Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

STORIE/STEVANOVIC Socchiusi gli occhi, non rammentavo più il suo aspetto; tra qualche attimo poteva comparire sulla porta qualunque uomo di quelli che un tempo si rifugiavano fra le mie mura. a volte il video; il giradischi con la puntina sciupata che inevitabilmente raschiava i dischi era del tutto fermo. In cucina c'era qualche perdita d'acqua, le gocce cadevano monotone e pigre, ma non avevo nessuna voglia di andare a vedere che cosa fosse. "Si sieda, Breda. Si senta come a casa sua" sorrise, ma solo con la smorfia delle labbra, perché il viso rimase serio e teso. Da vicino non era così giovane come mi sembrò a prima vista. Aveva delle amare rughe intorno alla bocca, la pelle indurita e appassita, i capelli corti, compatti, e grigi, opachi per l'uso di acqua di colonia. Un orecchio era decisamente più grande dell'altro, come se stesse sempre pronto ad origliare. Le sue spalle erano leggermente curve, era magro e muscoloso, anche se un po' di ~ancia cominciava già a sbucargli dalla cinta. · "Se vedo bene, beve da sola. Nessuno le fa compagnia." "E a lei che gliene frega, accidenti!" "Urlare non serve a niente, Breda. Dobbiamo parlare. Si calmi." E mi calmai davvero. Come se avessi inghiottito un tranquillante. Mi sentii di colpo rilassata, allentata, lo scompiglio scomparve e il mio corpo riprese ad obbedirmi. Percepivo solo un po' di bruciore sotto il diaframma come se qualcuno avesse spento lì una sigaretta e la ferita non si volesse rimarginare. Avvertivo che tra me e lui esisteva una sottile intimità, una specie di confidenza simile a quella tra buoni vicini di casa. Mi sembrava di chiacchierare sulle scale al ritorno dal lavoro. Contemporaneamente però sussultavo dall'ansia e dal presentimento che quel legame fosse innaturale, forzato, quasi da nemici. Non c'era in me né odio né paura, ma questo perché in me da tempo non c'era più niente. "Chi è lei?" "Diciamo, un suo ammiratore. Ci siamo visti qualche volta di passaggio. E, mi pare, abbiamo anche parlato, di sfuggita. Su qualche scala, davanti a qualche portone." "È venuto qui per farmi la corte?" "No davvero. Anche se c'è pure un poco di quello. Oltre a tutto il resto, con lei•èimpossibile che non ci sia. Ho visto al mare come la seguivano i ragazzi, quattro, cinque alla volta. Non sarà andata a letto con tutti quanti, forse perché non era possibile, ma con ognuno di loro ha avuto qualcosa di particolare, singolare. L'iniziatrice è stata lei; loro si sono solo trovati lì e lei ha tirato i fili." "È stato spesso cacciato di casa?" "Spesso. A dire il vero, tutte le volte che ne avevano voglia." Improvvisamente, per me forse anche un po' troppo precipitosamente, scoppiammo a ridere. Dopo intere settimane quello fu il mio primo riso e non solo una smorfia, l'abitudine dei muscoli a torcersi. E poi - un forte sollievo, come se avessi respirato dell'ossigeno puro. La tensione scomparve. Fu come riconoscere un amico d'infanzia, uno della tua stessa strada, che si era perduto nel mondo ed era tornato quando nessuno lo aspettava più. Non c'era il passato, non c'erano i ricordi, i nessi erano nuovi, ma i legami si ricostituivano e di lì a poco sarebbero comparse le corrispondenti immagini, frasi, mosse. Gli proposi di sedersi. E ci sedemmo. Gli porsi un bicchiere di grappa. E lo bevemmo insieme. Svuotò di un fiato il primo e se ne versò subito un altro. Le sue mani divennero più sicure, il viso gli si distese e schiarì, le guance si ravvivarono. Si rilassò. Sembrava tornato in sé dopo ore e ore di rassegnato sfacelo contemplato in un qualche bar all'angolo, con accanto tante tazzine di un cattivo caffè, un giornale aperto mai finito di leggere, e uno stanco inserviente che in tasca, oltre a una bottiglia di grappa, porta sempre una vecchia crosta di pane che succhia di nascosto. "Non vado da nessuna parte a meno di non doverlo fare per forza. È tanto che non vado dal parrucchiere e non sopporto i bigodini." · "A me non importa. Anche se la ricordo diversa." "Ho dei problemi con me stessa e con gli altri. Soprattutto, però, con me stessa. Mi sono lasciata andare. Giro per casa come capita. Vuole che mi cambi il vestito?" "No, non lo cambi. Così è meglio. Nel senso che è più naturale. E sembra più vero." "Ho rinunciato anche alla donna di servizio o, per meglio dire, lei ha rinunciato a me. Nessuno viene più qua. E nessuno telefona. Sembra che tutti abbiano perso il mio numero. Non faccio niente, non pulisco. Del resto, non ho mai saputo mandare avanti la casa." "Come ho detto, a me non importa. Non sono abituato all'ordine. Mi ricorda le stanze d'albergo e il matrimonio prima del divorzio." Notai che portava la fede sulla destra. E che la sua camicia era ben spiegazzata, evidentemente da tempo tenuta così nell'armadio. E che le sue palpebre erano gonfie e rosse, come se fosse in fuga e a casa dormisse poco. Anche se rilassato e apparentemente tranquillo, stava seduto appena sul bordo della sedia e la sospettosa insicurezza di un uomo braccato gli offuscava lo sguardo. Capii che mi aspettava una grossa confessione. "Sicuramente le interessa sapere chi sono, no? E che cosa faccio ..." "Non mi interessa. Rimanga dov'è." "Io so quasi tutto di lei. Quasi tutto. Lei di me non sa invece niente. Le posso raccontare." "Non importa, non le ho chiesto niente." "Le dirò qualche cosa, giusto per chiacchierare. Sono stato corridore di rally e autista di macchine in prova, ho cambiato due o tre fabbriche e ne avrei cambiate delle altre, ma non ci sono. Sono stato karateka, quasi arrivato al livello nazionale, ma è venuta a galla la mia vita non proprio da sportivo e allora ... Mi sono sposato. Errore. E ho divorziato. Ancora errore. Adesso lavoro qua e là. Quasi come libero professionista." "Grazie delle informazioni. Non so niente lo stesso." "Né io le ho detto niente. Tutto questo non mi riguarda." Fumavamo e ci sorridevamo. Mi girava leggermente la testa, ma il dolore era passato. Forse funzionavano quelle pastiglie che avevo buttato giù durante la giornata. Le prendevo direttamente dall'armadio, così come mi venivano sotto mano, senza guardare per che cosa o contro che cosa fossero. L'importante era fare qualcosa, avere qualcosa dentro. Non pensavo se mi facessero bene o male; mi ingannavo con le medicine come ogni tanto, quando proprio dovevo, lo facevo con il mangiare del self servi ce, magro e seccato come la carta in cui è avvolto e buono solo se messo al confronto col fango. La fame, come tante altre cose in me, era morta. Squillò il telefono, forte e acuto anche se la suoneria era 75

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