ai politici, dato che la letteratura non mi sembra abbastanza potente per riuscire a cambiare il mondo. Oltretutto, la letteratura oggi è in pericolo: sta perdendo terreno di fronte ai fabbricanti di libri che occupano i media. Costoro non sono dei veri scrittori, scrivono per il mercato e per il denaro. Insomma, oggi uno scrittore deve innanzitutto pensare a difendere la letteratura: è questa la lotta più importante. 48 È per questo che lei scrive? Per molto tempo ho pensato che per me scrivere fosse una forma di esistenza. Oggi mi rendo conto che forse scrivo anche per piacere agli altri, non per sedurre ma per piacere. Prima ha detto che scrivere è comunicare. Non è anche questa una finalità importante? All'inizio forse no, ma poi ci si rende conto dell'ineguagliabile forza della letteratura, una forma di comunicazione che passa attraverso le parole e l'immaginario. Questa forma di comunicazione è assai importante, perché lo scrittore raggiunge qualcuno che non conosce dandogli la possibilità di fare un suo viaggio attraverso ciò che egli ha scritto. Una volta una lettrice mi ha detto: "Ho letto La prima donna e ho passeggiato per le vie di Istanbul, anche se non vi sono mai stata". Così, lo scrittore che è solo - visto che scrivere è un'attività solitaria - diviene multiplo nel momento in cui le sue parole sono lette e la sua sensibilità, le sue emozioni, i suoi dolori sono condivisi da altri. Lo scrittore però ignora tutto ciò, che avviene indipendentemente da lui. Lei dice di scrivere per piacere ai lettori. Ciò significa che pensa a loro quando scrive? No, mai. So di avere un pubblico, per altro più importante in Turchia che in Europa, ma non penso mai ai miei lettori quando scrivo. Ma forse questo bisogno di piacere può spiegare il lirismo delle mie opere oppure un certo narcisismo presente nel personaggio solitario che è spesso il protagonista dei miei racconti: scrivendo, vorrei che i lettori si prendessero cura di me attraverso i miei personaggi. In un suo scritto lei afferma di non poter scrivere la parola libertà in turco. Come mai? La Turchia ha vissuto un periodo di forte repressione tra il 1980 e il 1984, due miei libri sono stati censurati, molte persone erano in prigione. Come potevo pronunciare la parola libertà, uzgurluk, quando nel mio paese non si era liberi di scrivere ciò che si voleva? Pronunciare quella parolami bruciava le labbra, perchémi ricordava troppo la mancanza di libertà nella Turchia di quegli anni, mi ricordava tutti coloro che hanno pagato ben più caro di me, con la prigione e la tortura. Oggi però la situazione è almeno in parte mutata ... Sì, oggi c'è un ritorno alla democrazia fondata sul pluralismo, sebbene non tutti i problemi siano risolti. E innanzitutto quello della minoranza curda, che viene repressa e privata del diritto di affermare la sua identità, ad esempio attraverso la sua lingua e la sua cultura. È un problema complesso su cui la Turchia è molto in· ritardo. Nel contesto attuale, mi sembra difficile risolvere questo problema, anche perché i curdi alimentano una violenta guerriglia separatista. D'altra parte per affronrare questa situazione la Turchia ha scelto l'opzione militare, che non mi sembra certo la migliore, dato che non è né giusta né capace di risolvere il problema. Ma al di là del problema curdo, va riconosciuto che sul piano generale delle libertà democratiche c'è stata una grande evoluzione: oggi la Turchia, seppure con qualche restrizione, è un paese abbastanza democratico. ,.,
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