Linea d'ombra - anno XI - n. 83 - giugno 1993

CONFRONTI IN LINGUAINGLESE Scrivere e testimoniare. Le varie vite di John Berger Paola Splendore "Lavorare è un modo per preservare quel sapere che i miei figli stanno perdendo", così i I vecchio Marce!, contadino e filosofo, spiega a se stesso e ai figli - che hanno preferito il lavoro in fabbrica con l'orario fisso e le ferie pagate - la necessità di piantare nuovi alberi anche se nessuno di loro continuerà il lavoro della fattoria: "Io scavo le buche, aspetto la luna giusta e pianto questi alberelli per dare un esempio ai miei figli se questo interessa loro, e se no, lo faccio per dimostrare a mio padre e al padre di lui che il sapere che mi hanno tramandato non è stato ancora abbandonato. Senza quel sapere io non sono nulla". L'urgenza di testimoniare è sempre all'origine della scrittura di John Berger, di cui è apparso recentemente, nella limpida traduzione e cura di Daniela Corona, Le tre vite di Lucie (Gelka, Palermo 1992, pp. 273, L. 25.000), un'urgenza non solo ideologica, ma metodo di conoscenza e di sperimentazione dei linguaggi più diversi. La sua opera è "un atto di avvicinamento ali' esperienza di cui si scrive", una riflessione sul lavoro dell'uomo. Tra le sue opere apparse in Italia, e oggi non più facilmente reperibili, si trovano titoli come Diariodi unmedicodi campagna, sull'esperienza umana e professionale di un medico condotto tra gente di campagna, e Il settimo uomo, uno straordinario documentario delle condizioni di vita dei lavoratori emigrati in Svizzera, per lo più turchi, greci, italiani. Sono le prime opere in cui Berger utilizza la sua personale formula narrativa, associando le parole alle immagini del fotografo Jean Mohr, immagini che non si limitano a registrarè la diversità o l' anonimità dei soggetti fotografati ma in cui si cerca di costruire una sequenza significativa della loro condizione, restituendo il loro stesso sguardo sulla realtà estranea. Come per Roland Barthes, con cui Berger ha molte affinità, le immagini non svolgono una funzione ancillare rispetto al testo ma ambedue i linguaggi si scambiano e comunicano significati. Non sorprende il desiderio di accompagnare la parola ali' immagine in John Berger, pittore, scrittore e critico d'arte marxista, nato a Londra nel 1926, comunista militante fin da ragazzo, che prende a maestri Lukacs e i filosofi di Francoforte, e che nel 1958 pubblica il suo romanzo di esordio sulla vita di un artista ungherese in esilio, Ritratto di un pittore. Arte e politica sono interessi perseguiti con evidente ostinazione anche in anni di assoluto disfavore delle idee marxiste, come risulta dai suoi molti scritti-saggistici e giornalistici (oggi raccolti in cinque volumi) e dalle due monografie, una dedicata a Picasso e l'altra allo scultore sovietico Neizvestny. La sua opera più nota è Ways of Seeing, basata su una serie televisiva della BBC, e pubblicata in volume nel 1972, un manuale che insegna a guardare le immagini e a decodificare il linguaggio dei segni, sia di un quadro rinascimentale sia di un'immagine pubblicitaria, in un linguaggio accessibile a tutti, privo di specialismi o di tecnicismi. Berger è stato sempre un outsider nel mondo delle lettere inglesi. Nel 1972, quando vinse con il romanzo G. (Feltrinelli 1974) il Booker Prize, il più importante premio letterario inglese, denunciò nel discorso di accettazione gli interessi economici dei Booker McConnell nelle Indie Occidentali e lo sfruttamento continuato che aveva portato all'impoverimento di quel paese con la conseguente necessità di emigrazione per migliaia dei suoi abitanti. A parziale risarcimento della situazione, Berger destina allora metà del premio a un lavoro di ricerca sulle condizioni degli immigrati (ali' origine de Il settimo uomo), e l'altra metà alle