MALESSERE E CONFINE. Appuntamento In Francia Fabio Gambaro Sebbene da noi sia praticamente sconosciuta, la letteratura turca contemporanea è assai ricca e piena di fermenti interessanti. Infatti, alle spalle di qualche grande nome noto a livello internazionale - ad esempio il poeta Nazim Hikmet morto trent'anni fa o il settantenne Yasar Kemal - si muove una vasta schiera di giovani e meno giovani scrittori che nelle loro opere sfruttano e contaminano idee e suggestioni provenienti da una doppia tradizione culturale: quella orientale e quella occidentale. La letteratura turca nasce infatti a cavallo tra oriente e occidente, e i suoi scrittori sono spesso il risultato di tale incrocio di culture e tradizioni. E ciò non solo per formazione libresca o per la naturale posizione del paese che fa da ponte tra due continenti, ma soprattutto per diretta esperienza personale, dato che molti di loro hanno vissuto all'estero per lunghi periodi: chi per completare gli studi nelle università francesi e tedesche; chi in esilio per sfuggire alle drammatiche vicende politiche del paese, che solo recentemente è tornato alla democrazia; chi infine lungo i tradizionali percorsi dell'emigrazione che ha condotto milioni di turchi verso i ricchi paesi d'Europa, e la Germania in particolare. Il risultato di tale diaspora è che oggi gli scrittori turchi vivono non solo a Istanbul o sugli altipiani anatolici, ma anche a Berlino, a Parigi o a Stoccolma. E nelle loro opere ritorna incessantemente la difficile condizione dell'esilio, il senso di estraneità che sempre li accompagna, la tensione permanente tra cultura d'origine e civiltà d'adozione, cui si accompagna il tentativo di tessere un dialogo necessario tra gli universi distanti che coesistono in loro. Il caso più emblematico di questa letteratura d'incrocio nata su uno sfondo multiculturale è il recente successo ottenuto da tutta una generazione di giovani scrittori turchi di lingua tedesca, i cui risultati assai promettenti esprimono bene la ricchezza e la difficoltà presenti nella loro doppia appartenenza. Tra questi, oltre al poeta Zafer Senocak e alla scrittrice Alev Tekinay, figura anche Jacob Arjouni di cui appena è giunto nelle nostre librerie Happy birthday turco (Marcos y Marcos). Proprio Zafer Senocak e altri dieci poeti e narratori suoi connazionali si sono dati appuntamento il mese scorso in Francia, dove hanno partecipato a una serie di incontri, letture e dibattiti destinati a far conoscere meglio la letteratura del loro paese. Da queste manifestazioni è emerso un ricco ventaglio di posizioni e atteggiamenti che hanno permesso di far luce sulla mappa delle convinzioni e delle preoccupazioni che stanno alla base del loro impegno letterario. E innanzitutto la volontà, ribadita a più riprese, di sfuggire ai cliché della letteratura esotica o regionale, legata esclusivamente ai terni della povertà, della religione o della campagna. La loro vuole essere invece una letteratura universale a pieno titolo. È per questo che, sebbene le preoccupazioni relative alla situazione del paese restino importanti, gli intellettuali turchi cercano di voltare le spalle al passato e pensare piuttosto al futuro, come ha ricordato Ataol Behramoglu, poeta, narratore e militante della sinistra turca, che h·a conosciuto il carcere e l'esilio: "L'intellettuale turco vive tra due fuochi: la democrazia e l'oppressione. Il passato continua a pesare, le difficoltà non sono tutte risolte, rimangono pregiudizi e incertezze, eppure le cose si muovono, la società turca va verso una maggiore apertura e una libertà più concreta. Nonostante tutte le difficoltà, noi continuiamo a rinascere e abbiamo una grande volontà di vivere e di proseguire verso una vera democrazia". Eppure, sebbene a detta di tutti la situazione sia migliorata, molti di loro si sentono ancora incerti e a disagio, e spesso le incertezze sociopolitiche si traducono in incertezze esistenziali. Lo dice bene il poeta Enis Batur: "Ovunque io mi trovi, mi sento straniero, anche nel mio paese. Questa è la radice di tutta la mia scrittura, anche se non è detto che scrivere possa contribuire a superare questa sensazione". E aggiunge Ùzdemir Ince, poeta e traduttore: "Per me la scrittura è un lavoro di ricerca, quando scrivo cerco di conoscermi, cerco di scavare in fondo a me stesso. E a tratti ho l'impressione di scoprire qualcosa, una piccola verità, ma poi perdo il filo, mi confondo. L'incertezza mi riconquista, così ricomincio a scrivere". Un tale punto di vista è in fondo condiviso anche dalla scrittrice Inci Arai, autrice di diverse raccolte di novelle e di un romanzo: "La mia scrittura - racconta - nasce sempre dalla difficoltà, dato che scrivo a partire da