Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

CONFRONTI L'89e all'iDldietro. I canimalvagi di McEwan essere una biografia di June; ma essa è diventata "una divagazione", un girovagare a partire dal punto centrale rappresentato da June che diventa il testo di Cani neri. Girovaga da Londra al Wiltshire, a Berlino, alla Polonia, alla Provenza, dal 1946 al 1989 e poi di nuovo al 1946, con visioni fugaci di altri luoghi e di altri momenti. Per tutta la sua durata il lettore aspetta il racconto dell'incontro di June con i due cani neri, in Provenza, durante il viaggio di nozze, nel 1946. June sostiene che quell 'incontro fu la svolta della sua vita, il momento in cui passò dal comunismo, dall'Inghilterra e da Bemard, alla meditazione, alla Francia, a Dio. L'episodio dei cani neri serpeggia attraverso la narrazione, ma il racconto ne è continuamente rinviato, accrescendone così la risonanza simbolica e le proporzioni mitiche man mano che la narrazione procede. Ali' inizio il lettore, come Jeremy, è propenso a non credere, a non prendere sul serio l'episodio, o almeno il modo in cui June lo "costruisce"; o semplicemente ne è imbarazzato. Ma l'attesa è così lunga che, quando l'episodio viene dettagliatamente raccontato nel capitolo finale, scetticismo e imbarazzo scompaiono, e il lettore semplicemente va avanti a leggere, privo di ogni difesa. Dorothea Barrett traduzione di Letizia Pautasso Chi conosce i precedenti romanzi di lan McEwan probabilmente si accingerà alla lettura di Canineri(Einaudi 1993,pp.165,L. 24.000) con una serie di radicate aspettative. Si aspetterà di trovare un mondo torbido fissato sulla pagina attraverso una prosa limpidissima, di trovare l'indicibile detto con una dizione perfetta e con un impeccabile senso del ritmo. Si aspetterà di provare disagio (o colpa?) mentre procederà con la lettura nell'attesa (ola speranza?) di inusitate concatenazioni di sesso e violenza - talvolta con bambini come protagonisti-che lasciano sconvolti (e sotterraneamente affascinati). E si ricorderà che il disagio per il proprio ruolo di voyeur in quanto lettore era accompagnato dalla sensazione che il proprio compagno di voyeurismo, il narratore, fosse in qualche modo al di sopra di tutto questo. Per quel narratore, potrebbe pensare il lettore, il sadismo è ciò che le arance erano per Cézanne, semphcemente il pretesto rappresentazionale. Il suo interesse è costantemente concentrato sulla struttura e sulla forma; e questo, forse, lo esonera, o almeno lo protegge dalle accuse più volgari, ma non aiuta il lettore. Il narratore l'ha abbandonato, è sparito dietro le sue preoccupazioni filosofiche e letterarie, lasciando lui, il lettore, solo e colpevolmente coinvolto. In realtà la lettura di Cani neri non è accompagnata da simili affanni brechtiani (escoprirlo suscita un inquietante miscuglio di sollievo e delusione). Tuttavia, come già avveniva in Bambini nel tempo, i fantasmi degli altri libri presiedono alla lettura di quest'ultimo romanzo. In un certo senso McEwan non ha più bisogno di essere esplicito: la presenza spettrale delle opere precedenti nei suoi lavori più recenti raggiunge quel l'effetto perturbante che è essenziale per la sua scrittura. Per questo, oltre alla risonanza sinistra che ha l'espressione in sé, i cani neri del titolo hanno già una risonanza simbolica prima ancora che ci si accinga alla lettura. Cani neri svaria dal personale al politico, dal particolare mimetico al quadro d'insieme filosofico, dall'incontro di una donna con due cani neri al rifluire e al risorgere del male in singole famiglie e in intere.nazioni. È un tentativo ambizioso di contrappuntare gli atti individuali di violenza e degradazione, che sono stati centrali nelle opere precedenti di McEwan, con i loro equivalenti politici e storici: il razzismo, i campi di concentramento, il genocidio. Questo è quello che potremmo definire l'asse verticale del romanzo. L'asse orizzontale abbraccia due modi opposti di pensare e di affrontare tale