Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

IL CONTESTO Sudafrica alla risuddivisione degli spazi politici e decisionali in molti paesi africani, tendono alla ricostruzione di un tessuto politico-istituzionale ovunque in disfacimento e alla ridefinizione di nuovi patti sociali tra governanti e governati. Che tutto questo avvenga nell'ultimo quarto del ventesimo secolo, un periodo tra i più traumatici della storia recente dell'Africa, caratterizzato da rinnovate crisi eco-ambientali quali la siccità della metà degli anni Settanta e Ottanta, le continue guerre intestine o interstatali (Etiopia, Ciad, Mauritania, Sudan, Mozambico, ecc.), la crisi produttiva dovuta ai vari interventi spesso selvaggi di "aggiustamento strutturale", e non ultimo la crisi dei regimi autoritari e dispotici sia "socialisti" (Etiopia, Somalia, Angola, Mozambico) che neo-liberali (Zaire, Liberia, Senegal, Costa d'Avorio), non deve stupire.L'Africa si sta liberando dal giogo ibernante e insidioso della guerra fredda né più né meno come il resto del mondo. Solo che qui c'.è più fame e miseria, e la prima aggregazione politica è quella dettata dalla sopravvivenza del proprio gruppo, famiglia o clan. · Tuttavia la lettura in chiave "etnica" dei traumi presenti dell'Africa in transizione è una lettura sostanzialmente errata e razzista. Errata perché confonde formule tradizionali e le inserisce in contesti di riferimento dove l'aggregazione su base clanica o tribale è una affermazione di identità collettiva, e dunque è una forma di partecipazione alla modernità e di obiettiva "presa" politica sulla scena contemporanea. Razzista perché si ostina a vedere un'Africa statica e immobile, cristallizzata in "etnie" e "tribù" in perpetuo conflitto tra loro, e identifica in questo la causa di fondo dei traumi attuali. Il caso somalo, come per altri versi Mogodiscio. Foto di PeterMenzel (agenzia G. Neri) 6 quello sudafricano, mostra come una spiegazione puramente "tradizionale" della aspra conflittualità in corso (I' antagonismo "tipico" dei pastori somali in lotta tra loro per pozzi e pascoli; la "ferocia" guerriera degli zulu nel preservare l'identità etnica del movimento politico Inkatha op.posto all' ANC in Sudafrica) non permette di individuare gli elementi di novità "politica" della lotta in corso - che è all'ultimo sangue in entrambi i luoghi per la competizione per risorse scarse (gli aiuti) o la supremazia politica (lo Stato) nella nuova morfologia del potere rispettivamente del post-Siyad Barre e del post-apartheid. Altro che tribù e guerrieri: sia i c.d. "signori della guerra" somaÌi, i generali Ali Mahdi e Aidid, che il leader zulu Buthelezi in Sudafrica sono prima di tutto uomini politici, spregiudicati forse, ma politici. E la posta in gioco, la lotta per il potere, spiega la continua recrudescenza di violenza assai più del "tribalismo". ancestrale di etnie o clan "guerrieri". Il più raffinato gioco "etnico" che si sta svolgendo in Etiopia in questa fase di transizione non è meno "politico" né meno significativo. L'attuale governo di coalizione, formalmente interetnico anche se guidato da un movimento regionale minoritario, quello tigrino - un gruppo tradizionalmente dominante insieme a quello Amhara nella cultura politica dell'Etiopia cristiana - ha appoggiato una suddivisione del territorio nazionale, e una spartizione dello spazio politico, in più regioni etniche autonome dal governo centraJe, derivate da un accorto dosaggio di genti e terre incluse per equili'bri politici oltre che etnico-culturali (la suddivisione etnica è stata già denunciata dal movimento degli Oromo riuniti sotto l'OLF). La conseguenza è una misurata politica aggregativa di orientamento regionale in cui un gruppo minoritario, come quello tigrino, sta imponendo la nuova forma-Stato ai rivali Amha:ra e Oromo indebolendo dei primi l'antica pretesa centralista, e dei secondi la non del tutto sopita secessione. Esso può dunque, dopo aver conquistato il potere con la forza, mantenerlo con il consenso o perfino abbandonarlo nella misura in cui riuscirà a strutturare un'organizzazione statale che, se verrà mantenuta, potrà essere di esempio ad altre esperienze nazionali nella regione. Diverso il caso dell'Eritrea dove un movimento di lotta accentratore e na~ionalista, uscito vittorioso da un lungo conflitto per l'indipendenza del proprio paese, e che ha avuto un ruolo non piccolo nei cambiamenti politici e nelle scelte strategiche di Addis Abeba, ottenendone in cambio il riconoscimento ali' indipendenza, ha optato per uno Stato unitario e centralizzato, fortemente dirigista, in cui le spinte ali' autonomia regionale o al plurietnicismo sono al momento guardate come anti-indipendentiste, e dunque da reprimere. Così in Etiopia un movimento regionale minoritario, conquistato il centro politico dello Stato, si predispone a limitare il proprio potere, e eventualmente a lasciarlo, dopo essersi garantito la sopravvivenza attraverso la formazione di uno Stato "etnico" regionalizzato e autonomizzato, mentre in Eritrea il movimento politico che è risultato egemone nella lunga lotta per il diritto nazionale all'indipendenza sta conducendo una dura battaglia per la sopravvivenza economica oltre che politica del pa_ese,che individua in un'articolazione politica forte, cioè di senso opposto a quella maturatasi nella vicina ex-metropoli. Leggere il presente dell'Africa vuol dire non solo capire l'attuale fase di transizione, ma inserirla nel movimento della storia. Continuare a classificarne il presente secondo etichette o pregiudizi di comodo vuol dire semplicemente non farlo, e così rinunciare ali' intelligenza delle cose lontane, che sono poi molto vicine ai vari "tribalismi" e faide di casa nostra anche se non vogliamo ammetterlÒ, o non sappiamo accettarlo'.

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