Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

' STORIE/KEMAL , "Hai sentito, mia cara? Non le piace quello che lui le porta." "Eh, più si ha ..." "Due chili di zucchero! Quella sudiciona non li ha visti da quando è uscita dal grembo di sua madre, due chili di zucchero!" "Da quando è uscita dal grembo di sua madre!" "Quella sudiciona di una zoppa ..." "E quell'uomo, come mi fa pietà! ... Mi si spezza il cuore." "Lo riporti!" "Che lo riporti!" Dodici giorni dopo che aveva dato il bambino alla zoppa, Ismail tornò con un sacco mezzo pieno di roba. Senza fermarsi a casa dello zio, andò dritto da Emine. Era una capanna di un solo locale d'erba secca, color piombo, con le pareti ruvide coperte di macchie di sterco. Dentro non c'era quasi nulla: tre sacchi ammucchiati in un angolo e un materasso consunto dal quale uscivano bioccoli di cotone. Un vitello era legato all'angolo opposto. Vicino al vitello c'era la culla, vecchia e tutta nera per la sporcizia. I due bambini giacevano accanto, ognuno con i pugni chiusi sul viso dell'altro. Il locale era umido di fango e odorava di sterco fresco ed' orina. Sotto la finestra, poco più larga di una mano, due giare di legno di pino coperte di muschio stillavano acqua continuamente. Ismail si fermò morto di stanchezza ai piedi della culla. Guardò e guardò ... "Sorella," disse, "sorella Emine, cos'è accaduto al bambino?" La pelle del bambino era tesa sulle ossa, aveva il ventre gonfio, gli occhi profondi nelle orbite. Non poté resistere più a lungo. Venne via. Emine scosse il sacco con lo zucchero. "Guarda," disse, "guarda, Elif, ragazza mia, cos'ha portato. Guarda! Cosa crede d'aver fatto quel maledetto asino? E ha il coraggio di star qui a darsi arie e a chiedere cos'è successo al bambino. È successo un cavolo, ecco! Che il diavolo se lo porti! Due chili di zucchero! E si aspetta che lo nutra con quello!" Mentre parlava toglieva le cose dal sacco e le deponeva sul pavimento. "Morirà, il mio bambino morirà! Diarrea! Morirà, e tutti mi malediranno!" "Be', portalo indietro allora!" esclamò Elif la Nera. "Perché non glielo restituisci?" "Il mio bambino morirà. Tutti diranno 'ha fatto morire il suo bambino per dare il latte a quello di uno straniero'." Ismail si staccò dal muro grezzo al quale si era appoggiato ed emise un lungo, profondo sospiro. "Puttana!" disse, e la parola gli sibilò fra le labbra. "Zoppa puttana!" E se ne andò barcollando come un ubriaco. Due giorni più tardi Emine, urlando e maledicendo con quanto fiato aveva, riportò il bambino alla vecchia Jennet. "Cosa dirà la gente," continuava a ripetere, "se il mio bambino muore? Cosa dirà la gente?" E la vecchia Jennet rimandò il bambino a suo padre. Il grano, ammucchiato tutto intorno all'aia, raggiungeva l'altezza di un uomo. Ismail aveva cominciato a trebbiare molto prima che spuntasse l'alba. Il sole era ormai quasi alto, e la pila diventava sempre più alta. Ismail gettò la forca contro i gambi rigidi. Prese una lunga sorsata dalla giara che stava nella zona d'ombra dell'aia. Sulla trebbiatrice c'era un ragazzo con il collo sottile e le lunghe 38 ciglia. Prese a sferzare i due cavalli bai che aveva davanti e li fece girare rapidamente sui covoni di grano non ancora battuti. L'aria era piena del profumo denso della paglia, dell'erba secca, che faceva pizzicare le narici. lsmail si curvò sul bambino, che giaceva all'ombra del grano ammucchiato, e gli mise alle labbra una bottiglietta di latte alla quale aveva fissato un poppatoio. Il bambino smise di piangere e cominciò a succhiare debolmente. Ismail era appoggiato a terra col ginocchio destro. Aveva il viso coperto di paglia e di polvere. Il colletto della camicia consunta era aperto, e si vedevano i peli del torace. Era fradicio di sudore. Si tolse la camicia e la stese sul grano, poi tornò indietro, appoggiò a terra il ginocchio destro e sostenne la bottiglia. Non ne poteva più, respirava come un mantice. Chiamò il ragazzo -dalla trebbiatrice. "Mehmet, vieni," gridò, "vieni a mangiare." Mehmet lasciò i cavalli vicino al grano, perché potessero mangiare anche loro. Venne e aprì il suo sacchetto dove teneva il mangiare. Ismail mangiava con una mano, e con l'altra teneva la bottiglia. Se avesse fatto un gesto e allontanato la bottiglia il bambino si sarebbe messo a piangere immediatamente, e lsmail non lo poteva sopportare. Mehmet mangiava e chiacchierava di seguito. "Zio Ismail, lascia che ti dica qualcosa. C'era un ragazzo al nostro villaggio." E indicò il bambino. "Era proprio come lui. Sua madre era morta. E in qualsiasi posto suo padre andasse si doveva portare il bambino in braccio. Era povero, vedi, e nessuno si voleva occupare del bambino. E il bambino stava morendo di fame, piangeva e piangeva, e stava morendo. Così disse mia madre! Disse che stava morendo nelle braccia di suo padre. Ora quel bambino, sai, lo chiamavano il figlio del Kurdo al villaggio. Ma mia madre dice che suo padre non era un Kurdo, né niente di simile. Una notte il padre avvolse il bambino in un vecchio sacco e lo mise sulla pietra della fontana in mezzo al villaggio, e lo lasciò lì. Poi scomparve. Una ragazza dei Kurdi trovò il bambino e lo prese. Ora lo chiamano il figlio del Kurdo. Una ragazza dei Kurdi ... Suo padre era scomparso. Non mise mai più piede nel villaggio. Nessuno sa dove andò, nessuno l'ha più visto. Oh, io non so! Questo è quello che dice mia madre, ad ogni modo." Ismail si alzò di colpo. Le pagliuzze che aveva sulla peluria del petto risplendevano al sole. Prese la camicia dal mucchio di grano. Se la mise con calma, prese il bambino in braccio e se ne andò. La cieca sentì il rumore dei passi e voltò il viso verso la porta. "Chi è?" gridò. "Chi è? Hai con te un bambino? Non è la voce di un bambino quella che sento?" "Sono io," disse Ismail. "Sono io, madre." "Mi spiace, figliolo," disse la vecchia cieca. "Ma non riconosco la tua voce." "Sono io, madre," disse Ismail. '::Sono Ismail degli Avshar, il vecchio bracciante di Dormush Agha ..." "Ah," disse la cieca. La sua voce era lieve, piena di lacrime, e amara come il veleno. "È dispiaciuto tanto a tutti di Zala. Non è vissuta per vedere giorni migliori, poveretta. Che quella zoppa sudiciona sia maledetta. Ho sentito èhe ha riportato il bambino, non è così? Ahhh, se ci fosse mio figlio. Allora Huru non andrebbe a lavorare. Guarderò io il bambino di Zala. Figliolo, sta piangendo

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