Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

TAGLIO CESAREO Vidosav Stevanovic a cura di Teresa Wator Grata ali' autore per avermi dato il modo di sfuggire al noioso dovere di tracciare una sua schematica biografia, cito letteralmente quanto egli stesso racconta di sé: "Vidosav Stevanovic, contrassegnato Lazzaro, è nato un lustro sabato che viene dopo il venerdì, alla vigilia della festa di San Vid, il 27 di giugno, chiamato anche Izok, Zitvar e Litijas, nel semplice segno dell'intransigente Cancro, 7450 anni dopo la Creazione, nel bellico 1942° dalla nascita di Cristo, 1909 anni dalla Resurrezione, 553 dopo Kosovo, 524 dall'innalzamento del Manasija, 28 dopo l'audacia del Principe. Il suo paese porta il nome di Cvetojevac, la regione-di Kragujevac, la patria- di Sumadija, la terra-di Serbia. Professa la fede ortodossa. Con lui si esaurisce la stirpe degli Stevanovic (...) che morirono a Misar, Ljubic, Sumatovac, a Bregalnica, Kajmakcalan, sul fronte di Srem e dappertutto, che lavorarono le terre e le donne, colti varono i figli e le api, ornarono le case e loro stessi, uccisero, e non ci saranno mai più. Punto" 1 • Stevanovic è indubbiamente uno dei più controversi e dei più avvincenti rappresentanti della letteratura serba dell'ultimo ventennio. Le sue opere hanno suscitato negli anni Sessanta-Settanta un forte scalpore sia nell'ambiente della canonica critica letteraria che tra il pubblico, procurandogli un giudizio piuttosto sconfortante da parte del primo, ed una decisa acclamazione del secondo. Ha debuttato nel 1967 con un volume di poesie (Le trombe) ma ben presto si è reso conto della sua vera vocazione: la prosa. Accettarla fino in fondo gli è costato grossi sforzi: "( ...) Ossessionato dal poetico, perseguitato dal lirico, imprigionato dal reale - mi costringevo a propendere per quell'ultimo, spesso contro voglia, contro me stesso ..."2 • Nel 1969 ha pubblicato Refuz il cadavere, il primo volume di racconti che tanto hanno fatto discutere il mondo letterario serbo, proponendo in essi un'immagine sconcertante e tragica dell'esistenza della gente dei bassifondi, degli emarginati di varia origine. La "poetica del brutto" è infatti l'unica che rispecchi, secondo Stevanovic, lo stato di cose. Due anni più tardi, nel 1971, è uscito il romanzo I disgraziati, con cui lo scrittore, allontanandosi dalla classica struttura di questo genere letterario ed adoperando nuove soluzioni linguistiche, ha creato una moderna visione dell'inferno. La trama del romanzo, apparentemente di ispirazione naturalistica (storia di una famiglia di Kragujevac sull'orlo della rovina), è stata trasformata dall'autore in una specie di visione del complesso e misterioso mondo del contenuto e dei meccanismi della mentalità, degli istinti e dei comportamenti umani, valida a prescindere dallo scorcio realistico da cui ha preso vita. Nel 1975 Stevanovic ha pubblicato un altro romanzo, dal titolo Konstantin Gorca, ritornando alla tematica dei racconti del volume Refuz il cadavere e dimostrando, ancora- una volta, una particolare sensibilità nel percepire la realtà dell'uomo. Il racconto Taglio cesareo, qui proposto, fa parte del volume Draghi di periferia (1978), e presta contemporaneamente il titolo alla successi va (1984) raccolta di racconti di Stevanovic, poiché è proprio la continuazione di Taglio cesareo ad aprirla. Ad aprirla in maniera sorprendente, quasi paralizzante, dal momento che ci pone davanti ad un' interpretazione del mondo rappresentato, nel primo racconto del tutto rovesciata e ancora più sconvolgente. Taglio cesareo, come del resto tutti i racconti