un'avversità, da un fastidio che coltivo a lungo in me prima di trasferirlo sulla pagina. Quando poi scrivo, penso di potermi liberare da questo peso, ma è solo un'illusione che dura poco, visto che ben presto un nuovo malessere mi assale. È questa la molla che mi spinge verso la scrittura". Proprio per sfuggire a questo disagio molti, come si è detto, sono andati lontano per periodi più o meno lunghi, come Nedim Giirsel a Parigi, Demir Ozlii in Svezia. Altri vi si sono trovati per forza: ad esempio Zafer Senocak, giovane poeta che vive in Germania da oltre vent'anni, dove ha sperimentato tutte le difficoltà dei 150.000 turchi di Berlino. Proprio ai problemi dell'immigrazione e del nuovo nazionalismo di una Germania riunificata e sempre più xenofoba, egli ha dedicato una raccolta di saggi intitolata Atlante della Germania tropicale. Per altro, poi, la riflessione sull'incontro/scontro tra le culture è ali' origine della sua ricerca poetica e linguistica: "La lingua della mia scrittura - dice - non è né il tedesco né il turco, è una lingua che nasce nello spazio esistente tra queste due lingue, tra questi due mondi. La mia poesia nasce nella dinamica e nella tensione che si crea tra queste due diverse realtà". Latife Tekin, la giovane scrittrice autodidatta conosciuta anche da noi per il suo bel romanzo Cara spudorata morte (Giunti), scrive invece per sfuggire alla letteratura stessa e afferma con orgoglio: "Non amo la letteratura, non mi sento scrittrice e scrivo contro la letteratura. Vengo dalla campagna, un mondo senza scrittura, un mondo dominato dal silenzio e dal!' armonia, da cui mi sono allontanata quando sono andata a vivere a Istanbul, ma a cui spero di tornare un giorno. In fondo, scrivo per allontanarmi dalla letteratura e tornare al silenzio del mio villaggio". Latife Tekin è solo una delle numerose scrittrici che in questi anni hanno occupato la scena letteraria turca, imponendo una scrittura femminile che sta dimostrando una vitalità tutta particolare, come testimonia la bella antologia di racconti di una quindicina di scrittrici appena pubblicata per l'UNESCO a cura di Nedim Giirsel, Paroles dévoilées (coedizione Arcantère-UNESCO). Questa nouvelle vague femminile è certamente una delle maggiori sorprese della letteratura turca degli ultimi anni. E il suo valore è tanto più importante se si tiene conto delle arretratezze della società turca che certo non facilita il lavoro delle scrittrici: come dice Pinar Kiir, autrice di sei romanzi, "essere scrittori è complicato dappertutto, essere scrittori in Turchia è ancora più difficoltoso, ma essere donne e scrittrici in Turchia è certamente la cosa più difficile". Le donne in Turchia - un paese laico in cui però il peso dell'islam non è certamente trascurabile - scontano infatti le difficoltà e i ritardi di una società patriarcale e maschilista, anche se, come ricorda la scrittrice Mine G. Saulnier, nelle grandi città- Istanbul e Ankarala condizione femminile negli ultimi anni ha conosciuto degli innegabili progressi. E aggiunge: "La Turchia è il paese dei paradossi. Vi sono donne completamente liberate ed altre che vivono nel medioevo, velate e sottomesse. In questa prospettiva tutti si aspettano dalle scrittrici dei racconti autobiografici. Ad esempio, io ho scritto un romanzo sul mondo dei travestiti e sugli ambienti emarginati di Istanbul: si trattava di un romanzo tutto di finzione, ma molti critici e lettori hanno pensato che io avessi vissuto in prima persona le vicende raccontate". Attorno al tema della donna e alla sua difficile emancipazione ruota tutta l'opera di Leyla Erbi!, che in Turchia è considerata la madre della letteratura delle donne. Fin dai suoi primi racconti degli anni Sessanta, utilizzando una scrittura d'avanguardia che ha meditato la lezione di Beckett, non ha esitato a svelare la vita e la condizione delle donne delle classi medie nelle grandi metropoli turche, affrontando la loro rivolta contro il mondo dell'oppressione maschile. Per fare ciò, ha portato sulla pagina tematiche fino ad allora completamente tabù, come la verginità, l'incesto, la violenza sessuale, il desiderio femminile. "Certo ho parlato della condizione della donna - dice - e in una delle mie opere ho raccontato una donna anziana che finisce i suoi giorni prigioniera in una specie di ospedale psichiatrico. Quel testo aveva naturalmente un valore simbolico. Ma in realtà tutti i miei personaggi sono malati, coloro che sono rinchiusi come quelli che sono liberi, uomini e donne senza distinzione. Perché tutti siamo malati e feriti, oppressi dallo stato e dalla religione: questa purtroppo è la nostra condizione esistenziale." 29
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