Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

INCONTRI/GiiRSEL francese. Già allora, nella mia fantasia, avevo una specie di progetto: venire a Parigi e scrivere in una mansarda. Negli anni del liceo infatti leggevo i poeti maledetti e per me Parigi era un luogo di scrittura, come appunto avevo scoperto proprio nella letteratura francese. Poi le cose sono andate come vi ho detto e oggi amo questa città. Certo negli ultimi anni ho viaggiato molto e ho conosciuto molte altre città, che tra l'altro ritornano spesso nei miei racconti. Ma il mio rapporto con la lingua francese ha fatto sì che mi stabilissi a Parigi e oggi sono un poco parigino, sebbene in fondo abbia la sensazione di essere continuamente in viaggio verso un qualche luogo sempre diverso, senza avere mai la possibilità del ritorno. Ecco, per me, il ritorno non è più possibile né concepibile: forse è per questo che non immagino di tornare a stabilirmi in Turchia. La Francia non è per me un paese straniero, ma non è neppure il mio paese: è il posto in cui ho fatto la mia vita. Per il resto, vivo una specie di erranza continua, che non a caso è diventata uno dei miei temi letterari privilegiati. Che rapporto esiste tra esilio e scrittura? Questa è una questione centrale sulla quale continuo a riflettere, anche se oggi il mio esilio è volontario. Sebbene le mie opere siano nate lontano dal mio paese, continuo a scrivere in turco, restando così attaccato alla mia lingua madre, a differenza di altri scrittori come Nabokov, Beckett o Bianciotti che prima o poi hanno adottato la lingua del paese di residenza. Continuare a scrivere in turco è un modo per continuare a essere in Turchia pur essendone lontano; la scrittura è un modo di radicarsi in un luogo, di trovare delle radici, visto che pur amando Parigi mi sento comunque molto sradicato. Ciò però non è sempre·facile, perché vivo lontano dalla Turchia e dal calore della lingua viva, quindi la 46 mia lingua rischia di essere più rigida e accademica. La distanza però è anche un vantaggio, dato che mi permette di osservare il mio paese dal di fuori, consentendomi di costruire uno stile non direttamente dipendente dalla lingua parlata. Vivere all'estero dunque influenza la mia scrittura. Ad esempio, è a Parigi che ho coltivato la nostalgia per Istanbul, una città che ritorna Spe$SOnei miei libri e soprattutto ne La prima donna. Insomma, se fossi rimasto in Turchia, probabilmente il mio modo di scrivere si sarebbe sviluppato in modo diverso. Che effetto fa scrivere in una lingua e vivere in un'altra? Nella mia vita quotidiana e nel mio lavoro universitario sono continuamente attraversato dalla lingua francese, ma la mia vita di scrittore è legata al turco. Questo spazio riservato alla lingua turca si va però restringendo sempre di più, perché la lingua francese mi invade progressivamente. Per fortuna che ogni tanto vado in Turchia, così da immergermi nel turco e controbilanciare l'invadenza del francese. Tra le due lingue c'è una specie di lotta quotidiana, e forse un giorno scriverò in francese, anche se per ora ciò non è assolutamente all'ordine del giorno. In ogni caso, questa situazione per me comporta una sorta di lacerazione. È difficile riuscire a vivere due lingue contemporaneamente, e attraverso di esse due universi, due sensibilità, due stili di vita: produce un effetto di schizofrenia. Al contempo però questa situazione è anche fonte di un continuo arricchimento: la lingua francese infatti mi ha dato molto in letteratura e nella vita. È grazie alla mia · conoscenza del francese che ho potuto scoprire alcuni scrittori che non sono ancora tradotti in turco e forse non lo saranno mai. Da Foto di Vincenzo Cottinelli.

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