STORIE/STEYANOYIC La tazzina mi sbatteva contro i denti sicché non riuscivo a buttar giù neanche un sorso. Accesi una sigaretta e la spensi subito. Il fumo mi soffocava, mi inondava di tiepido odore di immondizia, di spazzatura marcita, di sottotetto di una vecchia casa. Se urlo, il mio stesso urlo mi spaccherà i timpani e finirò a terra. Se sto zitta, attaccherò a correre intorno al tavolo. Feci di nuovo lo stesso numero di prima. La sua intellegibilità mi faceva imbestialire. "Pronto Soccorso, desidera?" "Chiamo a nome di quella signora che vi ha telefonato una decina di minuti fa." "Di quale signora parla? Mi dica nome e cognome." "Non ha più molta importanza." "Noi l'abbiamo registrata?" "No, non avete voluto accettare la sua richiesta. Le avete detto che avrebbe dovuto aspettare il suo turno." "E con questo? Cos'è successo?" "Niente. Proprio niente. Lei è semplicemente morta." "Sia più chiara. Non abbiamo tempo da perdere, e su queste cose non si scherza. Chi è morto?" "Nessuno. Una vecchia, sola." E buttai giù il telefono. Mi immaginai quello là, seduto da qualche parte con la bocca spalancata a mo' di pesce. Il tremolio mi era passato, stavo ora accanto al tavolino e ridevo. Piegata in due sentivo il mio ghigno fragile e vuoto come se arrivasse da un'altra stanza. In quell'attimo avvertii lo stomaco stringersi convulsamente e salire fino ai denti. Mi trascinai in bagno sbattendo la porta contro i mobili, non feci in tempo ad evitarlo; mi chinai sulla vasca piena di panni messi chissà da quanto a mollo, mi sforzai di non caderci di testa. Non venne fuori nulla, neanche un po' del verdastro liquido della bile. Era già il terzo, il quarto, o forse anche il quinto giorno che non mettevo in bocca niente, a parte il caffè e le sigarette. A parte un pugnetto di noccioline buttate giù in qualche bar, dove aspettavo non un uomo, ma la conferma che non mi sarebbe accaduto più, che sarei stata io a telefonare, a far sapere, a scrivere lunghe lettere, a girare davanti a porte chiuse, ritoccando il rossetto su scale buie. Mi contorcevo inutilmente. Accesi la luce e socchiudendo gli occhi aspettai che mi passasse; poi mi guardai allo specchio. Incontrai due occhi spalancati e vuoti, simili a delle biglie che avevano girato per tante tasche e per tante mani. Le rughe non si vedevano, e neanche la pelle appassita. lo, però, le sentivo lo stesso sotto lo strato di trucco. Le sentivo già da tanto, e di continuo, era diventata ormai un'abitudine, una specie di vaga coscienza della loro presenza, come succede con un dente da tempo tolto, o con una vecchia cicatrice. Il viso era regolare, ovale e vuoto come una maschera appiattitasi dall'uso cui mancavano ora gli occhiali scuri, due o tre drink rinfrescanti, ed il buio. Spensi la luce e tornai in soggiorno. Non dovevo più guardare il disordine che vi regnava perché il buio lo aveva ricoperto del tutto. Le tende verso la strada erano chiuse già da alcune settimane. Aprii il buffet, tirai fuori una bottiglia e versai da bere. Feci tutto quanto con disinvoltura, come con i movimenti di un altro, la cui ombra, infatti, si mosse sulla grigia parete della stanza. 74 Bevvi il primo bicchiere tutto di un fiato e riempii subito il secondo. La grappa mi bruciava la gola e i visceri, anche questo fatto però non era reale più di tanto; sì, accadeva davvero, sicuro, ma a qualcun altro e da qualche altra parte. lo ero nel buio, sospesa, sdoppiata, immobile come un paralitico, muta. Il resto di me si mise in poltrona, con la bottiglia a portata di mano, e si accese una sigaretta. Guardavo la porta senza vederla. Il suo semplice meccanismo mi sembrava ora incomprensibile. Ed inverosimile il fatto che un tempo si apriva e chiudeva, facendo passare ospiti. Sempre e solo uomini. Ritti, e spinti da quello che avevano di meglio. Suonavano il campanello, robusti e tremanti, un po' sudati per l'emozione e per l'ansia, ed entravano con l'odore di maschio addosso. Portavano in regalo fiori, libri ed altre piccolezze; le loro voci erano incrinate, abbassate dal desiderio. Oltrepassando la soglia di casa mia si guardavano intorno come se avessero varcato un limite decisivo, si irrigidivano di colpo come intrappolati, e per un po' temevano di doversi comportare a comando. Vedevo me stessa, stanca, con le occhiaie, con il sudore seccato sulla pelle, mentre li salutavo fiacchi, cinerei per il nascere dell'alba e già spaventati dal vuoto delle strade mattutine, brutti come il budello rinsecchito. Mi aspettava poi il bagno e il sonno senza sogni, il risveglio e il telefono da rimettere in funzione. Suonò il campanello. Din-dan-don. E poi di nuovo. Altre tre volte. Mi raddrizzai nella poltrona e spensi la sigaretta. La suoneria, scelta tra l'altro da me stessa, riecheggiò ancora, lacerante come un segnale di battaglia. Feci alcuni passi, il parquet scricchiolò, i mobili mi urtarono, la luce nel corridoio mi abbagliò. Disorientata, aprii con fatica la serratura. La luce sulle scale si spense in quel momento. Davanti a me intravidi una sagoma buia, larga di spalle, che fece un passo e, gentilmente ma con fermezza, mi spostò chiudendo la porta. Era un uomo piuttosto grosso, in giacca a vento, con i capelli corti e i denti bianchi, scoperti in una specie di sorriso. Mi sembrò giovane, forte e rozzo anche se si muoveva in maniera confidenziale e per niente minacciosa. Dava l'impressione di essere in missione e di essere già stato qui. Sentii il profumo di brillantina da barbiere a buon mercato. "È sola, Breda?" "Sono sola, come vede. Chi è lei?" "In un certo senso, un suo conoscente." "Non l'ho mai vista. Non mi ricordo nessuno che le assomigli." "Non ha importanza. L'ho vista io. Anzi, più che vista. E me la ricordo benissimo." Mi sorpassò ed entrò nella stanza, la luce si accese. Si fermò accanto alla porta guardandosi intmno. Notai che gli tremavano le spalle. Tutto il disordine di cose abbandonate a loro stesse si agitò in un sussulto, un leggero tremito di quel caos tagliò l'aria. Da intere settimane la stanza non veniva più rassettata; la polvere non tolta, le cicche dappertutto, i vestiti, i giornali spiegazzati, le pantofole spaiate, i dischi senza copertine, i quadri storti, le ragnatele negli angoli e sui lampadari ... La sporcizia brulicava lentamente e dovunque. La TV era rotta, a volte mancava l'audio,
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