successivi, ricrea la vita della gente di una grande città (qui è Belgrado, ma lo è convenzionalmente): una vita innaturale, tragicamente vuota, assurda e grottesca nella sua apparente normalità, priva di autentico contatto umano, imprigionata dal conformistico marasma morale. Stevanovic racconta quest'esistenza nei suoi tratti essenziali, fotografa i suoi personaggi dal dentro e da fuori, mette a fuoco le condizioni ed i modi del nascere di certe concezioni del mondo, della realtà, della coscienza, che essi incarnano. Lo fa senza esprimere mai nessun giudizio, impossessandosi di tutte le sfumature del Bene e del Male nell'uomo conviventi. È sorprendente la concretezza e la verosimiglianza dell'immagine che sviluppa; che sia quella di un tranviere le cui mani acquistano il grigio colore degli spiccioli per i quali vende ogni giorno i biglietti, quella di un impiegato qualsiasi il cui aspetto invita a constatare che viene venduto insieme a mobili da cancelleria, quella dell'ex poliziotto incapace di rinunciare al senso di potere inculcatogli, o quella del coinquilino - informatore, poiché "è sempre meglio denunciare per non essere denunciati" ... Questa caratteristica della prosa di Stevanovic è, in grande misura, dovuta alla trasgressiva scelta del linguaggio colloquiale, gergale, semplice ed incisivo, come anche all'introduzione nella struttura del racconto di documenti, verbali, annunci di giornale, citazioni di programmi della radio ecc. Inserisce addirittura se stesso, in prima persona, in quanto autore, rendendo ovviamente ancor più autentica l'immagine della realtà trascritta. La maestria di Stevanovic prosatore consiste nella sua straordinaria capacità di analisi del reale, di tutto ciò "che sapeva, che ha visto, sentito, vissuto e previsto" 3 , e della trasformazione di questo insieme in un metaforico ritratto dell'uni verso dell'uomo. Eccone una piccola prova ... Feci il numero che dà ore avevo davanti agli occhi. "Pronto Soccorso, desidera?" "Venite, vi prego. Sto male." "Cosa si sente?" "Non sento niente. Ma non riesco a muovermi. Amalapena mi sono trascinata al telefono, e quasi non riesco a tenerlo in mano. Sta scendendo il buio, io, però, non ce la faccio ad accendere la luce." "Si calmi, signora. Ci spieghi per bene cosa si sente." "Non sono in grado di spiegarlo. Tutto mi si restringe, mi accerchia. Non ce la faccio più. È come se da ogni angolo mi spiasse qualcuno." "Dove si trova ora?" "A casa mia. Sono tornata dal lavoro, all'angolo mi sono comprata un mazzo di fiori, sono andata al supermercato, ho parlato con qualcuno sulle scale. Sono entrata in casa e ho chiuso la porta a chiave. Mi è successo in quel momento." "Quando è stato?" "Non me lo ricordo bene. Sarà due settimane fa." "Le fa male qualcosa?" "Non lo so, mi fa male tutto il corpo ma è un dolore sordo e lontano. Come se facesse male a qualcun altro che poi me lo trasmette. Venite, vi prego. Fate presto." "Verremo signora. Prendiamo nota e appena toccherà a lei, verremo." "Ma io ne ho bisogno subito. Non posso aspettare." "Signora, la gente muore davvero, e da tutte le parti. E noi dobbiamo arrivare dappertutto. Ci chiami più tardi." Buttò giù il telefono. Non sapevo più cosa fare, a chi chiedere aiuto. Ero circondata da sorde pareti dietro le quali non conoscevo ness~no. Anc~e se avessi cominciato a gridare nessuno avrebbe reagito. Ormai era da tanto tempo che i vicini avevano smesso di considerarmi. L: gambe e le mani mi tremavano, il buio, simile alla cenere, si stendeva sui mobili. Preparai il caffè e mi misi seduta al tavolo. 73

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==