STORIE/STEVANOVIC abbassata. Il mio ospite trasalì e scattò, pur non essendone sorpreso più di tanto. Il viso gli si corrugò, le spalle si curvarono, il braccio destro schizzò in avanti. Notai che aveva le mani un po' gonfie, come quelle di un malato di fegato. "Scusi, è per me." Girò di malavoglia intorno al tavolo e alzò la cornetta. La voce non era più quella con cui aveva parlato con me ma un'altra, piatta, ufficiale, rauca. La voce di un colpevole e sottomesso. Comunque, parlava soprattutto quello dall'altra parte. Dal tremolio delle palpebre, dai movimenti tesi delle sopracciglia capii che non gli diceva niente di buono, che voleva, forse anche pretendeva, qualcosa. Finito di parlare rimase fermo a riflettere, poi tornò lentamente al suo posto e si sedette, sospirando. "Una telefonata di lavoro. Mi sono preso la libertà di lasciare il suo numèro. Le dispiace?" "No, non mi dispiace. Sicuramente lavora tanto." "Sembrerebbe di sì. In realtà mi invento tutto. Corro in qua e in là come una bestia per rimediare lo stipendio." "Se vuole del caffè, Io faccia. Per tutt'e due, ovviamente. Senza dubbio sa dov'è la cucina e tutto il resto." "Mi sembra di sì. Me la caverò, Breda." Si alzò e, un po' incerto, si avviò verso la cucina. Aveva qualcosa di strano nel camminare, come se zoppicasse o stesse estremamente guardingo. Dava l'impressione di camminare su Ljubljono. Foto di Hemoogo (Contoct Presslmoges/G. Neri). un terreno dissestato e pericoloso, con i passi degli arti gonfi e mossi con una fatica sopportabile solo fino alla prima occasione per fermarsi. Ma contemporaneamente c'era anche una specie di contentezza, di piacere per quello zoppicare, per i calli, per il dolore. Stavo seduta, contenta che il cervello mi si fosse schiarito, che fossi in grado di pensare. Il caos si allontanò, anche se lo intuivo sempre dietro le spalle chinato minacciosamente su di me. Sentivo il mio ospite rumoreggiare in cucina con le tazzine ed i cucchiai, aprire l'acqua, tossire rauco e cauto. Socchiusi gli occhi, non rammentavo più il suo aspetto; tra qualche attimo poteva comparire sulla porta qualunque uomo di quelli che un tempo si rifugiavano fra le mie mura. "Se non sbaglio lei prende il caffè amaro, Breda." "Prendo qualsiasi caffè. Basta che lo faccia e me lo porti un altro." "Mi offro come suo barista. O qualunque altra cosa." "Di notte non riesco a dormire, e al mattino faccio fatica a svegliarmi. Mi alzo come dalla tomba. Se non ci fosse il caffè, crollerei a terra e rimarrei là, stesa. Soltanto verso mezzogiorno so chi sono e dove sono." "Fuma tanto?" "Quanto più posso. A volte ho l'impressione di svegliarmi solo per accendere una sigaretta. E non la spengo finché non mi brucio le dita. Ogni tanto mi immagino di non avere in casa né le
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