sigarette né i fiammiferi. Oppure di avere solo una delle due cose. Dopodiché fumo ancor di più, bevo il fumo come uno che annega beve l'acqua." "Io invece non ce la faccio senza il bere. L'ha notato?" "Può darsi. Da quando è così?" "Da quando mi ruppi le gambe in un incidente. E da quando mi licenziarono dal lavoro. Per varie mancanze mie. Non bevo molto; non casco e non barcollo, non sono mai proprio sbronzo, ma non reggo senza un bicchierino di grappa. Fuori sembra tutto normale, ma dentro è un disastro. Ho fatto i conti: un bicchierino ogni ora. Sennò mi trema tutto e penso solo a come fare per non buttarmi sotto la prima auto." "E allora beva, caro mio. Perché, per Dio, dovrebbe essere sobrio?!" "Ha avuto tanti uomini, Breda?" "Probabilmente sì. Comunque non quanti avrei potuto e voluto avere. Quindi, in ogni caso, pochi. Troppo pochi." "Avevano per lei qualche importanza? Voglio dire, nell' insieme, e ognuno separatamente ..." "Tanta. Più del bere e del mangiare. O anche delle sigarette. Più di qualsiasi altra cosa. Non nell'insieme, però. Ognuno di per sé. Per come li vedevo io, come mi si presentavano. Mai due uguali. Sempre diversi, complicati e nello stesso tempo semplici." "Come li sceglieva? Loro sceglievano lei o lei loro?" "Non me lo ricordo. E non ha importanza. Importante è che siamo stati insieme. E che non ci siamo più. Passavano così i miei giorni." "Io non ho avuto successo con le donne. Neanche quando ero giovane e, diciamo, carino. Più mi sforzavo e peggio veniva. Mi lasciavano sempre ed andavano via spesso con uno peggio di me. Questo non l'ho mai capito. Non lo capisco nemmeno oggi." "Lasci perdere. In fondo fa lo stesso." Versai ancora da bere. Era bello star seduti così. Come se fuori, sulle strade, non succedesse niente, come se una grigia cenere cadesse su di noi. Dietro le mie finestre chiuse la città si era calmata, zittita, nessun chiasso, nessun rumore giungeva fino a noi. Ci cullavamo dolcemente sugli sciupati cuscini delle vecchie poltrone. Il mio interlocutore fumava silenzioso un'altra delle sue "Ibar". Quando la sigaretta si consumò quasi del tutto, mise il mozzicone nel bocchino di legno e aspirò avidamente le ultime amare boccate di fumo che serpeggiava tra le sue dita giallastre. Socchiudendo gli occhi vuotò di colpo il bicchiere, il pomo d'adamo gli si arrestò per un istante e scattò di nuovo convulsamente. Poi, con un'espressione di schifo, l'uomo arrotondò la bocca e soffiò con forza, come se avesse appena inghiottito dell'olio di fegato di merluzzo. Un velo di sudore gli comparve sulla fronte rugata, perché l'aria, da giorni imprigionata e ferma, coagulandosi in dense onde premeva su di noi. "Non apro mai le finestre, sa? Così sto meglio." "Nessun problema. Non sono amante dell'aria pura." "Anche se lo fosse, non .cambierebbe niente. Ho paura della strada, mi dà fastidio la luce forte. Non voglio sentire nulla, né far entrare qui nulla." "Capisco. Io non ho dove chiudermi. Le mie ex si sono prese le case. Sono di nuovo in affitto." STORIE/STEVANOVIC "Le canta la pancia, caro mio. Sicuramente ha fame." "A dire la verità, da morire. Da svariati giorni, ormai. A volte butto giù qualcosa, così, su due piedi, e vado avanti. Oggi, mi pare, niente. O forse un paio di wtirstel. Se non è stato ieri." "Le preparo qualcosa. Se questo qualcosa si trova in casa." Mi alzai. La debolezza nelle gambe non mi impedì di camminare, ma dovetti farlo piano, perché il pavimento ballava ancora un po'. Andai verso la cucina, dove la luce era rimasta accesa da prima. Pensai meravigliata al fatto che non me l'avessero ancora tolta, nonostante alcuni avvisi di morosità abbandonati nella cassetta della posta e mai letti. Aprii il frigorifero. Somigliava a una vuota cava azzurra ricoperta di ghiaccio. Trovai comunque due uova e un pezzettino di pancetta, dimenticati chissà da quando insieme a qualche bottiglia di birra. Lavai la padella, misi dentro l'olio, trovato a sorpresa anche esso su uno scaffale, ed accesi il fuoco più grande. Mi parve di sentir l'uomo fischiettare. Lo faceva in modo indefinito, senza melodia, come spesso fanno coloro che sono abituati a farsi compagnia da soli nelle sale d'attesa o nei parchi. Sgombrai il tavolo, misi qualcosa nel lavandino, qualcosa nello strapieno secchio della spazzatura. Tirai fuori una tovaglia pulita e rigida per il disuso, e la stesi sul tavolo. La pancetta mescolata alle uova sfrigolò. "La cena è pronta. Venga a mangiare." Comparve prima che io avessi finito di chiamarlo e si sistemò sull'orlo della sedia. Cominciò a mangiare voracemente, circondando il piatto con le braccia, come se qualcuno gli stesse dietro le spalle e lui cercasse così di proteggersi dall'usurpatore. Solo allora vidi che i suoi capelli in cima alla testa erano radi e il collo era molto magro, tenuto dritto forse da una sola vena. Stavo in piedi appoggiata all'armadio e guardavo come si chinava e raddrizzava, come sussultava, come mangiava con tutto il corpo. "Non c'è il pane. Non lo compro più. Può prendere la birra." "Lei non mangia la sera?" "Né al mattino né la sera. Non mangio quasi mai. Solo quando devo, quando mi sento mancare. Allora butto giù qualcosa, qualsiasi cosa." "È sempre stata sottile. Da quando la ricordo. E bella, da sempre." "Grazie, ma non è obbligato a essere gentile. Non è obbligato a ringraziarmi in questo modo. Mi sono liberata dalla donna che era in me, e quindi anche dalla vanità. Mi sono sbarazzata di tutto. Ora sono nuda. Come uno che non ha mai avuto niente addosso." "Non ho pensato questo. Volevo dire un'altra cosa." "Non c'è bisogno che si sforzi con me. Non ce n'è mai stato. Prendevo sempre tutto quello che era a portata di mano. Oppure venivo presa. Ma di bugie non c'è mai stato bisogno." Il telefono squillò di nuovo. Lui sussultò s'alzò di scatto e corse in soggiorno senza guardarmi. Evid~ntemente temeva che volessi rispondereio. Sparecchiai la tavola, riordinai tutto come ~n temJ?o,e_solo allora andai di là. Stava accanto al telefono, girato di schiena, curvo, con le spalle tremanti, con l'aria da colpevole. Taceva scuotendo ogni tanto la testa e mormorando qualcosa. ~ando posò il telefono e si girò, vidi che il suo viso era bagnato di sudoR: e tremante. Le mani cercavano confusamente le tasche, tentava di sorridermi.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==