problema del male: un atteggiamento razionale, scientifico e storico da un lato, un atteggiamento·mistico, intuitivo e religioso dall'altro. Il romanzo cerca di conciliarli, mantenendoli delicatamente in 18 equilibrio; ma è il secondo atteggiamento che domina la narrazione, sicché il romanzo stesso . piega verso il misticismo. La cosa è forse inevitabile a causa della natura della forma romanzesca, creata da un invisibile progettista e piena di significati che appena si intravvedono. In particolare è inevitabile in questo romanzo, in cui la voce della ragione, della scienza e della storia è quella di un ex comunista, e il capitolo in cui egli ha un ruolo centrale è quello ambientato a Berlino nel novembre del 1989, nel momento della caduta del Muro. Il lettore è catturato sin dalla prima riga del "Prologo". "È da quando ho perso i miei in un incidente stradale all'età di otto anni che ho incominciato a interessarmi ai genitori degli altri". Jeremy, il narratore in prima persona, è un piccolo editore, un marito, un padre, ma soprattutto è un orfano. Vicino ai quaranta all'inizio del romanzo, nel 1987, si interessa di June e Bemard, i genitori di sua moglie Jenny. ·Al di là della dicotomia tra scienza (impersonata da Bemard) e religione (impersonata da June), c'è poi il contrasto tra persone come June e Bemard, capaci di credere - in questa o in quella - e persone come Jeremy, incapaci di credere. li contrasto è presentato come una differenza generazionale e lo status di orfano di Jeremy diventa dunque simbolico del suo disimpegno. Ciò che. Jeremy scrive in origine doveva . Cani neri è certamente il romanzo più ambizioso di McEwan, e forse il migliore. June, Bemard e soprattutto lo stesso Jeremy sono presentati con minuziosa precisione e sono pienamente convincenti, così come lo sono i paesaggi, sia urbani che agresti. Ma il pregio maggiore di Cani neri sta soprattutto nel modo in cui mette in rapporto il nostro presente con il nostro recente passato. Sebbene sia fondamentalmente incentrato sul passato, e pieno della sensazione che la vita dei nostri genitori sia stata in qualche modo più ricca e più significativa della nostra, questo è il primo romanzo che riesce a rendere vivido quel presente che ha avuto inizio nel 1989. Eurasia,Bombay. AnitaDesai voce di confine Alessandro Monti Negli ultimi due romanzi (In custodia e Notte e nebbia a Bombay, pubblicati nel 1990 e nel 1992 dalla Tartaruga di Milano) Anita Desai perfeziona e arricchisce di nuove sfaccettature la sua visione particolare del mondo indiano, di persona che ci vive dentro e tuttavia ne è in parte estranea, insomma di osservatore in grado di cogliere sfumature particolari e profonde, identità o differenze celate, ma sempre con strumenti di analisi e di rappresentazione di fatto non propri della tradizione culturale indiana. Come avviene in modo più palese nella scrittura di V.S. Naipaul, prevale nelle opere della Desai una prospettiva, forse involontaria, fondata sulla distanza, un atteggiamento in parte di critica e d'insofferenza, soprattutto la volontà tutta occidentale di frugare tra le pieghe dell'io psichico, di recuperare le tecniche mitologiche introdotte nel romanzo occidentale dal modernismo anglosassone: si pensi per esempio a Fuoco sulla montagna, del 1977(ora tradotto da Donzelli editore, pp. 140, L. 26.000), la cui staticità in termini puramente dinamici attinge senza ombra di dubbio ai modi di Al faro di Virginia Woolf, pur semplificandoli. Il discorso narrativo di Fuoco sulla montagna, svolto in terza persona autoriale rigidamente fissa, fsola frammenti e sequenze insignificanti di vita quotidiana come attimi (o illuminazioni) di una cronaca interiore e rivelatrice, il cui dipanarsi rimanda a un altrove molteplice, a una serie di prima molto diversi. Il ricordo implicito del passato (privato di quella palese matrice biografica che costituisce per la Woolf lievito narrativo) fa da velo tra la

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