Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

"Morì," ripose aspramente. "La portai dal dottore, ma morì. Le feci le iniezioni, ma morì." Se ne andò svelto. Un largo shalvar nero e stracciato gli sventolava sulle gambe lunghe, mostrando i mutandoni bianchi attraverso gli strappi. Le donne rimasero a guardarlo. Le labbra grinzose di Mamma Hava si mossero lievemente. "Come soffre! Il povero ragazzo, vedete come soffre ... Piange lacrime di sangue. Non ha neanche la forza di guardarci in faccia. Come se fosse stato lui a ucciderla." "Oh, donne, per l'amor di Dio," cominciò querula la donna dalle guance incavate, "non l'ha mai trattata come avrebbe dovuto, quel maledetto. Vada pure in _giro col suo bimbo in braccio, da un villaggio all'altro. Che vada! Non l'ha mai portata dal dottore, almeno per venti giorni. Dicono che non veniva fuori la placenta. Oh, io non lo so, dicono che le restava dentro e marciva. C'era qualcuno come Zala? Pensate che se la Grande Emine non fosse morta avrebbe dato sua figlia a quell'lsmail che veniva Dio sa da dove?" "È lasciato alla misericordia degli estranei, pover'uomo," disse Huru. "lsmail è un uomo coraggioso, e non ha mai fatto male a nessuno." "Credi che riuscirà a trovare qualcuno che gli stia attento al bimbo?" chiese Mamma Hava. "Chi?" rispose la donna dal mento aguzzo. "La gente non riesce neanche a badare ai propri. Guarda qui Huru, ha dovuto lasciare a casa il suo bambinello, e mentre le tocca spremere per terra il suo latte inutile, lui piagnucola tutto il giorno come un animale affamato. No, il bimbo di Huru è davvero in una brutta situazione. Lei torna a casa la sera... il suo latte è come sangue ..." Huru si risentì. "Credi che venga qui perché mi piace?" gridò. "Questa maledetta miseria! Credi che mi diverta a venir qui? Moriremmo tutti di fame se non venissi. Saremmo lasciati alla carità degli estranei. Sembra quasi che tu non lo sappia, sorella ... Se potessi aiutarlo ..." "È duro," disse Mamma Hava. "Dipendere dalla carità degli altri è peggio che morire." "E la vecchia," continuò la donna dal mento aguzzo, "è cieca. Come fa a badare al tuo bambino? Non è vero forse, Huru ragazza mia? Non può vedere ..." "Adora il bambino. Gli sta attorno come un uccellino. Lo sai, i bambini non piangono mai con lei. Se un bambino comincia a piangere e tira fuori gli occhi e non vuole smettere, non c'è altro da fare che portarlo a lei, e lei Io calma subito. Ha un modo tutto suo di cantare le ninne-nanne ..." "Questo è vero," disse Elif la Nera, "ma supponi che il bambino abbia il viso coperto di mosche, che sia mangiato dalle mosche. Bisogna che pianga perché lei se ne accorga. Cosa può fare, povera donna? Lei vuol bene ai bambini, ma è cieca. Dicono che spesso caccia la bottiglia del latte nell'occhio di un bambino invece che nella sua bocca." Guardò verso Ismail. "Dove sta andando Ismail?" si chiese. "Dove lo sta portando quel bambino? Chi gli baderà? Con tutto il lavoro che c'è da fare, la gente non riesce neanche a badare ai propri." STORII/KEMAL "C'è suo zio," disse Mamma Hava. "La sua famiglia si prenderà cura di lui." La donna dal mento aguzzo continuava a modo suo a parlare con le altre. "Huh," pianse volgendosi attorno, "e dov'è la donna che qui potrebbe curarlo? Dio proibisce che un bambino sopravviva a sua madre!" "Oh, mio Dio," disse Mamma Hava, "perché non è morto con sua madre? Perché hai permesso che vivesse dopo la morte di sua madre, mio Dio? Avevi proprio bisogno che quest'orfano abbandonato se ne andasse per il mondo? Ahimè, Zala ... E tutti così indaffarati nei campi ... Cosa farà Ismail?" Il sole era alto nel cielo. Nuvole di polvere si levavano nell'aria. Più avanti, presso il villaggio, un ciuffo sottile di fumo saliva verso il cielo. Nei campi i cespi del grano tagliato brillavano. L'immensa pianura era in fiamme, splendeva sotto il sole come un piatto di stagno brunito. Vicino, il metallo lucente di una trebbiatrice abbagliava Ismail coi suoi riflessi. Aveva gli occhi brucianti di sudore. Sul fianco della strada vide un gelso, bianco di polvere, e vi si diresse. Il capo del bambino gli ciondolava sul braccio, con il debole collo teso e emaciato. Depose il bimbo sotto l'albero. Si tolse la camicia e l'arrotolò, lasciandola su un rovo quasi invisibile sotto la polvere. Sullo shalvar gli si erano formate croste di fango. Le scosse via. Il bimbo piagnucolava. Mosche nere gli camminavano sul viso e sugli occhi. Ismail le cacciò con un gesto rapido, ma il bimbo non smise di piangere. lsmail lo cullò dolcemente. "Zitto, piccolo mio," disse. "Zitto, non piangere." Il pianto non smise. Tolse dal cespuglio la camicia umida, se la mise rapidamente, e riprese il cammino. La polvere gli giungeva turbinando sino alla cintola. Il capo del bimbo ciondolava. Piangeva ormai continuamente, quasi gemendo, con una voce sottile. Passò un carro, sollevando polvere per tutta la strada. Quando Ismail emerse dalla nuvola di polvere un odore pungente d'acqua ferma gli giunse alle narici. Alla sua destra, una risaia verde si stendeva fino al villaggio. Il grande campo vaporava sotto il sole bruciante. Il rigagnolo a lato della strada era pieno d'acqua stagnante coperta da uno strato cremoso di polvere. Al limite del campo di riso stava in piedi un vecchio contadino, curvo e con barba bianca, con un aba gettato sulle spalle e una zappa in mano. Le gocce di suèore che gli bagnavano il viso erano visibili a distanza. Ismail lo superò rapidamente, col capo piegato sul bimbo, fissandolo. "Ehi, viaggiatore," disse il vecchio bracciante. "Il capo del bambino penzola." Ismail non lo udì. Col capo curvo, continuò per la sua strada. "Dio ci protegga," borbottò a se stesso il vecchio bracciante. "Maledetta miseria. È duro ..."· Ismail entrò nel villaggio senza soffermarsi. Le stradicciole strette e polverose erano piene di enormi mucchi di letame. Tutto attorno alle capanne di fango e di sterco, gruppetti di galline con il becco aperto e le lingue irrigidite ali' infuori e le ali abbandonate razzolavano nella polvere. Pochi cani con la lingua ansimante lunga e rossa dormicchiavano vicini. In tutto il villaggio non c'era 31

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