questo punto di vista, allora, l'esilio può essere un'occasione di apertura verso la conoscenza dell'altro, cosa che per uno scrittore è fondamentale. Per uno che vive ali' estero da 'vent'anni la parola "patria" che significato ha? Per me significa ben poco. Non mi sento partecipe del ritorno dei nazionalismi e dell'impermeabilità delle frontiere; credo invece all'apertura, all'Europa che si costruisce a poco a poco, nonostante molte difficoltà. La patria per me può essere solo la lingua e forse il mio passato, l'infanzia che cerco continuamente di far risorgere attraverso la scrittura. Penso alla lingua perché in Turchia essa ha sempre rappresentato la continuità: i turchi sono passati da una civiltà all'altra, nell'XI secolo sono entrati nell' orbita della civiltà arabo-persiana, mentre nel XIX secolo hanno conosciuto l'influenza della cultura occidentale; eppure la nostra lingua è rimasta la stessa. Il ritorno in Turchia non la tenta? Non nell'immediato. Ulisse alla fine è tornato a Itaca, io invece non ho una mia Itaca personale, quindi non vedo possibilità di ritorno. Anche se tornassi in Turchia, non sarebbe certo un ritorno nel senso ulissiano dell'espressione. L'erranza che ho vissuto e la distanza che mi separa dal mio paese mi hanno fatto perdere il senso del ritorno. È per questo che i suoi personaggi sono perennemente in viaggio e lageografia ha un'importanza capitale nei suoi racconti? Sì, certo. Ma il narratore che si sposta di continuo sul piano della geografia si sposta contemporaneamente anche sul piano della memoria: sono questi i due assi su cui evolvono i miei raçconti. Al viaggio nello spazio reale - con la sovrapposizione di diverse città - si somma il viaggio nella memoria, che permette ad esempio il ricordo di Istanbul o quello dell'infanzia in Anatolia. Le sue opere rifuggono dalla tradizionale struttura lineare del racconto, proponendosi piuttosto come opere frammentarie che il lettore deve ricostruire apoco apoco. Da dove nasce questo bisogno di confondere tempi e spazi? È un richiamo esplicito a una certa tradizione della modernità novecentesca? Questo mio atteggiamento stilistico riflette naturalmente la mia condizione esistenziale: anche la mia vita infatti è un continuo va e vieni tra luoghi e tempi. Ma certo questi risultati dipendono anche dalla ricerca di una certa modernità attraverso la descrizione della città e dello spazio urbano. In questo s~nso per me è stata molto importante la lezione del nouveau roman, e soprattutto la lettura della Modificazione di Miche! Butor, dove la sovrapposizione di due città, Parigi e Roma, evolve tra ricordo e realtà. In generale però scrivo soprattutto dei racconti, un genere che mi si addice maggiormente. Perché? Il mio tipo di scrittura non è adatto a scrivere una storia con un intreccio, può solo creare un'atmosfera. Certo, talvolta creo dei INCONTRI/GuRSEL personaggi che possono evolvere, ma in generale rifuggo dall'intreccio. In questa prospettiva è assai difficile fare dei romanzi, è per questo che preferisco il racconto. Eppure in questo momento sta scrivendo proprio un romanzo... Sì, un romanzo storico ambientato nel XV secolo, ma portando sulla pagina anche l'autore che scrive questo romanzo nel XX secolo: il racconto dunque si muove lungo due diversi piani temporali. C'è anche un capitolo su Gentile Bellini, il pittore veneziano che nel 1480 andò a Istanbul per fare il ritratto di Maometto Il il Conquistatore. Si tratta di un episodio che rappresenta bene l'incontro del mondo veneziano con quello orientale della Turchia. Insomma, anche in questo caso rinuncio alla confezione tradizionale del romanzo ottocentesco: certo c'·è un filo conduttore, ma il romanzo è frammentario. In fondo, più che un romanziere, mi considero un autore di prose poetiche. Nella sua scrittura infatti c'è unaforza lirica e evocativa assai intensa, che talvolta si accompagna a descrizioni assai crude e realistiche, come ad esempio avviene nel romanzo La prima donna ... In quel romanzo il vero protagonista è la città di Istanbul, che viene vista attraverso gli occhi di un adolescente e contemporaneamente quelli di un narratore adulto che sta a Parigi e che ha letto diverse cose su quella città. Anche in questo caso, quello che mi interessava era la sovrapposizione delle diverse immagini della città che di conseguenza necessitavano di diversi registri stilistici. ·Il realismo di certe descrizioni serve a rendere la vicinanza delle cose tipica di una città in cui si è aggrediti e invasi dalle cose, le quali ci stanno addosso procurandoci una sorta di angoscia. I momenti di maggior lirismo sono invece quelli in cui emerge il ricordo dell'infanzia e della campagna, ricordi che si contrappongono all'invadenza oppressiva e minacciosa della città. Spesso nelle vicende che lei racconta è possibile riconoscere i tratti della sua esperienza reale. In che misura la sua scrittura è autobiografica? Nelle mie opere c'è certamente una parte di autobiografia, che però poi è sempre trasfigurata dalla fantasia. Tengo regolarmente un diario che però non pubblicherò mai; talvolta ne utilizzo alcuni spunti per questo o quel racconto, ma non voglio pubblicarlo integralmente. Per me infatti la vita privata non è una materia che si possa pubblicare direttamente senza mediazioni, occorre sempre trasformarla attraverso l'immaginario, che è appunto quello che io cerco di fare. In Turchia, alcuni critici iniziano a rimproverarmi l'utilizzazione del vissuto personale nei miei racconti. Come mai? Secondo costoro, soprattutto nell'ultima raccolta di racconti, L'ultimo tram, il narratore mi assomiglierebbe troppo e alcune delle tematiche, proprio perché di origine autobiografica, inizierebbero a ripetersi. In realtà questi racconti sono dei racconti di finzione, ma forse i lettori fanno confusione perché sono narrati in prima persona. Può darsi che sia anche per questo che mi sono deciso a scrivere un romanzo storico, per cercare di uscire da me 47
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