Pantere Nere, uno dei primi movimenti organizzati per il riscatto delle popolazioni afroamericane. Due anni dopo Berger lascia definitivamente l'Inghilterra per andare a vivere in un villaggio dell'Alta Savoia, tra i contadini. Frutto di questa esperienza è la trilogia/nto their Labours, di cui Le tre vite di Lucie (titolo originario Pig Earth), apparso nel 1979, è il primo volume. Seguono,nel 1987,0nceinEuropee,nel 1990, Lilac and Flag. Anche in quest'opera si ritrova l'alternanza di linguaggi, caratteristica costante di Berger: fiction, poesia, saggio, disegno. I racconti che ne compongono la struttura portante, accompagnati da semplici disegni di oggetti d'uso e intervallati da poesie sulla morte di una contadina, su una scala, sul fieno, sulle patate, sono incorniciati da una "spiegazione" e da un "epilogo storico". Nella "spiegazione" l'autore presenta se stesso come qualcuno che non è s~o scrittore: "Sono due mani pronte a lavorare al bisogno, il soggetto delle storie, un invitato e un ospite", uno che racconta storie, le stesse che gli abitanti del villaggio si raccontano l'un l'altro aggiungendo il proprio commento. La materia prima dello scrittore è dunque l'autobiografia parlata con cui il villaggio si autorappresenta e cui egli si limita a dare la forma scritta.L'epilogo è una riflessione saggistica che presenta la classe contadina come una classe di "sopravvissuti", destinata prima o poi a scomparire ad opera delle cosiddette culture del progresso, in cui si esamina la relazione tra il lavoro dei contadini e il sistema economico mondiale. I racconti si susseguono secondo una scansione precisa che si riflette anche nella loro costruzione: il punto di vista slitta nelle storie dalla terza alla prima persona, mostrando il grado di integrazione di chi scrive nella comunità. Nel primo racconto sono solo occhi che guardano una scena in movimento, l'uccisione di una vacca ammalata. Una maschera viene calata sugli occhi della bestia prima del breve viaggio che la separa dalla stalla al mattatoio, un colpo di pistola e la vacca si abbatte al suolo, diventando così solo carne, come l'albero abbattuto è ormai solo legno. È come una sequenza fotografica che inquadra ora l'animale, ora i gesti competenti e veloci della madre e del figlio che procedono allo scuoiamento e al sezionamento, senza alcuna implicazione emotiva: "Lavorano come sarti. Sotto la pelle la carne è bianca. La incidono dalla testa alla coda e alla fine sembra quasi un cappotto sbottonato". Chi scrive è ancora troppo esterno alla vita della comunità e perciò si ferma alla descrizione di gesti rituali. Le storie successive presentano personaggi con nomi e cognomi, e a volte sono i personaggi stessi a farsi narratori, come nei due racconti più belli: Il valore del denaro, la storia della beffa di Marce! alle spese di due ingenui ispettori di dogana, e soprattutto nel racconto della vita morte e resurrezione di Lucie Cabro!, che dà il titolo ali' edizione italiana. La storia di Lucie, detta La Cocadrille, la nana contadina forte come un uomo e indomabile come la natura, è narrata da qualcuno che l'ha amata da ragazzo, stregato dal suo fascino misterioso. Emigrato in Argentina, il narratore torna al villaggio quarant'anni dopo, e l'incontro si ripete con una Lucie ormai emarginata da tutti, ma diventata scaltra curatrice dei propri affari. Di nuovo l'uomo è preso da una strana fascinazione che, come un tempo, è mista a diffidenza. E quando Lucie gli si presenta grottescamente agghindata come una sposa, egli di nuovo fugge come davanti a una proposta indecente. La notte stessa Lucie sarà uccisa nella propria capanna. Ma i due si reincontrano e Lucie, che gli ha rivelato il mistero dell'esistenza, lo introduce al mondo dei morti. 17

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