Linea d'ombra - anno XI - n. 82 - maggio 1993

diventano una occasione per riflettere sulla transitorietà che investe ogni cosa. Al polo opposto sta la categoria degli oggetti piccoli e modesti, in cattivo stato di conservazione: con la loro mancanza di decoro si prestano al riso, e fanno parte della categoria comica per eccellenza. La dimensione storica, fino a ora assente, entra in modo decisivo in un terzo gruppo di immagini, quelle di cose monumentali degradate che portano a riflettere non più, genericamente, sulla caducità umana, ma sul concreto declino di un regime, di un insieme di istituzioni politiche o religiose: per eccellenza è la categoria documentabile dopo la Rivoluzione francese. Supponiamo ora che lo stesso degrado, storicamente databile, avvenga senza nessuna pretesa di esemplarità, solo mettendo a nudo se stesso nella sua sconvenienza, nella sua mancanza di decoro: avremmo quello che nel mio libro chiamo il logoro-realistico, ossia la categoria più diffusa, alla quale fanno capo gli interni degradati, il mobilio in cattivo stato, gli arredamenti che funzionano ancora dal punto di vista pratico, ma che non sono più adeguati a un decoro di classe. Di queste immagini è piena la letteratura borghese: esse portano testimonianza di quella fondamentale instabilità della borghesia immortalata in alcune celebri frasi del Manifesto di Marx. E c'è, poi, l'ambito della memoria individuale, il feticcio dei ricordi privati: quel che non avrei intuito prima di questa ricerca è che dalla dimensione del ricordo non esce una sola categoria di oggetti, ma due. Perché la memoria individuale può essere connotata non solo da tenerezza, ma anche da sentimenti di ripugnanza, da ossessioni di simboli sgraditi. Nel campo del soprannaturale, gli oggetti magici appaiono anch'essi privati della loro funzione originaria, a vantaggio di un loro uso simbolico; e, allo stesso ambito va ascritta quella categoria importantissima di immagini, inaugurata dal romanzo gotico inglese di fine '700, cui era affidata l'impressione sinistra che precede il terrore. Se dal soprannaturale passiamo alla natura, vi troviamo altri gruppi di immagini frequenti, per esempio il grande mito del tesoro sepolto, o annegato in fondo al mare. Sotto il segno della cultura ho messo, invece, quel gruppo di rappresentazioni al cui centro sta l'antiquariato, ossia quegli oggetti il cui aspetto esteticamente gradevole o prestigioso prevale sul loro essere sciupati e invecchiati: è una categoria che ha avuto un grandissimo sviluppo a fine '800. La sua contropartita è nelle immagini del kitsch, punto di arrivo di tutto il plesso tematico del libro, e in un certo senso condanna per eccellenza del nostro tempo. E intendo per kitsch il prodotto di una più o meno violenta, o drammatica decontestualizzazione. Supponendo che ogni immagine di cose fisiche abbia un suo contesto appropriato nel tempo e nello spazio, tutto ciò che senza una adeguata consapevolezza culturale viene sbalzato fuori dal proprio habitat naturale si può considerare come esempio del kitsch rappresentato in letteratura. Tutto ciò è insieme molto attraente e molto complicato. Non le viene il dubbio di essere rimasto impigliato nei rami del suo albero semantico? Non c'è dubbio che inme esiste un ideale dellacontrainte, della costrizione. lo che adoro tanta grande arte cosiddetta romantica, se dovessi parlare di una mia poetica direi che essa è violentemenINCONTRI/ORLANDO te antiromantica. Non c'è ombra, nei miei scritti, del mito della spontaneità, c'è invece la convinzione che per arrivare a un risultato il più possibile spontaneo non si può che lavorare tantissimo. Non appena mi sono un po' inoltrato nel corso di questo libro mi sono reso conto che ero attanagliato da una spaventosa guerra su due fronti: da un lato ero fermamente convinto della unità del mio oggetto, ma anche della necessità di dimostrarla perché essa non è affatto scontata a priori. Inoltre, ero ossessionato da un bisogno di sinteticità, perché l'enorme mole delle cose da dire in funzione della ingente quantità dei testi reperiti potesse stare dentro una cifra di pagine accettabile. La contraddizione tra questa esigenza e la mia volontà di chiarezza l'ha già espressa magistralmente Orazio: mi sforzo di essere breve, divento oscuro. Un'altra cosa che sarebbe ipocrita mascherare ha a che fare con una riflessione di tipo metodologico: un saggio monografico può essere di bellissima scrittura, ma quello che per definizione non può succedere mai è che la scelta tra quel che è da dire e ciò che non lo è non può essere guidata da ragioni di tipo prevalentemente estetico: il criterio di pertinenza deve essere piuttosto argomentativo, logico, funzionale. In questo mio saggio, invece, devo riconoscere che, molto spesso, le scelte erano di tipo estetico: per alcuni aspetti questo libro è stato costruito come un'opera d'arte, per questo per me è stato così bello scriverlo, perché mi ha dato gratificazioni che di solito sono negate allo studioso. Di lei viene sempre ricordato il suo legame con Tornasi di Lampedusa, del quale fu per alcuni anni allievo prediletto. Cosa ricorda di lui, e cosa rimane del suo insegnamento nella sua esperienza di studioso? Lampedusa era uomo di letture sterminate; e questo elemento sembra tornare anche nel mio lavoro, che esibisce sempre un back-ground di ricche documentazioni. Ma non è questo il paragone che mi sembra più interessante. Quel che è invece attraente è il rapporto che c'è tra la vastità delle letture di Lampedusa e la sua provenienza da una area socioculturale periferica, com'è quella della sua Sicilia. Ho l'impressione che la cultura di Lampedusa fosse quella di un apolide, non c'era nelle sue letture nessun primato della letteratura italiana, i classici stranieri avevano per lui un posto di primo piano, e questo forse proprio a causa della sua originaria separatezza socioculturale. Con questo non voglio assolutamente dare spazio a concetti come quello, ricordato da Sciascia, di sicilitudine, che non hanno per me alcun significato; esiste invece una condizione periferica che è propria a tutti i margini dell'Europa e della civiltà occidentale alla quale anch'io mi sento di appartenere. Anche per me il rapporto che si è stabilito con i classici francesi, inglesi, tedeschi ecc. in una certa misura scavalca l'Italia. E può darsi che questo abbia favorito l'adozione di un punto di vista il meno possibile nazionale. Una tra le tante conseguenze del suo lavoro più recente sta nel fatto che lei ha segnato un punto di svolta nella lettura di Flaubert, facendo su di lui una sorta di scoperta. Ce la vuole riassumere? 71

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